Il commento alle letture di domenica 30 Dicembre 2018 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere «La Dogaia» di Prato.
Una fiamma che può farci diventare «popolo nuovo»
Una riflessione a partire dalle letture delle celebrazioni di Natale, di domenica 30 dicembre (Sacra Famiglia), del 1° gennaio 2019 (Maria SS. Madre di Dio) e del 6 gennaio, Epifania.
Il tempo di Natale ci propone in un periodo piuttosto breve, poco più di due settimane, una notevole concentrazione di celebrazioni, alcune di grande solennità, altre di tono minore, le prime con una scelta di brani uguali per ogni ciclo liturgico, le altre con letture tipiche di questo anno. In tutta questa ricca messe potremmo soffermarci su un aspetto ricorrente, ovvero il riferimento alla santa città di Gerusalemme.
Fin dalla vigilia di Natale Isaia annuncia a Sion: «sarai chiamata con un nome nuovo…non sarai più detta devastata…perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo» (Is 62,1-5; 1ª lettura Natale Vigilia). Essa sarà chiamata «ricercata, città non abbandonata» (Is 9,1-6; 1ª lettura Natale Aurora). Isaia invita la città alla gioia «per il ritorno del Signore in Sion… perché il Signore ha riscattato Gerusalemme» (Is 52,7-10; 1ª lettura Natale Giorno). E’ in Sion che, secondo il libro del Siracide, si è stabilita la Sapienza, e in Gerusalemme è il suo potere (cf. Sir 24,1-2.8-12; 1a lettura 2ª dom. di Natale), su di lei brilla la gloria del Signore e verrà la ricchezza delle genti (cf. Is 60,1-6; 1a lettura Epifania), è al suo cuore che parla Dio per bocca del profeta per annunciarle che «la sua tribolazione è compiuta e la sua colpa scontata» (Is 40,1-5.9-11; 1ª lettura Battesimo del Signore).
Questo solo per sottolineare come l’evento del Natale, che realizza questi annunci profetici, ha una dimensione sociale, non è principalmente un evento così intimo e personale come solitamente tendiamo a celebrare. Questo almeno come impostazione iniziale perché, come sappiamo, non è andata così liscia. Proprio i suoi, che avrebbero dovuto accogliere il Verbo incarnato, la Sapienza, della quale era stato preconizzato il suo piantare la tenda in Gerusalemme, in realtà non lo hanno accolto (cf. Gv 1,1-18; Natale Giorno). Rimane un impianto «geografico», ormai totalmente asservito alla logica dell’Impero che ordina un censimento, ma è una pura costruzione incapace di accogliere davvero la novità di Dio, che si trova sballottato qua è la perché non c’era posto nell’albergo per la santa famiglia (cf. Lc 2,1-14; Natale Notte).
Anche al momento dell’arrivo dei Magi Gerusalemme rimarrà turbata assieme a Erode (cf. Mt 2,1-12; Epifania), la luce che risplende su lei, annunciata da Isaia, non sembra averla illuminata più di tanto. Sembra che la città, di per sé, non sia in grado di sintonizzarsi su questo annuncio; nonostante le traversie subite nella storia biblica, le reprimende dei profeti per i suoi peccati e l’invito a un nuovo inizio nell’accoglienza di colui che deve venire, sembra ormai diventata un guscio vuoto, asserragliata intorno al suo tempio che pure, nell’arco della vita di Gesù, conserva una certa importanza perché lì egli comincia a occuparsi delle cose del Padre suo dialogando con i dottori (cf. Lc 2,41-52; S. Famiglia), dopo essersi rivelato ancora neonato come luce delle genti ai santi Simeone e Anna (cf.Lc 2,25-40). Ma il tempio sarà destinato a rimanere drammaticamente vuoto della presenza divina e Gerusalemme a rifiutare l’abbraccio con colui che avrebbe voluto radunarla sotto le sue ali (cf. Lc 13,34).
Un altro termine ricorre in diverse letture ed è quello di popolo, a volte, è vero, associato alle parola rivolta a Gerusalemme, ma altre volte anche da solo: il termine dell’azione divina che invia Gesù come salvatore è il popolo che Dio ha scelto fin dall’inizio (cf. At 13,16-17.22-25; 2ª lettura Natale Vigilia); è un popolo che cammina nelle tenebre che vede una luce rifulgere su di lui (cf. Is 9,1-6; 1ª lettura Natale Notte); il frutto della donazione che Cristo fa di se stesso è la creazione di un popolo puro (cf. Tt 2,11-14; 2ª lettura Natale Notte); sugli Israeliti, suo popolo, Dio rivolge il suo volto e concede la pace mediante la benedizione di Aronne (cf. Nm 6,22-27; 1ª lettura S. Madre di Dio).
Se si parla di popolo si parla di persone concrete, di relazioni: emergono in questa immagine di popolo i volti e i nomi degli antenati di Cristo (cf. Mt 1,1-25; Natale Vigilia), Giuseppe, Maria, i pastori (cf. Lc 2,1-14; Natale Notte), Anna madre del profeta Samuele (cf. 1Sam 1,20-28; 1a lettura S. Madre di Dio), i Magi (cf. Mt 2,1-12; Epifania), e tutti i volti degli sconosciuti che verranno, fra i quali possiamo essere anche noi, chiamati ad essere suo popolo e realmente figli di Dio (cf. 1Gv 3,1-2.21-24; 2a lettura S. Famiglia), destinatari del dono dello Spirito ed eredi (cf. Gal 4,4-7; 2a lettura S. Madre di Dio), scelti prima della creazione del mondo (cf. Ef 1,3-6.15-18; 2°a lettura 2a dom. di Natale) in compagnia di tutte le genti, destinatarie della rivelazione del mistero nascosto nei secoli (cf. Ef 3,2-6; 2a lettura Epifania). Perciò, in teoria, città e popolo dovrebbero essere sinonimi, ma sappiamo che spesso non è così; la città è solitamente abitata da un popolo, quindi persone in relazione le une con le altre in diversi modi, ma può accadere che queste relazioni si allentino diventando evanescenti e rimanga l’impianto della città ridotto a burocrazia o poco altro. Lo stesso vale anche per la Chiesa, popolo di Dio, anche qui può accadere di smarrire la coscienza della chiamata comune a portare i pesi gli uni degli altri e limitarsi a identificarla con i suoi aspetti più esteriori, istituzionali che si sono sedimentati nei secoli.
Ecco, il Natale porta alla luce questa distonia: la città, di per sé, per santa che sia, non è capace di accogliere un Dio che batte le strade dell’umano, che privilegia la relazione, che chiama all’incontro reciproco e con lui. La città lo potrebbe fare se fosse strutturata sulla relazione, e in particolare la relazione con chi, come i pastori, è marginale, o come i Magi, portatore di un’altra cultura.
Ma la città non può capire questo linguaggio e quindi la luce del Messia che viene sarà poco più di una fiammella che dovrà essere passata gli uni agli altri attraverso l’annuncio e la testimonianza, ma comunque capace di accendere il fuoco che il Messia vorrebbe trovare acceso (cf. Lc 12,49). A noi farci testimoni e portatori di questa piccola fiamma che può riscaldare i nostri cuori e renderci un popolo nuovo nella luce di colui che viene. Buon Natale.
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