Questa Domenica la Chiesa celebra la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce. La liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù dice a Nicodèmo:
“Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
[ads2]
È una festa molto antica, sorta a Gerusalemme nel IV secolo. La data del 14 settembre è legata alla dedicazione delle due basiliche ivi costruite da Costantino, per celebrare la Risurrezione e la Morte del Signore (l’Anástasis e il Martyrion). Più tardi si unirà la tradizione del ritrovamento della reliquia della Croce del Signore. Da Gerusalemme la festa si estende in tutto l’Oriente e l’Occidente e il simbolo della Croce, e dopo il VI secolo il crocifisso, riempirà sempre di più la vita dei cristiani e gli spazi liturgici. Oggi fa realmente un certo effetto parlare di esaltazione, quando – anche noi cristiani – abbiamo perso il verso senso del mistero del Croce e forse ce ne vergogniamo: l’abbiamo tolta dai luoghi pubblici e, a volte, anche dalle nostre case. Mentre essa proclama al mondo solo un amore immenso, grande come è grande Dio e la sua capacità di donarsi all’uomo, di perdonarlo, di accoglierlo. La Croce non esalta masochisticamente la sofferenza, ma è la risposta di Dio al male e alla morte, allo scandalo della sofferenza degli innocenti. Dio non condanna il mondo, ma dà il suo Figlio perché chiunque crede in Lui non muoia. Essa strappa la storia dalla condanna al trionfo del potente e del violento, dei vari “mostri” che sfigurano il volto e il corpo dell’uomo. Essa proclama che di fronte a tutto il male che sommerge l’uomo è necessario che “sia innalzato il Figlio dell’uomo”, perché chi è scandalizzato dalla sofferenza possa guardare a Lui e sperimentare la vittoria sul male e sulla morte.
Fonte: Radio Vaticana
[powerpress]