Il commento alle letture di domenica 23 Dicembre 2018 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere «La Dogaia» di Prato.
La fretta «buona» che ci rende leggeri
La celebrazione liturgica, qualsiasi essa sia, ha la caratteristica di essere un’esperienza complessa, non solo intellettuale, ma sensoriale, emozionale. Essa mette, o dovrebbe mettere, in gioco tutto l’uomo in tutte le sue sfaccettature.
Ecco perché non basta semplicemente leggere le letture assegnate o cercare di capirle, ma di fare tutta un’esperienza di contemplazione dei gesti, dei simboli, di quella specie di pennellate di colore che caratterizzano una liturgia piuttosto che un’altra. Questo senza per forza volerci attaccare orpelli pesanti e indigesti, valorizzando invece quello che già c’è ed è ricco di significato pur nella sua semplicità e sobrietà. Tutta questa introduzione per dire che un aspetto che forse potremmo sottolineare in questa domenica è la fretta.
La quarta domenica di Avvento quasi sempre soffre di una certa compressione per la vicinanza del Natale; in fondo le letture di questa domenica sono già natalizie, anche se ufficialmente dell’Avvento. Cristo sta già camminando in mezzo al suo popolo anche se per mezzo di Maria, arca dell’ Alleanza (cf. Sal 131,8), ed essa si muove in fretta per andare da Elisabetta (cf. Lc 1,39-45), così come i pastori si muoveranno senza indugio (cf. Lc 2,16) e Zaccheo scendendo dall’albero in risposta all’invito del Signore (cf. Lc. 19,5-6). Ma, a parte i termini biblici, una certa fretta la si può cogliere in quella stessa compressione di questa domenica nei confronti del Natale incombente.
A volte, quando la vicinanza è davvero molto stretta, la celebrazione domenicale può quasi passare in secondo piano, a volte tirata via, eppure questa fretta (che naturalmente non deve diventare sciatteria) potrebbe essere valorizzata, un messaggio da accogliere perché ha qualcosa da dirci: c’è un tempo nuovo che arriva, che ci chiede di guardare in avanti. È la fretta della notte dell’esodo (cf. Es 12,11), eppure che bisogno c’era di fare in fretta? Dio poteva prendersi tutto il tempo che voleva, invece no, si è innestata una marcia in più nello scorrere del tempo, tergiversare sarebbe come perdere la consapevolezza di ciò che sta arrivando.
È vero, spesso la fretta è una della bestie nere del nostro tempo, quella che alla sera ci trova scarichi ed esausti e con la sensazione di non aver combinato nulla se non sbattersi di qua e di là. Certo, abbiamo bisogno di sfuggire all’ansia e alla tirannia delle convenzioni e dei bisogni, spesso artificiali. Ma esiste una fretta leggera, agile, che richiede anche l’abbandono di carichi pesanti e sproporzionati, che ci porta a vivere la vita in modo più lineare e armonico , tenendo gli occhi puntati su ciò che davvero è fondamentale (cf. Eb 12,2). Maria parte in fretta ma poi si ferma tre mesi da Elisabetta: è una fretta che non è certo ansia di prestazione, è l’urgenza, in senso di spinta, che ci porta a non perdere tempo, dedicando tutto all’opera dell’amore, in qualsiasi modo si esprima.
E’ l’urgenza che spinge il Messia, secondo le parole della seconda lettura di oggi (Eb 10,5-10), a vivere la sua incarnazione come risposta alla volontà di Dio, al di là di olocausti e sacrifici. E’ la liturgia ricca e leggera della vita, contrapposta alla pesantezza e vacuità dei rituali religiosi, che Cristo fa propria camminando nel grembo di Maria ancor prima di nascere, dispensando gioia e speranza.
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