Il commento alle letture di domenica 24 Novembre 2019 a cura di p. Samuele Duranti, sacerdote cappuccino.
Il suo trono è una croce, la sua corona è di spine
La festa di questa domenica, istituita da papa Pio X quando, nel Messico, i cristiani perseguitati morivano al grido «Viva Cristo re!», corona in maniera splendida l’anno liturgico, che ci ha fatto rivivere gli eventi della nostra salvezza.
Cristo re: un titolo che attraversa millenni e che in fondo a Gesù è stato riconosciuto. Possiamo risalire al patriarca Giacobbe, che predice alla discendenza di Giuda: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del suo comando dai suoi piedi, finché verrà colui al quale appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli». L’angelo Gabriele così annuncia a Maria: «Tuo figlio sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». I magi, venuti dal lontano Oriente, omaggiano il neonato re dei giudei. Gesù fugge quando lo cercano per farlo re e però, quando ormai non c’è più pericolo di essere preso per un re guerriero, vuole entrare in Gerusalemme, acclamato re. Prende a nolo un asinello – non un destriero – e trionfalmente è osannato Figlio di Davide: Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! È accusato dinanzi a Pilato perché si è fatto re! Sul cartiglio dove è scritta la motivazione della condanna alla morte di croce, si legge: Gesù nazareno, re dei giudei. In tre lingue – greco, ebraico, latino – perché tutti lo sappiano, tutti lo riconoscano. E, infine, avrà una sepoltura regale: trenta chili di profumi, una sindone nuova, un sepolcro nuovo, in un giardino incontaminato.
Ma sostiamo ai piedi della croce, dove ci conduce il vangelo di questa domenica di solennità. Siamo sul calvario. Gesù è stato crocifisso. L’evangelista Luca tratteggia la scena come a un teatro: il popolo sta a guardare; in un silenzio irreale, in un silenzio assordante. Guarda: come spettatori, incapace di battersi il petto. I capi, invece, lo scherniscono: Ha salvato gli altri e non sa salvare se stesso! Lo faccia, se è il Cristo di Dio! E così i soldati: lo deridono e lo insultano: Se sei il re dei giudei, salva te stesso!
Ai due lati di Gesù due malfattori crocifissi con lui. Di questi, uno, arrabbiato per l’impotenza di Gesù incapace di salvarlo, lo insulta. L’altro rimprovera il compagno; ammette le sue colpe: noi riceviamo il castigo meritato; e riconosce l’innocenza di Gesù: Non ha fatto nulla di male. Crede, insomma, a quanto è scritto nel cartiglio sopra la croce e così prega: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno! E Gesù: in verità ti dico: oggi sarai con me nel paradiso.
Contempliamo il nostro strano Re. Lo aveva detto: il mio regno non è di questo mondo; ecco perché non ha né servi né soldati. Il mio regno non è di quaggiù. È proprio totalmente diverso. I re di questo mondo hanno troni d’oro, corone d’oro, scettri d’oro, vesti dorate. Il trono di Gesù è una croce; la sua corona è di spine; le sue mani non stringono uno scettro di comando, ma sono spalancate ad un abbraccio senza confini; per vesti ha appena uno straccio! Bellissimo, meraviglioso questo nostro Re!
Lessi un giorno queste righe: «Io non lo conoscevo. Mi avvicinai, vidi che soffriva terribilmente, come un cencio strapazzato da un vento furioso. Ma perché deve soffrire così? Mi avvicinai, volevo staccarlo dalla croce; ma lui mi disse: Lasciami quassù! Non ci sono per odio, ma per amore e finché nel mondo ci sarà un uomo da accogliere, da perdonare, da salvare io l’attenderò quassù!»
p. Samuele Duranti, sacerdote cappuccino.
Vice parroco e assistente dell’Ordine Francescano Secolare.
Dati aggiornati al 04/05/2019
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