Commento alle letture di domenica 24 Maggio 2020 – p. Benedict Vadakkekara

Siamo alla conclusione del Vangelo di Matteo, dove viene presentata l’ultima apparizione di Gesù Risorto agli Undici. Questo vangelo si era aperto con l’annuncio della nascita dell’Emmanuele, il Dio-con-noi; ora si chiude con la stessa buona novella, la promessa dell’Emmanuele di rimanere con i suoi tutti i giorni: Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Diventa ora invisibile il Maestro nostro, ma non assente, è il Dio con noi per chi è attento a cogliere i segni della sua presenza nella Parola, nella realtà sacramentale, nella Chiesa suo Corpo. Dopo la sua risurrezione Gesù è rimasto ancora con i suoi, ma a loro è stato necessario un nuovo senso per riconoscerlo. Solamente la loro fede e il loro amore sono riusciti a penetrare il mistero del Cristo risorto. Lo stesso avviene per noi: la fede e l’amore rimangono le sole vie per riconoscere il Cristo, per entrare in rapporto con lui.

Sparendo dalla presenza visiva dei suoi, Gesù ha obbligato  gli amici, di allora e di sempre, ad incontrarlo nello Spirito che ha promesso: È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato ve lo manderò (Gv 16,7). L’ascensione è la conclusione della pasqua di Gesù, il punto di arrivo della sua vita, l’inizio della missione per i suoi.

Con la sua ascensione Gesù solleva anche tutti noi a un’esperienza nuova: vedere la vita attraverso l’esperienza del Cristo risorto. Il cielo in cui Gesù è entrato non consiste in cose, non sono cioè le nubi che lo hanno avvolto, e neppure sono gli spazi infiniti. Gli angeli di Dio invitano continuamente gli uomini a staccare gli occhi dal cielo azzurro perché ritornino alla terra. Troppe volte abbiamo immaginato il cielo di Gesù e l’abbiamo riempito con i nostri desideri, con le nostre voglie, abbiamo cioè materializzato la fede, forse per sfuggire al peso della vita che ci spaventa e avere un mondo alternativo in cui rifugiarci.

Gesù, sparendo tra le nubi del cielo e invitandoci a staccare i nostri occhi dalla nube che lo nasconde, vuole che impariamo a vederlo nel mistero di ogni cosa creata, nell’aldilà di ogni avvenimento, e nell’invisibile di ogni presenza della terra. Il cielo è Qualcuno. È la presenza del Padre, di me stesso, è presenza degli altri, soprattutto è presenza degli ultimi, la Gerusalemme celeste. Questa Gerusalemme celeste non è un avvenimento futuro, è il momento presente: Ma è giunto il momento, ed è questo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori (Gn 4,23).

Il cielo di Gesù è un banchetto a cui sono invitati gli uomini della strada, gli storpi, i ciechi, gli zoppi, i rifiutati dalla nostra mentalità, un banchetto in cui sono dichiarati beati i perseguitati, e in cui si è commensali a casa di ogni Zaccheo e di ogni Maddalena che possiamo incontrare e si conversa amichevolmente con la donna adultera e con la samaritana. Il cielo di Gesù ci rimette continuamente in cammino, è una continua invenzione, non è una spiritualità disincarnata, ma conversione sempre da realizzare in noi stessi e in cui mai nessuno può dire di essere arrivato. Amen.

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