Il commento alle letture di domenica 5 novembre 2017 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere «La Dogaia» di Prato.
Se la vita contrasta con ciò che si annuncia
«Ora a voi questo monito, o sacerdoti…» (Mal 1,14-2,10; prima lettura), da qui potremmo iniziare una riflessione sulla liturgia di questa domenica, caratterizzata appunto dal riferimento alla condotta di coloro che sono chiamati a svolgere un ministero a favore del popolo di Dio.
Se da una parte emerge la figura luminosa di Paolo che avrebbe voluto donare, oltre al vangelo, la sua stessa vita ai fratelli, cosa che peraltro farà, com’è noto (1Ts 2,7-13; 2a lettura), dall’altra si stagliano le figure «spregevoli e abiette» tratteggiate da Malachia e quelle tronfie e vacue delle quali parla Gesù (Mt 23,1-12). Si tratta di due facce di una stessa medaglia, due possibilità contrapposte residenti, come sempre, nel cuore di ogni uomo e non solo dei sacerdoti e dei farisei di quel tempo. Ancora una volta la parola risuona per noi oggi, sacerdoti, diaconi, vescovi e chiunque abbia un ministero, anche solo di fatto , nella Chiesa, noi che siamo per primi giudicati dalla parola che annunciamo e che non possiamo pretendere di possedere o di addomesticare. Il messaggio della Bibbia, l’annuncio evangelico trova proprio in questo uno dei tratti distintivi che ci permette di cogliere la sua unicità, il fatto di non essere il prodotto di congetture umane, questo non-essere- a -propria- somiglianza che si manifesta proprio nelle persone alle quali è affidato e che per prime sono messe in crisi dal compito ricevuto.
È uno squilibrio, quello del rapporto fra annuncio e vita del ministro, che non si risolve facilmente, neppure con la generica affermazione che occorre essere di esempio agli altri. Da questo punto di vista si deve sottolineare che la distanza fra annuncio e testimonianza di vita rimarrà sempre, il messaggio sarà sempre eccedente ogni nostra realizzazione, non fosse altro che per il compito di «essere perfetti come il Padre» (Mt 5,48), o amare come Cristo ha amato noi (Gv 13,34), inesauribile per definizione.
Vi è un altro motivo che merita di essere approfondito: la verità del Vangelo, l’autenticità della sua proposta risiede in sé stesso, al di là della testimonianza o della santità di vita dell’annunciatore. Altrimenti potremmo cadere nell’equivoco illustrato dal noto aforisma: «quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito». Allora quale il senso, l’importanza di una testimonianza autentica, quale il suo ruolo? Credo che, fatta salva la verità della Parola che non deve essere certificata da nessuno dei comportamenti umani, né svalutata da nessuna controtestimonianza, vi sia un ruolo che ha ogni ministro (inteso in senso ampio, in fondo coincidente con chiunque voglia «render conto della speranza che è in lui»[cf.1Pt 3,15]) che è quello di mostrare vie di vissuti possibili.
Quando vediamo all’opera un bravo artigiano o un artista noi possiamo imparare qualcosa anche se vi possono essere molti altri modi di agire, opere diverse da produrre o anche di migliori. In ogni caso possiamo aver imparato qualcosa, un modo possibile di agire in quella situazione. Così parlare di amore, fraternità in astratto è una cosa, vedere alcuni modi di realizzarli nella vita delle persone è un altro, anche se rimangono limitati e fallibili, e i tentativi migliorabili. Rimane così, sotto il segno della ricerca e del provvisorio, sia la nostra fragilità che ci permette di non cadere nel vanto (cf. Rm 3,27) che il dovere di offrire una «chiave» ai fratelli come ausilio per il cammino, per non incorrere nell’aspro rimprovero di Gesù a chi si fa ostacolo ai piccoli (cf. Lc 11,52).
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XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A
- Colore liturgico: Verde
- Ml 1,14 – 2,2.8-10; Sal.130; 1 Ts 2, 7-9. 13; Mt 23, 1-12
Mt 23, 1-12
Dal Vangelo secondo Matteo
1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosé si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 05 – 11 Novembre 2017
- Tempo Ordinario XXXI
- Colore Verde
- Lezionario: Ciclo A
- Salterio: sett. 3
Fonte: LaSacraBibbia.net
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