LA RESURREZIONE DI GESU’, FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO
La resurrezione è l’evento centrale della nostra fede, il fulcro della storia. Inoltre è il “segno” unico dato da Gesù (Mt 16,4) che quell’uomo morto trucidato su di una croce non era uno dei tanti derelitti della vicenda umana, ma Dio stesso che si caricava del limite del mondo per annientarlo e donarci la sua stessa vita divina.
Ecco perchè il nucleo della fede cristiana, il kèrigma, è che Cristo è risorto. Ecco perchè la Pasqua è la festa cristiana fondamentale! Paolo lo sottolinea con forza estrema: “Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta sola: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me… Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede… Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,3-22).
La testimonianza di Gesù Risorto è lo scopo della predicazione di tutta la Chiesa primitiva: l’apostolo deve essere il “testimone della sua resurrezione” (At 1,22). Paolo “annunziava Gesù e la resurrezione” (At 17,18), definendola la “prova sicura” (At 17,31) della Signoria di Cristo.
La risurrezione di Gesù è il fondamento della fede. Per coloro che già credono in Dio per speculazione filosofica rappresenterà la conferma che Gesù è veramente Figlio di Dio (e sarà il procedimento della scuola di Alessandria d’Egitto, dalla fine del II secolo); per altri, l’esperienza di un uomo che, risorgendo, vince la morte, e si dimostra quindi più forte della natura, e quindi soprannaturale, e quindi Dio, sarà il modo di arrivare a credere all’esistenza di Dio, oltre che alla divinità di Gesù Cristo (come proporrà la “via storica” della scuola di Antiochia di Siria, dal III secolo).
Tutte le genti di tutti i tempi saranno chiamate a confrontarsi con la testimonianza apostolica: la fede in Gesù si baserà sull’accettazione o meno della parola dei testimoni oculari. Ciò non deve turbarci, perché di tutti i fatti storici di cui non abbiamo esperienza personale noi non abbiamo che testimonianze indirette: io credo che ci siano state le guerre romane contro i Galli perché mi fido di quanto scrive Cesare nel “De bello gallico”; o credo che ci sia stata la rivoluzione francese perché mi fido di quanto dicono gli storici; o che ci sia stata la guerra in Iraq o la caduta del muro di Berlino sulla base dei racconti dei giornalisti della carta stampante o della radiotelevisione. E’ quindi un problema di credibilità dei testimoni. E gli Apostoli e i discepoli che mi annunciano che Gesù è risorto, sono credibili?
- Erano uomini semplici e concreti (pescatori, agenti delle tasse..), ben lontani dal potersi inventare speculazioni del genere
- Non si vergognano di dire che essi stessi per primi hanno dubitato.
- Non erano dei bugiardi: non ci hanno guadagnato nulla dalla loro attestazione.
- Non erano dei visionari: erano persone serene ed equilibrate, che impressionano per il loro equilibrio gli stessi carnefici romani, come risulta dalla letteratura che parla dei processi ai martiri cristiani.
- Erano in molti ad avere visto e in circostanze diverse.
- Pavidi e sconfitti dopo la morte di Gesù (Gv 21,19), dopo l’incontro con il Risorto escono ad annunciare al mondo la loro sconvolgente esperienza.
- Pagano con la vita la loro affermazione, suggellando nel sangue la loro parola.
- Il sepolcro, per affermazione degli stessi avverasri, era vuoto.
- Non si preoccupano di comporre le numerose discordanze che su particolari secondari degli eventi pasquali si riscontrano nei Vangeli (come avrebbe invece fatto chi avesse voluto inventare una storia simile).
- Volendo descrivere la resurrezione, non racontano mai come è avvenuta.
La resurrezione è quindi un fatto storico, ma che trascende la storia e diventa metastorico.
Ovviamente, ammettere come avvenuta la resurrezione non è ancora credere: io posso dire: “Gesù è risorto, ma non me ne importa niente!”. Dice Giacomo: “ Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!” (Gc 2,19).
La resurrezione di Gesù è il fondamento della fede. Ma, come diceva Tommaso D’Acquino, “fides rationabile obsequium”: credere è affidarsi, è buttarsi completamente nelle braccia di Dio, è accettare il suo messaggio come vero e come salvezza per me. I cristiani sono coloro che accolgono l’annuncio degli Apostoli, ma che soprattutto poi cambiano la loro vita, inserendola in quella del Risorto.
La vera fede è amore: il discepolo amato è il primo a riconoscere il Signore (Gv 21,4-7); fede è “vedere+amare” (1 Gv 4,7-8): in Gv credere (pisteuein) spesso è seguito da “in” (eis), con idea di movimento, di slancio, di abbandono (2,11; 12,44; 3,18).
I PANNI FUNERARI
Prova della resurrezione?
Fin dal V secolo Ammonio di Alessandria sosteneva che il corpo resuscitato di Gesù sarebbe uscito in modo immateriale dagli abiti funerari. Vari studiosi (Balagué, Omer…) pensano quindi che il discepolo amato abbia creduto per il modo con cui rinvenne i panni funerari, che sarebbero rimasti, impregnati dagli oli aromatici, ritti e rigidi come se il cadavere svanisse all’interno della sua mummia. Leggiamo con una traduzione letterale il Vangelo di Giovanni:
“E chinatosi (Giovanni) vede giacenti (afflosciati?) i lini tuttavia non entrò.
Giunge allora anche Simone Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e nota i lini giacenti (afflosciati?) e il sudario che era sul suo capo non giacente (afflosciato?) come i lini, ma diversamente, arrotolato dentro, al suo posto (= dove dovevano essere)” (Gv 20,5-7).
– “I lini”: la traduzione “bende” è insostenibile perché in greco “bende” si dice “keirìai” (cfr Gv 11,44: le bende del cadavere di Lazzaro). Qui invece c’è “othónia” cioè generici “tessuti di lino”.
– Il sudario”: fazzoletto (per asciugare il sudore). Qui intenderemmo mentoniera (cfr Gv 11,44: Lazzaro ha la faccia legata attorno con un sudario).
– Il participio “in-arrotolato” (“entetyligménon”) in greco è un perfetto, che indica quindi un’azione del passato i cui effetti perdurano al presente e che perciò deve essere inteso come “continuava ad essere arrotolato come era stato messo”.
– “Giacenti”: questa è la traduzione letterale del termine “kéimena”: non è corretto tradurre “per terra”. La parola “afflosciati” messa tra parentesi non è la traduzione, ma un’interpretazione. Allora sarebbe avvenuto che i lini sepolcrali, non contenendo più il cadavere, si sarebbero “afflosciati”; il sudario invece, che era più rigido, non si sarebbe afflosciato come i lini, ma sarebbe rimasto arrotolato dentro il lenzuolo al suo posto, cioè al posto in cui logicamente avrebbe dovuto trovarsi e quindi ne sarebbe rimasta visibile all’esterno la presenza.
– “eis èva tòpon”: ; lett.: in un solo luogo; cioè: nello stesso posto
“Allora dunque entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo nel sepolcro, e vide e credette” (Gv 20,8).
– Anzitutto si noti la presenza del doppio “e” che collega il vedere e il credere: la coordinazione introdotta da “e vide e credette” è in greco assai più stretta che in italiano. Essa esprime un legame di causa e di effetto: il discepolo credette in forza di ciò che vide. Quella vista lo indusse a credere alla risurrezione: se infatti qualcuno avesse voluto portar via il cadavere, non avrebbe potuto lasciare i lini in quel modo. Il discepolo ricava dunque dalla disposizione dei lini la “prova” della risurrezione di Gesù e così crede alle Scritture (cfr. Gv 2,22: “Quando dunque fu destato dai morti, si ricordarono i discepoli…, e credettero alla Scrittura e al discorso che disse Gesù”).
Prova che non c’era stato furto di cadavere?
Ma non si capisce perché tale miracolosa disposizione non abbia convinto anche Pietro. E’ forse più probabile che il discepolo amato, vedendo i lini risposti con cura, abbia pensato improbabile un furto di cadavere. Già Crisostomo diceva: “Chiunque avesse rimosso il corpo, non lo avrebbe prima spogliato, né si sarebbe preso il disturbo di rimuovere e di arrotolare il sudario e di lasciarlo in un luogo a parte” (Omelie su Giovanni, 85,4).
La “teologia del vestito”
Non dimentichiamo poi che in tutta la Bibbia esiste una “teologia del vestito”: non solo la veste ha valenza simboliche importanti (si pensi alle vesti bianche tipiche della sfera del divino o della spogliazione di Gesù della sua tunica prima di crocifiggerlo), ma anche la nudità può richiamare la primitiva situazione paradisiaca di Adamo amico di Dio.
Qui Gesù non ha più bisogno di vesti umane, perché “Cristo essendo risuscitato dai morti non morirà più” (Rm 6,9), a differenza di Lazzaro che emerge dal sepolcro avvolto nei panni funerari (Gv 11,14), perché doveva morire di nuovo.
LA RESURREZIONE DI GESU’, FONTE DELLA NOSTRA GIOIA
Nel trionfo della resurrezione del Signore, è stata annientato per sempre il male, il dolore, la morte: per la sua resurrezione siamo introdotti in un “nuovo cielo e una nuova terra”, in cui “(Dio) dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, nè lutto, nè lamento, nè affanno, perchè le cose di prima sono passate… Ecco, io faccio nuove tutte le cose… Queste parole sono certe e veraci. Ecco, sono compiute!” (Ap 21,1-6). Perciò l’Apostolo canta, citando i profeti (Is 25,8; Os 13,14): “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54-55).
Ma nella resurrezione di Cristo si è compiuto per noi un evento ancora più grande: non solo il dolore e la morte sono stati annientati, ma addirittura abbiamo ricevuto “l’adozione a figli” (Gal 4,5; Ef 1,5), e siamo diventati “partecipi della natura divina” (2 Pt 1,4)!
Che la gioia del Risorto inondi le nostre vite!