Il commento alle letture di domenica 5 Maggio 2019 a cura dei Missionari della Via.
Meditiamo la Parola
Il Vangelo di oggi dobbiamo cercare proprio di immaginarlo mettendo in pratica un esercizio consigliato da sant’Ignazio negli esercizi spirituali, quello cioè di entrare nel luogo materiale di ciò che vogliamo contemplare. Quindi rileggete il brano evangelico e immergetevi in quel luogo di Tiberiade: siamo in un tempo triste, precisamente dopo la passione, morte e crocifissione di Gesù e quei pescatori coraggiosi che avevano lasciato tutto per Gesù, ora si trovano soli e si sentono falliti.
Decidono perciò di ritornare alla loro vecchia vita e trascorrono tutta la notte, una notte di sudore, senza prendere nulla. Sconforto su sconforto: non solo una vita fallita, ma non riescono neanche a racimolare qualcosa per rifocillarsi dopo una notte così faticosa e infruttuosa. Proprio dopo una notte così, si fa vicino a loro Gesù, vivo e risorto, e si ferma sulla riva; anche se loro non lo riconoscono immediatamente, lui sa chi sono quegli uomini dal cuore grande nascosto sotto una corazza di durezza, e intercettando il loro bisogno senza dare soluzioni, chiede paternamente: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?».
E’ bellissimo pensare che Gesù non è estraneo ai nostri desideri più profondi, conosce il nostro desiderio di sfamarci di qualcosa, conosce i nostri sogni e intercetta i nostri fallimenti. Tanti hanno vissuto situazioni in cui si sono sentiti abbandonati: pensiamo alle persone tradite nell’amore, alle persone tradite nella fiducia, a coloro che non si sono sentiti protetti da nessuno e che talvolta avrebbero voluto un super eroe, un guerriero difensore del loro dolore e invece sono rimaste sole. A tutte queste persone è bello ricordare che Dio non è estraneo alle loro notti di dolori e ai loro fallimenti: Dio cerca sempre di intercettare la loro vita anche se, forse, non nel modo in cui loro attendevano.
Si, perché Dio supera le aspettative e sa trasformare quel dolore in qualcosa di più grande. A noi è richiesto il coraggio di questi pescatori, è richiesto di metterci il cuore e smetterla di recriminare al mondo che qualcuno è colpevole dei nostri fallimenti. Basta con continue colpevolizzazioni degli altri! Dio ti tende la mano, ma tu apri il cuore. Così potremo facilmente sperimentare, come Pietro, la grande gioia di sentire che il maestro è venuto a cercarci, e cerca proprio me che mi sento così solo e abbandonato da tutti, che pensavo che nessuno potesse capire il mio dolore. E mentre Giovanni capisce subito che quella voce d’amore non poteva che essere del maestro, Pietro, anche se in ritardo, si lancia verso di lui con un slancio di amore tale da buttarsi in acqua per raggiungerlo prima possibile.
Così anche noi quando vediamo che Dio viene a cercarci, buttiamoci in lui, mettiamo il cuore. E poi anche noi, come Pietro, potremmo intessere dei dialoghi di amore con Gesù e sentire che quell’amore che cercavamo disperatamente, che quel valore immenso che sappiamo di avere dentro, ci viene sancito da Dio, che ci ama gratuitamente e spasima per noi. Il suo amore è un amore non ricambiabile perché ci supera, davanti al quale ci sentiamo piccoli come Pietro che continua a ripetere a Gesù: “Tu lo sai che ti voglio bene!”. Sa che l’amore che dona Gesù è più grande e che bisogna fare i conti con la nostra umanità.
Noi tante volte pensiamo di sapere amare, ma solo perché non ci specchiamo davanti ad un amore più grande: quello di Gesù. Solo Gesù ci svela il volto dell’amore vero, quello che si lascia portare da qualcun altro e che si rivela nell’umile riconoscimento della propria fragilità davanti a Dio. Quante mancanze di umiltà ci allontanano dal cuore di Dio! La vita è fatta di continue ripartenze, eppure noi vogliamo essere sempre già arrivati, decidere sempre noi, puntando tutto sul sentire. Gesù ci insegna, attraverso la vita di Pietro, che l’amore è fatto di concretezza: «pasci le mie pecorelle»; e che l’amore diventa totale quando si adorna della virtù dell’umiltà, propria di chi si lascia portare.
Sapete, non è questione di età: Pietro non era un adolescente o un bambino, era un uomo adulto e con grande esperienza, ma si lascia insegnare da Gesù come si ama e addirittura, nel suo essere umile e passionale, ascolta la voce di Gesù, accogliendo qualcosa di più grande. E’ difficile avere questa predisposizione se la nostra principale preoccupazione deve essere quella di riuscire, avere successo. Tante volte alcune persone sono convinte che quel problema riusciranno a risolverlo non per abbandono provvidente alla volontà di Dio e attivo coinvolgimento nella vita, ma prefissandosi un criterio di riuscita. Ma i cristiani non sono quelli del successo, ma quelli del dono; e Pietro ci insegna che un uomo adulto, pescatore e presumibilmente non laureato, è riuscito ad entrare nel cuore di Dio e a donarsi fino alla fine. Preoccupiamoci anche noi di donare e non di avere successo. Accogliamo il dono della vita con umiltà.
Preghiamo la Parola
Signore rendici umili nel seguirti e nell’accogliere le vicende della vita. Fa che mai possiamo sentirci arrivati nell’amore ma sempre discepoli alla tua scuola. E fa che riusciamo a trasformare anche le sofferenze in vie privilegiate per amare.
VERITA’: Vita interiore e sacramenti
Mi riconosco bisognoso della misericordia di Dio? Riesco a mettere davanti a Dio le mie parti fragili, ferite?
Mi sento amato da Dio? O vivo la mia fede sotto costante minaccia di giudizio?
CARITA’: Testimonianza di vita
Cerco di prendermi cura delle persone che Dio mi ha affidato? Coltivo le relazioni in famiglia con l’ascolto, il dialogo, i gesti di affetto?