Il commento alle letture di domenica 24 Marzo 2019 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere ยซLa Dogaiaยป di Prato.
Convertirsi per rimanere saldi nel Signore
Vi รจ un detto che, nella sua aspra veritร , potrebbe richiamare e riassumere uno dei temi del brano evangelico di questa domenica (Lc 13,1-9): pensiamo sempre che certe cose (malattie, disgrazie, fallimenti) accadano agli altri; ma qualche volta gli altri siamo noi. Eโ un detto che potrebbe aprire la porta a uno scetticismo totale, a vivere in modo fatalistico la nostra vita, ma รจ vero che anche la posizione di Cristo, nei primi versetti, รจ altrettanto netta e tagliente, senza nessun cedimento a indorare la pillola del rapporto con una vita caotica, attorcigliata su sรฉ stessa, dove la ricerca di spiegazioni e rassicurazioni puรฒ alimentare lโillusione che vi sia una motivazione razionale, riconducibile a punti fermi, a infrazioni di leggi naturali o morali (e certe volte puรฒ pure esser cosรฌ) ma si tratta di una coperta stretta con una valenza simbolica, come quella di Linus, utile solo a calmare le nostre paure piรน recondite fino allo shock successivo.
Ma, potremmo ribattere, si tratta solo di conversione? In che senso convertendosi possiamo uscire da questa situazione che ci paralizza? Si tratta, daccapo, di punizioni che Dio manda ai peccatori? Ma Gesรน non ha appena detto che non รจ quello il punto? E anche la parabola del fico sterile รจ solo lโannuncio della sospensione di una condanna, una sorta di condizionale, o qualcosโaltro?
Le altre letture possono offrirci altre prospettive: nella prima (Es 3,1-15) viene narrato lโincontro di Mosรจ con Dio e la chiamata che egli riceve per realizzare quello che Dio ha in mente, liberare il suo popolo, perchรฉ Egli ha visto le sue sofferenze, senza che nessuno si sia rivolto a lui esplicitamente; un intervento, quindi, non sollecitato, totalmente gratuito, con Mosรจ, addirittura, che nicchia nel farsi coinvolgere e Dio che irrompe come liberatore in una situazione di morte. Nella seconda (1Cor 10,1-12) Paolo riprende ancora tutto il tema dellโEsodo, riassumendone le tappe principali, inserendolo in un cammino che avrร la sua pienezza in Cristo, che giร fin da allora era misteriosamente presente come fonte di acqua viva, in quanto tutto finalizzato a Lui. Ma il finale รจ sconcertante: tutti coloro caddero vittime nel deserto. Paolo afferma: perchรฉ mormorarono, e Dio non si compiacque di loro. Ma allora siamo ancora nei termini della lite: lโuomo che non si fida, e Dio che si offende.
Ma prendendo sul serio lโinvito di Gesรน alla conversione che cosa accadrebbe? Molti credenti e testimoni autentici sono stati perseguitati fino ad oggi, molti missionari e volontari hanno perso la vita sulle vie del mondo per incidenti e malattie. E allora dove sta il nodo della questione? Gesรน dirร , poco prima della fine della sua vita: ยซrimanete nel mio amoreยป (Gv 15,9), Paolo dirร ยซsia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signoreยป (Rm 14,8).
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Al di lร di ogni spiritualismo di bassa lega credo che il problema sia proprio qui: essere o no nel Signore, vivere in lui le sfide della vita dovute alla casualitร delle vicende umane o alla condotta di qualcuno. Puรฒ sembrarci troppo poco, il rimandare tutto a una questione di vita interiore, una via dโuscita troppo facile di fronte alle contraddizioni dellโesistenza? Credo che questo sia invece un punto centrale, quello che oggi va sotto il nome di resilienza, la capacitร di stare dentro la tempesta agganciati a un senso diverso e superiore, lo ยซStabat Materยป di Maria che fra pochi giorni contempleremo sotto la croce, da invocare anche per noi.
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Cappellano del carcere, vicedirettore dellโufficio pastorale dei migranti (per la pastorale dei nomadi), consulente ecclesiastico diocesano Movimento Apostolico Ciechi, segretario del vicariato Prato Sud-Est.
Dati aggiornati al 14/02/2019
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