Commento al Vangelo del 11 maggio 2014 – Paolo Curtaz

Quarta domenica di Pasqua
At 2,14.36-41/1Pt 2,20-25/ Gv 10,1-10

La porta, il pastore

Al tempo di Gesù le pecore venivano radunate durante la notte e chiuse in un basso recinto fatto di pietre accatastate. A volte, ad aumentare un po’ la sicurezza, di aggiungeva una fila di rovi spinosi, in modo da impedire ai ladri e ai lupi di accedere e di fare scempio del gregge.
Il recinto, normalmente, sorgeva nei pressi del villaggio e radunava le pietre di numerosi proprietari. A turno, poi, questi si alternavano per la veglia della notte: si ponevano nell’unica apertura del recinto di pietre e, seduti, si appoggiavano con la schiena ad uno stupite e con le gambe rannicchiate chiudevano il passaggio: diventavano loro stessi la “porta” del recinto.
Impedivano così ai malintenzionati di avvicinarsi.
Sul fare del mattino, quando arrivavano i singoli proprietari, bastava una voce per svegliare le proprie pecore che, a questo punto, venivano lasciate passare per andare a pascolare.
Avendo ora davanti agli occhi questa immagine capiamo meglio l’allegoria usata da Gesù nel decimo capitolo del vangelo di Giovanni e che leggiamo ogni anno, dividendola in tre parti, durante la quarta domenica di Pasqua.

La Porta

Gesù è quel pastore che passa la notte a vegliare, accovacciato all’apertura del recinto di pietre, diventando egli stesso la porta che lascia passare solo chi ha a che fare con le pecore e tiene lontano i nemici, i briganti, i ladri.
Le pecore fanno gola a molti, allora come oggi.
Noi pecore, spesso, veniamo coinvolte da persone cui non stiamo a cuore.
Dai politici che hanno bisogno del voto dei cattolici, come se esistesse un voto dei cattolici!
Da alcuni che pensano sempre di coinvolgere i cristiani a diventare gli infermieri della Storia per tamponare le gravi inadempienze di uno Stato ormai allo sbando.
Da coloro che pensano di trarre profitto dalla fede, anche economico, ora che il Papa “tira” e sta diventando un personaggio fin troppo amato.
Molti, troppi, si avvicinano a noi con seconde intenzioni, a volte, purtroppo, all’interno della stessa Chiesa.
Come i devoti del tempo, i sacerdoti e i farisei, che trattavano le pecore come dei beoti da indottrinare e condurre, come persone senza spina dorsale da usare come specchio del proprio ego spirituale.
Come chi pensa di ottenere un tornaconto dalle pecore, veri mercenari. Guardate quant’è semplice osannare le parole di papa Francesco. Senza ascoltarle.
E i potenti della terra che fanno a gara per esaltarlo senza mettere in pratica una sola delle cose che dice in maniera così diretta e dura?
Ma dai!
Stiamo sereni, però, Gesù è la porta.
Se lo lasciamo vegliare, se diventa lui il criterio attraverso cui giudicare ogni cosa, possiamo restare tranquilli.

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Voce

Gesù cambia immagine: egli è il pastore.
Un buon pastore. Un nel pastore. Uno che sa fare il suo mestiere, che sa dove condurre l e pecore, che le conosce una per una, senza farne un gregge anonimo.
Pecore che lo riconoscono quando parla.
La voce è la grande protagonista di Gesù risorto. Attraverso la sua voce i discepoli riescono ad entrare nella nuova dimensione in cui Gesù è entrato. Solo ascoltando possiamo riconoscere la sua presenza.
Arde il nostro cuore nell’ascoltare le sue parole, oggi e sempre.
Diventiamo uditori attenti ed intelligenti della Parola, in essa riconosciamo il nostro pastore. Il nostro cuore non mente: lui solo sappiamo ascoltare perché a lui solo sto a cuore.
Non agli altri uomini, non alla società, ma a Dio che, solo, mi ama liberamente. Non è come gli altri, il Signore, mercenari che ci amano per averne un tornaconto, quasi sempre.
Ci ama liberamente e amandoci ci rende liberi di amare. Ci ama gratis.
Gesù è venuto a chiamarci per nome, per condurci al Padre.
Chiede ai suoi discepoli un rapporto personale, intimo, coinvolgente.
Gesù chiama le pecore per nome e le pecore riconoscono la sua voce, perché è una voce che parla direttamente al cuore, che salva, che riempie, che consola, che scuote, che dona energia, che perdona, che inquieta, che sconcerta, che porta a verità, alla verità tutta intera.
Cosa abbiamo da temere? Nessuno ci può strappare dalla mano del Padre.

Guardiani

Il guardiano gli apre.
Il guardiano del gregge sa di non essere lui il pastore, ma di avere ricevuto il compito e l’onore, il peso e la gioia, la croce e la gloria di vegliare sul gregge in attesa dell’arrivo del pastore. No, non sa dove siano i pascoli erbosi, è solo un guardiano, anch’egli chiamato a custodire il proprio cuore nell’attesa della venuta del Maestro. Anch’egli in attesa trepidante di ascoltare la voce del Maestro.
Così siano i nostri preti.
Anch’essi pecore.
Anch’essi cercatori fragili e impotenti.
Eppure colmi di attesa e di speranza. Che sanno amare il gregge dell’amore del pastore, in attesa, loro e noi, di ricevere il Risorto.

Gioite, cercatori di Dio. Esultate, anime in pena! Rinsaldate le ginocchia vacillanti, gregge di Dio.
Non pecoroni, non beoti, non rassegnati, non storditi dal delirio della contemporaneità, ma amati e chiamati per nome, portati a salvezza e libertà dall’Unico che vi conosce!
Gioisci, Chiesa di Dio, sogno del risorto, passione dell’incarnato, tormento dei discepoli! Tu Chiesa, capace di Dio, chiamata a vegliare con sincero amore il gregge dell’umanità tu, guardiana, non mercenaria, ansiosa di indicare il Cristo a chi cerca la vita in abbondanza!
Ai discepoli il Signore chiede una vita più piena, più vera, non una mezza vita come alcuni stolti credono (Anche tra i discepoli!), una vita donata in abbondanza.

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