Il commento alle letture di domenica 3 ottobre 2021 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.
Testo tratto da: C. MIGLIETTA, L’EVANGELO DELLA FAMIGLIA. Matrimonio cristiano e situazioni di fragilità dopo l’“Amoris laetitia” di Papa Francesco, Gribaudi, Milano, 2016
L’Evangelo della famiglia nel Nuovo Testamento
Gesù lo Sposo
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Certamente la Bibbia descrive la realtà umana con tutte le sue ombre: da Lamec che prende due mogli[1] e dai cosiddetti “figli di Dio” che si danno ad intemperanze sessuali[2], ad Abramo, che oltre a Sara ha la schiava Agar cui si unisce per avere Ismaele[3], e che presenta Sara non come moglie ma come sorella per paura di Abimelech[4] o del Faraone[5]; a Giacobbe – Israele, che ha due mogli di primo grado, Lia e Rachele, e due di secondo grado, Zilpa e Bila[6]; a Davide, che ha un vero harem di mogli e concubine[7]; a Salomone, vero “recordman”, con settecento mogli e trecento concubine[8]… Inoltre spesso il sesso è “cosa sporca”: è impura la donna che ha partorito[9] o che è mestruata[10], o l’uomo che ha avuto la polluzione notturna[11], e i rapporti sessuali rendono inidonei al culto[12]. Inoltre la Legge stabilisce che l’uomo possa ripudiare la propria moglie[13].
Ma, come dice Gesù, “da principio non fu così” (Mt 19,1-9). L’Evangelo del matrimonio presentatoci con tanta luminosità dall’Antico Testamento, ma spesso così disatteso dalla prassi corrente in Israele, viene confermato con autorità e forza da Gesù, la Parola ultima del Padre: egli non solo è l’esegesi definitiva, ma realizza pienamente il simbolismo veterotestamentario del matrimonio: Gesù infatti è ormai lo Sposo atteso, e la Sposa è il nuovo popolo dei credenti in lui, la Chiesa.
Il progetto originario di Dio sul matrimonio
Il Deuteronomio aveva concesso al marito la possibilità di divorziare, se avesse trovato nella moglie “qualcosa di sconveniente”, eruat dabar (Dt 24,1).
Ma sull’interpretazione dell’eruat dabar si erano create, ai tempi di Gesù, due scuole: quella di Rabbi Shammai, che ammetteva il divorzio solo in caso di adulterio, e quella di Rabbi Hillel, secondo cui qualsiasi motivo era sufficiente per ripudiare la consorte: bastava che la moglie avesse lasciato bruciare una pietanza, o che avesse perso la sua bellezza giovanile, o che il marito si fosse trovato una compagna più piacente[14].
I Farisei si avvicinarono a Gesù per vedere con quale delle due correnti teologiche si schierasse. Per essi era assodato che Gesù ammettesse il divorzio, essendo questo previsto esplicitamente dalla Legge; il problema, secondo loro, era se lo concedesse solo in caso di adulterio come Rabbi Shammai o “per qualsiasi motivo” (Mt 19,3), come Rabbi Hillel.
Gesù spiazza tutti, affermando che il divorzio è stato concesso solo per la sclerocardìa, la “durezza del cuore” (Mc 10,5) di Israele, concetto equivalente all’ebraico orlat lebab, la chiusura dell’uomo al piano di Dio. Gesù afferma quindi che il progetto di Dio sul matrimonio non va ricercato nel Deuteronomio, ma proprio nel libro della Genesi, il cui nome ebraico è Bereshit, “In principio”: gli ebrei non chiamavano i libri della Scrittura con i nomi che noi abbiamo loro dato, ma con le prime parole del libro stesso, e la Genesi inizia infatti con: “In principio Dio creò…” (Gen 1,1). “Ma «in principio» (ndr: cioè nel libro della Genesi)…
Dio li creò maschio e femmina: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha unito (ndr: synèuzeuxen: «aggiogò», linguaggio simbolico che fa riferimento al giogo a due)” (Mc 10, 6-9). Si noti come Gesù cita di Gen 2,24 non il testo ebraico (“ed essi…”), ma quello greco dei LXX (“i due…”), che è già un’interpretazione forte in senso monogamico, proponendo addirittura, come abbiamo visto, un illogico matematico: “due uguale a uno”! È Dio stesso che fa dei due un’unità, inscindibile e indissolubile: chi attenta all’unità matrimoniale rifiuta il progetto creazionale di Dio.
A differenza del testo del Vangelo di Marco e di quello di Luca[15], il brano parallelo di Matteo presenta, insieme al rifiuto del divorzio, il famoso inciso che tanto ha fatto discutere: “Chiunque ripudia la propria moglie, eccetto che in caso di porneìa, e ne sposa un’altra commette adulterio (moichàtai)” (Mt 19,9). Sicuramente la porneìa non è il concubinato, come invece traduceva la Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana del 1971, perché non si vede perché l’evangelista debba prevedere un’eccezione specifica per una cosa ovvia.
Alcuni, come le chiese ortodosse o riformate, hanno visto in questa porneìa l’adulterio, e trovano qui il permesso di divorziare in un caso simile. Ma in questo senso ci saremmo aspettati un altro termine, moicheìa, la cui radice ritorna nel verbo usato alla fine del versetto (moichàtai, “commette adulterio”)[16]. Inoltre tutto il passo non avrebbe più senso, in quanto Gesù non farebbe che schierarsi con la scuola di Rabbi Shammai, che concedeva il divorzio solo in caso di adulterio, e non si capirebbe più né la sua opposizione alla legge mosaica[17], né lo stupore manifestato in risposta dai discepoli: “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10).
L’esegesi oggi più attendibile ci fa notare come l’inciso della porneìa figuri solo nel Vangelo di Matteo, che scrive per gli ebrei convertiti delle comunità della Palestina e della Siria: costoro continuavano ad attenersi alle consuetudini giudaiche che proibivano la zenut, o “prostituzione” secondo gli scritti rabbinici, cioè quelle unioni considerate incestuose perché contrassegnate da un grado di parentela proibito nel libro del Levitico[18], come il matrimonio con la matrigna o con la sorellastra, unioni spesso invece consentite dalla legislazione romana[19]. Di qui la conclusione del Concilio di Gerusalemme, che stabilì per tutti la necessità di astenersi anche “dalla porneìa” (At 15,20.29), cioè da quelle unioni che, pur considerate valide nel diritto romano, erano da considerarsi nulle, perché incestuose, secondo la legislazione ebraica: in questo caso il cristiano non solo poteva sciogliere l’unione ma, in quanto non era un valido matrimonio, aveva il dovere di liberarsene. Sarà la stessa porneìa contro cui si scaglierà Paolo condannando “in balìa di Satana un tale convivente con la moglie di suo padre” (1 Cor 5,1-5). Accettando questa interpretazione, la Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana del 2008 traduce porneìa come “unione illegittima”.
In ogni caso, “la clausola interpolata non può essere interpretata come un’eccezione all’assoluta indissolubilità del matrimonio”[20]. Ne è ulteriore prova la chiara affermazione di Paolo, cha fa riferimento non a una propria opinione, come in altri casi (il matrimonio tra credente e non credente, il celibato…[21]), ma a un preciso comando del Signore a riguardo: “Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito e il marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,10-11). In tal senso sarà l’unanime tradizione di tutta la Chiesa antica[22].
[1] Gen 4,19
[2] Gen 6,1-4
[3] Gen 16
[4] Gen 12,10-20
[5] Gen 20
[6] Gen 25,15-30
[7] 2 Sam 3,2-15; 11,2-27; 15,16
[8] 1 Re 11,3
[9] Lv 12,6
[10] Lv 15,19-30
[11] Lv 15,1-17; Dt 23,11
[12] Lv 15,18; Es 19,15; 1 Sam 21,5-6; 2 Sam 11,11
[13] Dt 24,1-4
[14] Mishnah, Gittin, IX,10
[15] Mc 5,1-12; Lc 16,18
[16] Leonardi G., in AA. VV., Credere oggi, Messaggero, Padova, 2003, XXIII, n. 4, pg. 32
[17] Mc 10,5; Mt 19,8
[18] Lv 18,6-18
[19] Fayer C., La familia romana: aspetti giuridici e antiquari, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2005, pg. 396, nota 216
[20] Schillebeeckx E., Il matrimonio realtà terrena e mistero di salvezza, Paoline, Roma, 1971, pg. 206
[21] 1 Cor 7,12.25
[22] Schillebeeckx E., Il matrimonio realtà terrena e mistero di salvezza, Paoline, Roma, 1971, pgg. 197-198
Carlo Miglietta