Prima lettura: Isaia 8,23b-9,3
In passato il Signore umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Mádian. |
Nel contesto storico della vittoriosa campagna militare di Tiglat Pileser, re assiro, si legge il presente annuncio di liberazione. Il brano vive di una luce di speranza. Si apre con uno stridente contrasto tra il passato di umiliazione e un futuro di gloria. «Zàbulon e Nèftali» (8,23) sono due tribù del Nord che hanno come frontiera il monte Tabor. Il loro territorio fu vinto da Tiglat Pileser nel 732. Costui ne deportò l’élite, causando la loro «umiliazione» (cfr. il Sal 136,23, dove ‘umiliazione’ rimanda a ‘esilio’) che ora viene riscattata con un annuncio di trionfo. La gloria si concretizza in due immagini: la luce che rischiara la strada al popolo in cammino e la gioia che si prova quando si partecipa alla mietitura e alla divisione del bottino (9,2).
Alla fine si da il vero motivo della gloria futura: è un’esperienza di liberazione. È qui che la gioia trova un motivo preciso. Si allude alla liberazione dal gravoso peso degli Assiri, reso ancora più duro da un atteggiamento di persecuzione («bastone del suo aguzzino»: 9,3). La vittoria è fatta risalire direttamente a Dio («tu hai spezzato») che anche in questo caso è intervenuto in modo inaspettato e strepitoso, come altre volte; si riporta il caso di Gedeone che con l’aiuto di Dio vinse i Madianiti (cfr. Gdc 7,15-25). Fu un evento che fece storia (cfr. Sal 83,10; Is 10,26) e simboleggia i prodigiosi interventi di Dio a favore del suo popolo. La gloria di Dio si rivela diventando gloria per il suo popolo. Il profeta gioioso annuncia una primavera di vita che ha in Dio la sua origine. Il testo prepara la comprensione del vangelo, dove Gesù stesso annuncia l’irruzione della signoria di Dio (il suo regno) nella storia degli uomini.
Seconda lettura: 1 Corinzi 1,10-13.17
Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, a essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e di sentire. Infatti a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato dai familiari di Cloe che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: «Io sono di Paolo», «Io invece sono di Apollo», «Io invece di Cefa», «E io di Cristo». È forse diviso il Cristo? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo? Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. |
Dopo il saluto d’apertura e il rendimento di grazie al Signore per la ricchezza spirituale di cui ha colmato la comunità di Corinto, Paolo affronta senza indugi il primo argomento della lettera, il problema su cui gli preme fare subito chiarezza: le fazioni che dividono la giovane chiesa e rischiano di vanificare l’annuncio del Vangelo di Cristo.
10 — Con la consueta immediatezza Paolo comincia per così dire dal fondo, dall’esortazione conclusiva, espressa con foga e passione: “Vi esorto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo”. Le motivazioni verranno solo dopo: l’essenziale è mantenere l’unità nella fede. Paolo la descrive con tre espressioni, due in positivo che si rafforzano a vicenda e ne racchiudono una terza, in negativo: siate unanimi nel parlare («diciate tutti la stessa cosa» implica non solo identità di contenuti, ma concordia nell’operare), non vi siano divisioni («scismi»), siate in perfetta unione di pensiero e di sentire.
11-12 — Successivamente, Paolo spiega cosa ha provocato questo suo accorato intervento: qualcuno (non sappiamo chi siano i «familiari di Cloe») gli ha riferito l’esistenza di gruppi contrapposti nella comunità. Il fatto è sintetizzato da Paolo in un solo, incisivo versetto: non è il caso di soffermarsi sul merito delle divergenze, di analizzare le ragioni degli uni o degli altri. Ciò che Paolo respinge non è una deviazione dottrinale o un’eresia, ma il fatto stesso della divisione, l’esistenza di fazioni personalizzate che si richiamano a un nome, fosse pure quello di Cristo, per escludere altri fratelli dalla comunità. L’apostolo ricorda quattro di queste fazioni: di Paolo, di Apollo, di Cefa, di Cristo, e le respinge tutte, anche quella «di Paolo» e quella «di Cristo», come contrarie alla carità e al Vangelo.
13 — Il suo grido accorato è una duplice domanda retorica: È forse diviso il Cristo? Dividere la comunità significa infatti lacerare il corpo stesso di Cristo. Richiamarsi ad altri maestri, fossero pure gli apostoli, autentici testimoni dell’evangelo, significa sostituire al Cristo, mediatore unico della salvezza, uomini che sono soltanto suoi discepoli: Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete stati battezzati nel nome di Paolo?
17 — Paolo accenna brevemente al proprio ministero, nomina le poche persone che ha battezzato, per allontanare da sé qualsiasi sospetto di faziosità, sconfessando pienamente il «partito di Paolo». Il suo compito è l’annuncio del Vangelo, e questo unicamente nel nome di Gesù Cristo, nel segno della kenosi, della «stoltezza della croce», e non della «sapienza di questo mondo». L’apostolo non si vanta della propria capacità oratoria, al contrario, respinge da sé ogni «sapienza di parole» (sofia logou), per non svuotare della sua potenza la croce di Cristo.
Vangelo: Matteo 4,12-23
Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. |
Esegesi
Siamo all’inizio del Vangelo di Matteo. Dopo l’introduzione costituita dal «Vangelo dell’infanzia», la missione di Gesù — preparata dalla predicazione del Battista (3,1-12), dal battesimo al Giordano (3,13-17) e dalle tentazioni nel deserto (4,1-11) — ha finalmente inizio. Matteo la collega esplicitamente con il Battista: quando l’arresto interrompe la predicazione di Giovanni, Gesù inizia la propria, con le stesse parole: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (3,2 e 4,17).
Tre brevi sezioni sono facilmente riconoscibili in questa pericope, contrassegnate tutte e tre dal riferimento alla Galilea contenuto nel primo versetto.
1) Inizio della predicazione, sua ambientazione geografica e biblica (4,12-17).
Secondo la tradizione, il luogo in cui Giovanni battezzava non era lontano dalla foce del Giordano nel Mar Morto, e Gesù si sarebbe poi ritirato sul «Monte della Quarantena», a ovest di Gerico, ai margini del deserto di Giuda.
Dalla Giudea, saputo dell’arresto di Giovanni, Gesù si sposta in Galilea, non più a Nazaret (la sua città) ma a Cafarnao, sulla riva settentrionale del lago di Tiberiade. La precisazione geografica non basta però a Matteo, preoccupato ancor più di sottolineare ogni collegamento della storia di Gesù con le profezie dell’Antico Testamento, attraverso le cosiddette «citazioni di compimento»: «…perché si compisse ciò che era stato detto…». Eccolo quindi indicare che la Galilea, posta tra il Giordano e la «Via del Mare», corrisponde ai territori delle tribù di Zabulon e Neftali (a ovest e a nord del lago), con la citazione di Is 8,23-9,1. La Galilea è detta «dei pagani», o «dei Gentili», perché molto frequentata dai pagani provenienti dalle nazioni confinanti (la provincia romana di Siria a nord e a ovest, la Decapoli a est del lago). Qui ha inizio la predicazione di Gesù, in continuità ideale con il Battista: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».
2) Chiamata dei primi discepoli (4,18-22).
Sulle rive del «mare di Galilea» (il lago) Gesù incontra e chiama i primi discepoli. Sono due coppie di fratelli, tutti pescatori (Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni). I due brevi racconti si corrispondono in parallelo; gli uni e gli altri interrompono senza indugio il lavoro in cui sono impegnati, abbandonano tutto (le reti e la barca; Giacomo e Giovanni anche il padre Zebedeo) e seguono Gesù.
La singolarità di questo rabbi itinerante salta subito all’occhio da alcuni particolari: contrariamente alla prassi del tempo, secondo cui l’aspirante discepolo sceglieva il maestro cui affidarsi per la sua formazione, qui è Gesù che sceglie i suoi discepoli; non viene proposto loro lo studio della Torah né una particolare dottrina o prassi, ma semplicemente la sequela di Gesù. Gesù stesso quindi si offre come via, come dottrina, come legge; e la prospettiva indicata è farsi suoi imitatori nel chiamare altri a seguirlo: «pescatori di uomini».
3) Sintesi dell’attività di Gesù (4,23-25).
L’ultima sezione sintetizza l’attività di Gesù e ne indica l’efficacia: l’accorrere delle folle e l’aumento del numero dei seguaci.
Nel v. 23, una serie di quattro verbi offre un quadro vivace e dinamico. Gesù percorreva (periēghen) la Galilea: è lui che si mette alla ricerca degli uomini per portare loro la salvezza. Insegnava (didaskōn) nelle sinagoghe: la sua parola parte dalla radice della Torah e dei profeti. Annunciava (kērussōn) il vangelo del regno: è il contenuto centrale del messaggio di Gesù e dei suoi. Guariva (therapeuōn) tutti i mali: l’annuncio del vangelo è inscindibile dai gesti di liberazione dal male compiuti da Gesù.
Meditazione
L’esperienza della salvezza espressa come irruzione della luce in un contesto di tenebra: questo il messaggio che unisce il testo di Isaia e il vangelo. La zona del nord d’Israele, dove erano stanziate le tribù di Zabulon e di Neftali, in passato umiliate sotto la mano del sovrano assiro che le assoggettò, smembrò in tre distretti (Is 8,23b) e ne deportò la popolazione, conosceranno una liberazione (I lettura): la salvezza è qui una liberazione sul piano storico; Gesù che si stanzia in quella medesima regione è la salvezza di Dio fatta persona: la salvezza si situa sul piano teologico (vangelo). Se la salvezza operata da Dio per le zone settentrionali d’Israele appare come una rinascita a popolo di zone ridotte precedentemente a non-popolo, la venuta di Gesù in Galilea provoca la rinascita di alcuni uomini galilei, dei pescatori, a pescatori di uomini, a discepoli di Gesù. La salvezza è qui colta nella sua dimensione esistenziale. La luce che Gesù è si irradia e suscita una chiamata alla sequela e un invio in missione: la salvezza è una nuova nascita, un venire alla luce.
L’arresto di Giovanni Battista segna la fine del suo ministero pubblico e l’inizio del ministero di Gesù. Il ritiro (Mt 4,12) è il luogo spirituale che consente a Gesù di assumere la fine di Giovanni e decidere l’inizio del proprio ministero. Il ritiro appare luogo di elaborazione della perdita, di confronto con la paura, di assunzione della solitudine, di lettura della realtà alla luce della parola di Dio (cf. la citazione del passo di Isaia: Mt 4,15-16), di accoglienza di un’eredità e infine di elaborazione della decisione nella piena assunzione della propria responsabilità. Responsabilità nei confronti di Dio, di Giovanni, ma anche delle persone che, senza Giovanni, abitavano in zone tenebrose, prive della luce che Giovanni irradiava. Persone che, per Matteo, non sono solamente dei figli d’Israele, ma anche dei pagani: la «Galilea delle genti» (Mt 4,15) comprendeva una popolazione mista di ebrei e pagani. La luce postpasquale della resurrezione si riflette sul Gesù che si stabilisce a Cafarnao, anticipando la manifestazione del Risorto in Galilea (Mt 28,16-20).
Gesù inizia il suo ministero situandosi in continuità con il suo predecessore. In effetti, le parole della sua predicazione sono le stesse di Giovanni: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 4,17; cfr. Mt 3,2). In Gesù però la pregnanza delle parole sulla vicinanza del Regno è molto più forte: egli stesso, nella sua persona, narra il regnare di Dio. Gesù appare come successore di Giovanni che ne accoglie l’eredità e la vivifica innovandola con la sua presenza messianica. Sempre la trasmissione della fede e della vita spirituale è opera di testimonianza, di martyría: Giovanni è testimone di Dio nella sua vita e nella sua morte (a cui prelude il suo arresto: cfr. Mt 11,2-15; 14,3-12), così la sua vita diviene eloquenza, parola, messaggio di Dio stesso (Mt 21,25). E Gesù, sull’esempio di Giovanni e accogliendone il messaggio, consegna la propria vita al cammino che Dio gli dischiude indirizzandolo sulle orme di Giovanni.
La continuità con Giovanni diviene subito novità dell’agire di Gesù: egli chiama con estrema autorità alla sua personale sequela. E la chiamata chiede all’uomo di realizzare il proprio nome (Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni) nella sequela di Cristo; di ordinare la propria umanità alla luce di Cristo, del suo cammino e della sua promessa («Vi farò pescatori di uomini»: Mt 4,19); di lasciare tutto (il lavoro, la famiglia: Mt 4,20.22) con atto di libertà e di impegnare anche il futuro in un «sì» che viene detto in un momento preciso e di cui non si possono sapere le conseguenze («subito … lo seguirono»: Mt 4,20.22). Il «subito» della sequela immediata e senza condizioni deve divenire durata, perseveranza, definitività, e questo è possibile solo se si rinnova nel prosieguo del cammino il ringraziamento per la vocazione ascoltata e accolta un tempo, la fiducia nella misericordia del Signore, la docilità al suo Spirito, la preghiera umile al Signore.
Commento a cura di don Jesús Manuel García