Nella 29.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui i farisei, per mettere alla prova Gesù, gli domandano se sia lecito o no pagare il tributo a Cesare. Gesù risponde:
“Rendete … a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”.
Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
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Il Vangelo di oggi denuncia la malizia dell’ipocrisia: la doppiezza del cuore, così comune anche tra noi cristiani e così perversa, perché rovina la comunione con l’altro; sulle labbra risuona una parola, ma nel cuore c’è l’opposto, il desiderio di cogliere l’altro in fallo: “E’ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”. La risposta di Gesù ha attraversato i secoli: “Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Il denaro non porta l’immagine di Dio, anche quando vi stampiamo sopra segni o simboli religiosi o lo stesso nome di Dio: “In God we trust” (noi confidiamo in Dio), c’è scritto sul dollaro. Gesù non disprezza l’ordine sociale o politico, ma lo pone al suo posto: non può mai assurgere o prendere il posto di Dio: diventa l’abominio della desolazione, contro l’uomo. Una nota della Bibbia di Gerusalemme (Rom 8,29) dice a questo proposito: “…Cristo è venuto, mediante una seconda creazione, a rendere all’umanità decaduta lo splendore dell’immagine divina che il peccato aveva offuscato. Egli lo fa imprimendogli l’immagine più bella di figlio di Dio… Questa gloria che il Cristo possiede personalmente come immagine di Dio penetra sempre più il cristiano, fino al giorno in cui lo stesso suo corpo ne sarà rivestito a immagine dell’uomo ‘celeste’”. Noi cristiani siamo chiamati a diventare testimoni di questa nuova creazione, a farla brillare in tutti i campi della vita, in modo così esaltante che “… ancor oggi il mondo pensi che ‘siamo ebri’” (H. Rahner).
Fonte: Radio Vaticana
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