Commento alle letture di domenica 20 Giugno 2021 – Carlo Miglietta

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Nell’Evangelo di Marco, i miracoli occupano circa un terzo della narrazione (209 versetti su 666): sono in genere prodigi di guarigione o di resurrezione di morti, ma talora anche di dominio sulla natura. I miracoli sono la conseguenza della potenza di salvezza di Gesù, dello scopo della sua missione: egli è venuto per sconfiggere definitivamente il male e la morte, e la sua vittoria inizia proprio nel limite spazio-temporale della povera umanità ammalata che a lui accorre e della natura ostile. Perciò Marco li chiama dynamis, potenza (Mc 6,2.5.14; 9,39), e mai sèmeion, segno, o tèras, prodigio.

I miracoli nei Vangeli non sono quindi, di per sé, segni propagandistici compiuti per dimostrare che Gesù è Dio, ma momenti rivelativi della divina sollecitudine per i sofferenti, della  missione del Figlio di farci superare la nostra finitudine creaturale: restano infatti, nella Scrittura, come gesti in sé ambigui, che lasciano talora perplessi i testimoni, che di per sé non inducono gli astanti alla fede in Gesù (Gv 12,37). Anzi, Gesù ammonisce che “segni e portenti” potranno essere compiuti anche da “falsi cristi e falsi profeti” (Mc 13,22). Perciò Gesù rifiuta ogni segno ai farisei che gliene chiedono uno di prova  (Mc 8,11-13). Si spiega allora perché il Signore spesso imponga il silenzio a quelli che guarisce (Mc 1,34; 3,12; 5,43; 7,36; 8,26). E si capisce l’insistenza della fede richiesta a chi viene guarito  (Mc 5,34; 7,29; 9,22-24; 10,52): Gesù ribadisce che la salvezza totale viene solo dall’adesione a lui, e l’evento miracolo altro non è che un epifenomeno del totale annientamento del male  che la sua incarnazione realizza.

Il Vangelo odierno ci presenta l’inizio del “Libretto dei miracoli” di Marco (4,35-6,6).

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35: – Siamo “in quel giorno”, il “giorno di IHWH”, il giorno della prova, “verso sera” (v. 35), quando ormai si avvicina l’ora delle tenebre.

– “Passiamo all’altra riva”: qui c’è un comando missionario, ma c’e anche una transizione tra il precedente libretto delle parabole e il libretto dei miracoli. Qui i discepoli prendono Gesù con loro sulla barca. Per arrivare alla meta, per eseguire la missione, bisogna avere Gesù sulla nostra barca: nel Vangelo di Marco, la barca è simbolo della Chiesa. Se dobbiamo compiere la missione, dobbiamo avere Gesù con noi.

38: Si scatena la tempesta sul lago, ma Gesù dorme, come Dio quando il salmista gli grida: “Destati, perché dormi o Signore? Svegliati!” (Sl 44,24); o il Profeta Isaia: “Svegliati, svegliati, rivestiti di forza o braccio di IHWH! Svegliati, Signore! Apri gli occhi! Riprendi il tuo vigore e salvaci, come nei tempi antichi quando hai abbattuto il tempestoso Raab, hai fatto a pezzi il mostro marino” (Is 51,9-10).

E’ il sonno di Dio, la sua assenza, esperienza di tutti i credenti. E’ il momento della croce, il silenzio del Sabato Santo, il sonno di Cristo nel sepolcro. Com’è difficile allora non perdere la pace, restare saldi in Dio, confidare solo in lui! Accettare che Dio non intervenga è la prova della fede.

Marco qui è spregiudicato. I discepoli non chiamano Gesù come in Matteo e Luca: “Signore”:  lo chiamano soltanto: “Maestro”. Matteo e Luca fanno fare ai discepoli una pia preghiera: “Signore salvaci! Salvaci! Siamo perduti”;  invece in Marco i discepoli dicono: “Signore, non te ne importa niente di noi?”. E’ l’uomo che lancia il suo grido, nella malattia, nella sofferenza, nella morte: “Ma perché, Dio, perché non intervieni? Perché dormi?”. Qui c’è tutta la nostra umanità, il nostro atteggiamento di fronte alla morte.

39: – Gesù compie un esorcismo. Per il giudaismo, il mare e il vento erano degli spiriti e Gesù li caccia con lo stesso ordine dato all’indemoniato: “Taci!”. Gesù libera i suoi discepoli dalla paura: di fronte alla forza oscura dei fenomeni mondani, una mondo libero dalla paura è un mondo sdemonizzato.

Gesù si manifesta come il Kyrios, come Dio che domina il caos, rappresentato biblicamente dal mare. Per gli ebrei il mare è simbolo del male: dominare il mare è segno che Dio domina il male, come dice il Salmo 107:

23 Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
24 videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
25 Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
26 Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell’affanno.
27 Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
28 Nell’angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
29 Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
30 Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato” (Sl 107,23-30).

Ancora il Salmo 89:
10 Tu domini l’orgoglio del mare,
tu plachi il tumulto dei suoi flutti.
11 Tu hai calpestato Raab come un vinto,
con braccio potente hai disperso i tuoi nemici” (Sl 89,10-11).

II Salmo 106 ricorda che Dio minacciò il mar Rosso ed esso fu disseccato:

8 Ma Dio li salvò per il suo nome,
per manifestare la sua potenza.
9 Minacciò il mar Rosso e fu disseccato,
li condusse tra i flutti come per un deserto;
10 li salvò dalla mano di chi li odiava,
li riscattò dalla mano del nemico.
11 L’acqua sommerse i loro avversari;
nessuno di essi sopravvisse.
12 Allora credettero alle sue parole
e cantarono la sua lode” (Sl 106,8-12).

40: Poi Gesù rimprovera i discepoli: “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”. Gesù ci insegna che tutte le nostre paure provengono dalla nostra “apistia”, dalla mancanza di fede. Le nostre ansie, le nostre preoccupazioni, la nostra angoscia, il pessimismo sono la nostra poca fede in lui.

Anche nel momento del silenzio di Dio dovremo sempre recitare il salmo 131, anche se è difficile a volte pregarlo, anche se lo si dice con l’angoscia nel cuore:

“Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
2 Io sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia.
3 Speri Israele nel Signore,
ora e sempre” (Sl 131,1-3).

La serenità “sempre” è il distintivo del cristiano, la cartina al tornasole di una sequela autentica, che riposa sull’amore di Dio e che a lui si affida. E una fede non a parole, ma nei fatti, è quella che riesce a tradurre nella concretezza della vita le verità professate con la bocca, è quella che cala il divino annuncio di liberazione nelle profondità del cuore, nei meandri della psiche, accendendo nell’intimo dell’uomo, in ogni circostanza, una festa senza fine.

Carlo Miglietta

C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino