Commento alle letture di domenica 27 Agosto 2021 – Carlo Miglietta

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Il commento alle letture di domenica 27 Agosto 2021 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

Purità legale

Marco dà in questo brano tante spiegazioni perché sta scrivendo per una comunità italiana. Matteo, nel brano parallelo (Mt 15,1-20), non si preoccupa di dare tanti chiarimenti in quanto parla a comunità ebraiche che ben conoscono gli usi, i costumi e la cultura ebraica.

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Prima che Gesù vada dai pagani, Marco pone un lungo discorso di Gesù, il più lungo di questa sezione, per far cadere la discriminante, il muro fra gli ebrei ed i pagani.

Il problema centrale è proprio quello del versetto 15: quello di cibi puri e di cibi impuri. Su questo si dibatte a lungo nella prima comunità cristiana (At 10,1-11,18): si fa anche un Concilio su questo argomento (At 15,3-21).

La Legge comandava agli israeliti di mangiare soltanto gli animali considerati puri (Lv 11; Dt 14), e la tradizione definisce anche le norme di macellazione e di cottura dei cibi: è la cosiddetta cucina kasher. In base ad esse è vietato cibarsi degli animali che sono considerati “impuri” (taref). Tali sono:

  1. gli animali che non ruminano o sono privi di unghie (lepre, cane, gatto, cavallo, cammello, maiale, irace);
  2. i pesci senza pinne o squame (molluschi, mitili, crostacei, anguille);
  3. gli uccelli come l’aquila, il falco, il gabbiano, il corvo, la civetta, il cigno, la cicogna, l’ibis, il pellicano;
  4. gli insetti alati che camminano su quattro zampe, eccetto cavallette, locuste e grilli;
  5. gli animali che strisciano per terra: non solo i serpenti, ma anche le talpe e i topi.

All’inizio tali norme nascono come precauzioni igieniche, per paura di infezioni e inquinamento: la proibizione di mangiare i rapaci è dovuta al fatto che questi spesso si cibano di carogne; molti degli animali proibiti si nutrono di rifiuti, o vivono presso acque paludose.

Il cammello viene preservato perché troppo importante come mezzo di locomozione. Era severamente vietato mangiare sangue o grasso (Lv 7,25-27) riservato a Dio.

La gazzella, il cervo, l’agnello, il capretto sono invece gli animali “puri” per eccellenza. Ma è vietato “cuocere il capretto nel latte di sua madre” (e per estensione, in generale, mescolare carne e latte): usanza introdotta in un secondo tempo, perché Abramo offrì a Dio vitello arrosto e yogurt (Gn 18,18). Forse per evitare sprechi, poiché carne e latte sono entrambi alimenti proteici, o per differenziarsi dalle tribù vicine, che invece praticavano quest’alimentazione: “la proibizione era vincolata al fatto che tale ricetta era in uso presso i cananei, gli indigeni della Terrasanta, nei cui confronti Israele voleva prendere le distanze onde evitare il rischio di sincretismo” (G. Ravasi).

La questione dei cibi puri e dei cibi impuri era così radicata nella cultura ebraica che provocò dure diatribe tra i primi cristiani provenienti dal paganesimo e i cristiani di origine ebraica, che volevano imporre le loro norme anche ai convertiti non ebrei. Ci volle una particolare rivelazione di Dio a Pietro, a Cesarea, per fargli capire: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano” (At 10-11). 

Il vero onore ai genitori

Altro  tema importante sollevato da farisei e scribi è perché i discepoli mangino il pane con mani impure. Al v. 2 e al v. 5 i farisei notano che i discepoli mangiano con le mani impure, cioè senza essersi lavati le mani.

Gesù risponde con i vv. 6-13 citando Isaia per attaccare fondatamente i farisei. I farisei al comando di Dio hanno contrapposto 613 comandi, al precetto hanno contrapposto i “mishuot”, i precetti. Gesù cita addirittura quel paradosso, il “korban”, secondo cui quelli che invece di mantenere i propri genitori facevano un’offerta al tempio, erano esentato dalla tutela dei loro anziani.

La Bibbia ribadisce l’importanza di trattare bene i propri genitori; chi li maltratta, cioè si comporta con loro in maniera non conveniente ai loro bisogni, “sia maledetto!” (Dt 27,16): e per gli ebrei la maledizione è qualcosa di concreto, è essere privati di ogni bene da Dio; e chi non è riconoscente con chi gli ha dato la vita, offende Dio stesso, fonte prima della vita; perciò non è neppure degno di vivere: “dovrà essere messo a morte…, il suo sangue ricadrà su di lui” (Lv 20,9). “Chi rovina il padre e fa fuggire la madre è un figlio disonorato ed infame” (Pr 19,26). Contro chi cerca l’onor del mondo dopo avere emarginato i genitori, la Parola di Dio è chiara: “Chi deruba il padre e la madre e dice: «Non è peccato», è compagno dell’assassino” (Pr 28,24). Anche Gesù, che più volte nella sua predicazione richiama il comandamento verso i genitori (Mt 15,4; 19,19), si scaglia contro coloro che, facendo offerta sacra (korbàn) di beni al tempio, pretendevano poi di stornarli dall’aiuto da dare ai genitori (Mc 7,6-13).

Gesù ci insegna quanto concreto sia l’“onore” che Dio ci richiede verso i genitori: è innanzitutto aiutarli economicamente, sistemarli socialmente, provvedere ai loro bisogni effettivi, reali, profondi: non bastano pie parole o attestazioni di affetto. Inoltre il Signore ci mette in guardia dal pericolo di emarginare gli anziani in nome di vari “valori”: la convivenza familiare, il lavoro, la carriera, l’alloggio, la moglie e i figli e le loro necessità (vacanze, viaggi, quieto vivere… perché il vecchio magari sporca, perde le bave, bisogna pulirlo, di notte grida…). A volte si usa come pretesto l’impegno politico, sindacale, la scelta di vita per il Signore…

E talora assistiamo anche nelle comunità religiose a vere e proprie forme di emarginazione dei confratelli o delle consorelle anziani, magari ammassati in un unico cronicario, messi da parte, in nome proprio della disponibilità all’annuncio del Vangelo, laddove più dovrebbe essere evidente il segno della fratellanza e dell’obbedienza al comando di Dio di amarci “non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3,18). Certo, il Regno ha priorità anche sugli affetti parentali (Mt 10,35.37; Lc 9,59-62): ma dobbiamo chiederci se talora non amiamo il prossimo… a spese dei più prossimi! Ci ammonisce Paolo: “Figli o nipoti…, imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, poiché è gradito a Dio” (1 Tm 5,4).

Interiorità e radicalità

I precetti dei farisei sono tutta esteriorità. Per capire il mistero del pane unico che è Gesù Cristo, dobbiamo avere un cuore diverso, un cuore capace di amare.

E di fronte ai discepoli nei versetti successivi Gesù spiega la sua parabola, spiega il suo “mashal” (vv. 14-17).

Marco ci dice che Gesù ci richiede una morale radicale. Ai vv. 21-23 c’è un “elenco di vizi” (cfr Rm 1,29-31; Gal 5,19-21; Col 3,5-8; 2 Tm 3,2-5…), dodici (simbolo della totalità del male), di cui sei al plurale (atti cattivi) e sei al singolare (atteggiamenti interiori).

Gesù ci chiede che il nostro cuore sia totalmente di Dio. Gesù lo ribadisce soprattutto a noi che siamo “endo”, che siamo “in casa” (v. 17: la casa per Marco è simbolo della Chiesa), perché non abbiamo ancora capito, perché siamo sordi e ciechi.

Carlo Miglietta