Commento al Vangelo del 10 agosto 2014 – Paolo Curtaz

Diciannovesima domenica durante l’anno

1Re 19,9-13/Rm 9,1-5/ Mt 14,22-33

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Violenza e tempesta

Siamo storditi, ammettiamolo.

Ancora a piangere morti, ancora ad assistere, impotenti e rassegnati, all’ennesimo massacro.

Gaza, Ucraina, Libia, i tanti scenari che non meritano nemmeno una notizia sui telegiornali. Il Califfato che caccia i cristiani da Mosul e che fa esplodere le moschee (!).

Storditi e confusi, in un’estate che, almeno per metà Italia, è un autunno anticipato ed una crisi economica che spegne anche la voglia di reagire.

E ci sembra di affondare. Lentamente.

Violenza e tempesta.

Proprio la Parola di oggi.

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Un silenzio assordante

Nove secoli prima di Cristo il profeta Elia scopre che il popolo segue ogni novità, anche in campo della fede. Onri, con un colpo di stato, conquista la Samaria e fa sposare suo figlio Acab a Gezabele, una regina straniera che porta con sé il culto dei Baal.

Alla gente, in fondo, quella novità non dispiace: la nuova religione, in fondo, è meno noiosa di quella tradizionale.

Elia è pieno di zelo per il Dio dei padri e non riesce a trovare altri che, come lui, difendano la fede autentica.

Si trova come noi, attorniato da persone che non si preoccupano molto della verità e che seguono le proprie emozioni costruendosi una fede su misura, disinteressato dell’oggettività.

Allora sfida i sacerdoti di Baal in un’ordalia sul monte Carmelo e dimostra al popolo che Dio è l’unico, facendo scendere dal cielo un fuoco che consuma un sacrificio, cosa non riuscita ai quattrocento sacerdoti di Baal. Davanti a tanto dispiegamento di potenza la folla osanna Elia e il suo Dio. Ma Elia si fa prendere la mano e fa uccidere tutti i sacerdoti dalla folla entusiasta: la regina Gezabele, livida di rabbia, lo vuole uccidere.

È qui che troviamo Elia, oggi, spaventato e consumato, desideroso di morire nel deserto.

L’illusoria vittoria intrisa di sangue non ha fatto che peggiorare le cose.

No, Dio non è nella violenza, questo ora ha capito Elia che si ritrova sul monte dell’alleanza.

Questo vorrei capissero coloro che continuano ad uccidere profanando il nome di Dio.

E qui, sull’Oreb, Elia capisce e ci fa capire qualcosa di splendido.

Dio non è nella violenza, né nei grandi eventi naturali o nei prodigi, ma nell’intimo di ciascuno di noi.

Nella brezza del mattino anzi, come più precisamente, nella voce del silenzio.

Abbiamo disimparato l’ascolto del silenzio.

Il luogo dove incontriamo Dio.

Tempeste

Succede sempre così.

Quando pensi di avere capito tutto, quando pensi di essere lanciato sulla nuova strada della fede, ecco che scopri l’assenza di Dio. Sono lontane le emozioni della preghiera, la fede entusiasta che fa cantare e gridare di gioia, lontana la comprensione della Parola che sembra essere tornata un insieme di parole senza significato. Dio c’è, d’accordo, ma è lontano, non sembra più occuparsi di noi.

Allora tutto diventa faticoso, dolorante, inutile.

Dov’è quel Dio che avevamo scoperto?

E i dubbi crescono: ci siamo sbagliati?

Non dobbiamo avere paura del dubbio: il dubbio è salubre, una fede senza dubbi è inutile e non ci cambia il cuore. Perché il dubbio spinge alla comprensione, al confronto, all’abbandono fiducioso.

L’episodio descritto dal vangelo, più teologico che storico, dice che la barca era agitata dalle onde.

In greco l’evangelista usa un verbo che, letteralmente, indica il sottoporre alla prova e che richiama una pietra durissima usata a Lidia per verificare la qualità di un metallo.

Ci spaventa la prova, ma ci aiuta a capire quanto è robusta la nostra fede.

Eccolo

Proprio quando l’onda è alta su di noi, proprio quando ci sembra di essere sconfitti, qualcosa accade. Gesù cammina sulle acque tempestose e ci ripete: «Coraggio, sono io, non abbiate paura».

Israele è sempre stato un popolo da terraferma: il mare in tempesta rappresenta il peggior incubo immaginabile per un ebreo.

Gesù viene camminando sulle acque, padroneggiando proprio le paure più terribili che possiamo immaginare, quelle che ci impediscono di gioire, che ci tagliano il fiato.

La malattia, la morte di qualcuno che amiamo, l’abbandono, la solitudine.

Pietro si tuffa, anche lui vuole camminare sulle acque, sulle difficoltà: si fida, muove i primi passi e poi miseramente sprofonda nel lago agitato.

Non basta il coraggio per camminare sulle acque del dubbio, Pietro ancora deve attraversare il deserto per crescere. Non si getterà più dalla barca, non vorrà più per sé un futuro eroico con una fede eclatante, starà seduto a guidare il timone per portare i fratelli all’altra riva.

Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste della vita, il discepolo è chiamato, come Elia, ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio, recuperando quella dimensione assoluta che è il silenzio, la preghiera, l’ascolto meditato del grande e quieto oceano della presenza di Dio, per vedere il volto di Dio che si nasconde nel vento, che pare evanescente come un fantasma.

Solo così possiamo non cedere alla rassegnazione.

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