Il commento alle letture di domenica 29 settembre 2019 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.
IL GIUDIZIO DI GESÙ SULLE RICCHEZZE
Da: C. MIGLIETTA, CONDIVIDERE PER AMORE. La chiamata dei cristiani alla povertà, Gribaudi, Milano, 2003, con prefazione di Arturo Paoli
Nell’Antico Testamento molti testi vedono la ricchezza come segno della benedizione divina: la Terra Promessa è presentata come una regione rigogliosa, dove scorrono latte e miele, e che produce olio, vino e grano in abbondanza (Es 3,17; Nm 13,21-24.27; Dt 6,18; 8,7-10; 11,9). La benedizione divina determina l’abbondanza dei beni (Dt 6,14-19.24; 7,11-15; 11,8-20; 28,1-14; Pr 3,16; 15,6; 19,23; 28,20), e gli amici di Dio sono premiati con la prosperità già sulla terra (Gen 13,2; 26,12-14; 30,30; 33,11; Gb 5,24; 42,10-17). Ma già altri passi scritturistici considerano la ricchezza come ingiusto accumulo che determina la povertà (Pr 16,8; 17,1; 19,1.22; 20,21; 21,6; 22,4.16…; inoltre Pr 3,27-28; 14,31; 22,9; 28,27; Sir 3,29-4,6; 17,17-18; Tb 4,6-11…), e in tal senso si esprime, come abbiamo visto, la letteratura profetica. Ai tempi di Gesù, alcune correnti di pensiero ebraiche, come ci riportano Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche I, 52) e Filone Alessandrino (De sacr. Cain et Abel I,2), equiparano la ricchezza all’essere ripudiati da Dio, dall’etimologia del nome di Caino, la cui radice “qanah” significa “acquistare” e “invidiare”: Caino è colui che accumula, e che al contempo soggiace all’egoismo, al chiudersi in se stesso, all’odio: possedere senza condividere è quindi opposizione all’apertura agli altri, al dono, all’amore. Gesù si affianca a questa interpretazione radicale, con uno sconvolgente messaggio sul significato delle ricchezze che certamente scandalizzò i suoi contemporanei e che non finisce di turbarci tutt’oggi.
UN NUOVO ANNUNCIO: IL RICCO NON SI SALVA
Guai ai ricchi
Gesù riprende i “Guai!” profetici (Am 5,18; 6,1-7; Mi 2,1-5; Is 5,5-24) contro i ricchi: “Guai a voi, o ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete” (Lc 6,24-25).
Gesù considera i ricchi come esclusi dal Regno per il solo fatto di possedere beni: sconcertante è la parabola del ricco e del povero Lazzaro (Lc 16,19-31). Anzitutto, in questa parabola Gesù pone all’inferno il ricco solo per l’abbondanza dei suoi beni, e Lazzaro “nel seno di Abramo” solo perché povero in terra, indipendentemente dalle loro disposizioni interiori. Il ricco anzi pare persino… un uomo pio, che nei tormenti infernali si preoccupa della salvezza dei suoi fratelli, e che implora per essi una rivelazione più chiara sull’uso delle ricchezze. Ma è dannato perché ricco: ciò scandalizzò a tal punto Girolamo che nella Vulgata si permise di aggiungere autonomamente “ma nessuno gliene dava” al versetto che descrive il desiderio di Lazzaro di partecipare ai beni del ricco (Lc 16,21), tanto per attribuire al ricco almeno la colpa della sua insensibilità ai miseri. Ma il testo è ben più duro, e depone per il contrappasso di una situazione oggettiva: “Abramo rispose (al ricco): <<Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti>>” (Lc 16,25). Si noti poi come Abramo richiami che l’illiceità delle ricchezze debba già essere evinta chiaramente dalle Scritture (“Mosé e i profeti”: Lc 16,31).
Giacomo, “fratello del Signore” (Gal 1,19), riprenderà questa linea di Gesù con una posizione molto dura: “E ora a voi, o ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme, il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!… Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage” (Gc 5,1-5).
Molti commentatori hanno accostato questo testo di Giacomo con il libro apocrifo di Enoc nella versione etiopica; ma emerge una differenza fondamentale: mentre nell’apocrifo si promette la vendetta dei poveri sui ricchi (1 Enoc 98,12), in Giacomo è Dio solo che si fa vindice dei poveri, che opera questo grande “ribaltone” delle umane sorti (cfr Sl 37,39-40). Lo stesso Giacomo afferma: “Il fratello di umile condizione si rallegri della sua elevazione e il ricco della sua umiliazione” (Gc 1,9): “c’è una stretta corrispondenza tra la lettera di Giacomo e la predicazione di Gesù… Per Giacomo come per Gesù, i poveri sono gli eredi del regno di Dio… Ambedue strutturano il loro pensiero secondo lo schema umiliazione-esaltazione del povero” (F. Mussner, La lettera di Giacomo, Paideia, Brescia, 1970, pg. 123); “il discorso rientra nello schema contrapposto del povero-ricco dei Salmi, dove il povero è rassicurato e confermato nella sua scelta di fedeltà con l’annuncio della rovina certa del ricco. In tal caso l’invito a <<gloriarsi>> suonerebbe come sottile ironia… Un’interpretazione che tende a ricuperare il ricco propone di vedere nella <<umiliazione>> il declassamento subito con la conversione cristiana, che ha comportato per il ricco anche un boicottaggio economico da parte dei suoi colleghi; altri vedono nella <<esaltazione>> del povero e nell’umiliazione del ricco l’effetto della comunanza di beni attuata nelle prime comunità cristiane della Giudea, che fa sparire le disparità socioeconomiche” (R. Fabris, Lettera di Giacomo e Prima Lettera di Pietro, Dehoniane, Bologna, 1980, pg. 37).
Come scrive il cardinal Tettamanzi, di fronte alla domanda di come Dio possa tollerare tanta sperequazione tra gli uomini, “la parabola (ndr: del ricco e del povero Lazzaro) risponde: la giustizia avrà l’ultima parola, ma dopo la morte nell’aldilà, quando la situazione del ricco e del mendicante sarà letteralmente capovolta rispetto a quella terrena… Lazzaro sta sulla coscienza di ciascuno di noi. Infatti, a ben pensarci, siamo tutti raffigurati nel ricco epulone ogniqualvolta non lasciamo cadere dalla nostra mensa ciò che per noi è superfluo, mentre può essere ragione di vita per il povero Lazzaro” (D. Tettamanzi, Globalizzazione: una sfida, Piemme, Casale Monferrato, 2001, pg. 31.41). E aggiunge: “Giovanni Paolo II, più volte nei suoi discorsi, ha allargato a livello mondiale il senso della parabola leggendo nel ricco e in Lazzaro le figure emblematiche della gravissima situazione di ingiustizia che vede tra loro contrapposti popoli ricchi e popoli poveri, in un divario che anziché arrestarsi tende ad aumentare paurosamente” (D. Tettamanzi, op. cit., pg. 31).
“Il messaggio di Gesù è quindi chiaro, ed è avvalorato da tutto il Nuovo Testamento. In realtà, di fronte alla disuguaglianza esistente fra ricchi e poveri, coloro che si trovano in una situazione di pericolo dinanzi al giudizio di Dio sono i ricchi” (J. de S. Ana, I poveri, sfida alla credibilità della Chiesa, Claudiana, Torino, 1980, pg. 38). Quindi “la ricchezza non significa una speciale elezione da parte di Dio, ma, al contrario, il più grande pericolo per la <<salvezza dell’anima>>” (F. Mussner, op. cit., pg. 120). Scriveva Leone XIII nella “Rerum novarum” (1891): “I fortunati sono dunque ammoniti…; i ricchi debbono tremare, pensando alle minacce di Gesù Cristo…; dell’uso dei loro beni dovranno un giorno rendere rigorosissimo conto a Dio giudice” (Rerum novarum, nn. 111-113).
Arturo Paoli, Piccolo Fratello da tanti anni tra i poveri in Brasile, riflettendo sull’impatto che certamente ebbe nell’uditorio di Gesù il suo: “Guai a voi, o ricchi!”, pone un’inquietante domanda: “Chi è stato messo al bando della società israelita, chi è stato crocifisso, il Gesù delle beatitudini o il Gesù delle maledizioni? Se Gesù avesse detto solamente <<Beati voi poveri>> e non avesse aggiunto <<Guai a voi ricchi>>, sarebbe stato messo in croce?” (A. Paoli, Il Grido della terra, Cittadella, Assisi, 1976, pg. 32).
Da: C. MIGLIETTA, CONDIVIDERE PER AMORE. La chiamata dei cristiani alla povertà, Gribaudi, Milano, 2003, con prefazione di Arturo Paoli
Letture della
XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Prima Lettura
Ora cesserà l’orgia dei dissoluti.
Dal libro del profeta Amos
Am 6,1a.4-7
Guai agli spensierati di Sion
e a quelli che si considerano sicuri
sulla montagna di Samaria!
Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani
mangiano gli agnelli del gregge
e i vitelli cresciuti nella stalla.
Canterellano al suono dell’arpa,
come Davide improvvisano su strumenti musicali;
bevono il vino in larghe coppe
e si ungono con gli unguenti più raffinati,
ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano.
Perciò ora andranno in esilio in testa ai deportati
e cesserà l’orgia dei dissoluti.
Parola di Dio
Salmo Responsoriale
Dal Sal 145 (146)
R. Loda il Signore, anima mia.
Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri. R.
Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri. R.
Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione. R.
Seconda Lettura
Conserva il comandamento fino alla manifestazione del Signore.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
1 Tm 6,11-16
Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni.
Davanti a Dio, che dà vita a tutte le cose, e a Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato, ti ordino di conservare senza macchia e in modo irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo,
che al tempo stabilito sarà a noi mostrata da Dio,
il beato e unico Sovrano,
il Re dei re e Signore dei signori,
il solo che possiede l’immortalità
e abita una luce inaccessibile:
nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né può vederlo.
A lui onore e potenza per sempre. Amen.
Parola di Dio
Vangelo
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore