Il commento alle letture di domenica 24 Febbraio 2019 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere «La Dogaia» di Prato.
Quel «di più» richiesto non è buonismo, è bontà
A differenza del solito questa domenica potremmo partire con una riflessione su un termine oggi molto usato, un neologismo che ritroviamo a ogni piè sospinto; il termine in questione è «buonismo». Chi è, genericamente parlando, il buonista? Una persona che oscilla fra il sognatore, l’utopista e lo stupido, uno che ha una visione della realtà, e in particolar modo degli altri, così edulcorata, che si lascia prendere per il naso senza accorgersene, che si riempie la bocca di belle frasi sconfessate dalla realtà, un tipo pericoloso che mette a rischio la propria vita e quella altrui per inseguire le proprie chimere, e così via, forse ognuno potrebbe trovare ulteriori definizioni, oppure mettere in dubbio che un tipo di tal fatta esista davvero, che lo sia solo in apparenza, per nascondere altri interessi da perseguire sottobanco (in questo caso, però farebbe semplicemente parte della categoria degli ipocriti, e non interesserebbe alla nostra riflessione).
Il fatto è che il Vangelo di questa domenica (Lc 6,27-38) sembra fatto apposta per questa categoria. E’ un insegnamento di Gesù che si configura come una sorta di manifesto del suo pensiero, ma che può creare perplessità agli stessi credenti: dove andiamo a finire se cominciamo a porgere l’altra guancia, a non richiedere indietro le nostre cose? A parte il fatto che questa non sembra sia la prassi comune nemmeno fra i cristiani, la risposta al male con il male non appare granché fruttuosa, le guerre preventive, le esportazioni di democrazia, le battaglie contro l’asse del male lasciano tuttora il mondo impantanato nella palude che ciò ha prodotto. E comunque il brano contiene un versetto sconcertante: Dio è «benevolo verso gli ingrati e i malvagi» (v.35).
Questo è buonismo all’ennesima potenza, non vi è neanche la scusante dell’illusione: Egli sa che certuni sono ingrati e malvagi e vuole ugualmente essere benevolo con loro. Questo può provocarci reazioni forti, addirittura rifiuto nei suoi confronti. In fondo l’uomo spesso accusa Dio di parzialità, a partire dal figlio maggiore della parabola (cf. Lc 15,29) o gli operai della prima ora (cf. Mt 20,12). È davvero Dio un buonista che si lascia menare per il naso, o peggio, un insensibile nei confronti della bontà o malvagità umana? E perché Cristo mangia e beve con i peccatori, perché quest’occhio di riguardo per chi si meriterebbe ben altro (cf. Mc 2,16)?
Non credo che queste affermazioni siano state fatte per il semplice gusto della provocazione, hanno un’importanza ben diversa. Una chiave di lettura sta in quel «di più» che è richiesto ai credenti, quel «come il Padre» che sembra daccapo un compito impossibile, eppure è il movimento centrale della vita di fede. La pervicacia di Dio nel non rassegnarsi a perdere le sue creature, nemmeno quelle in apparenza meno riuscite, è la stessa che è chiesta a noi, una forte resistenza per non lasciarsi trascinare nel linguaggio del male, che è impossibile padroneggiare senza scivolare sempre più in basso. La vendetta diviene una legge assoluta che incatena l’uomo e lo contrappone ai suoi stessi familiari, basti pensare alle faide dove le madri spingono i figli alla vendetta e alla morte, l’onore un idolo assoluto che si nutre delle vite dei suoi adoratori, il rifiuto del dialogo e del confronto un assioma inderogabile.
Se ci fermiamo a considerare questo, allora, la bontà (non buonismo) di Dio forse non è così astrusa come sembra, è pilastro centrale che merita ricercare e sul quale fondare l’esistenza.
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don Enzo Pacini, Presbitero diocesano (Prato).
Cappellano del carcere, vicedirettore dell’ufficio pastorale dei migranti (per la pastorale dei nomadi), consulente ecclesiastico diocesano Movimento Apostolico Ciechi, segretario del vicariato Prato Sud-Est.
Dati aggiornati al 14/02/2019
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