Il commento alle letture di domenica 19 Maggio 2019 a cura di p. Samuele Duranti, sacerdote cappuccino.
La novità posta da Gesù: «Come io ho amato voi»
Il vangelo di questa domenica ci porta nel cenacolo. È l’ultima sera. Durante l’ultima cena Gesù lava i piedi ai discepoli; poi annuncia il tradimento di Giuda. Scrive l’evangelista Giovanni: Giuda, preso il boccone (che gli ha dato Gesù), subito uscì. Ed era notte. Come a indicare l’abisso di tenebra in cui affondava. Da questo versetto, ha inizio il vangelo di questa domenica. Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui». Per comprendere queste espressioni è necessario percepire il concetto di gloria nel vangelo secondo Giovanni. È la rivelazione dell’amore di Dio Padre e di Dio Figlio nella suprema manifestazione del loro amore. Una rivelazione sconcertante: perché l’amore del Figlio si rivela nell’attuare la volontà del Padre, che comporta la morte di croce; l’amore del Padre si rivela nella resurrezione del Figlio, esaltato nella gloria. Una rivelazione mirabile, per un verso scandalosa; una rivelazione sublime e, insieme, misteriosa. Superna.
Il vangelo secondo Giovanni di continuo svolge il tema dell’ora, che riguarda la gloria di Gesù. Fin dal primo segno: le nozze di Cana. Più volte i suoi nemici tentano di arrestarlo, ma non possono, perché non è giunta la sua ora: l’ora designata dal Padre, in cui si attua la salvezza del mondo, compiendo la sua volontà. Gesù liberamente si dona in sacrificio al Padre e così il più grande delitto della storia diventa la suprema manifestazione dell’amore di Dio, la massima rivelazione della sua gloria. La croce di Gesù è l’altare su cui si immola, la cattedra da cui c’insegna come perdonare e come morire, il trono su cui trionfa sul male e sul peccato. Gesù, infatti, sulla croce è uno strano re: la sua corona è di spine, il suo manto è uno straccio, le sue mani non stringono uno scettro. Strano re, perché il suo regno non è di quaggiù, e però sulla croce dà gloria al Padre, perché attua il disegno d’amore, che il Padre gli ha chiesto per la salvezza del mondo. E il Padre, a sua volta, glorifica il Figlio, rivela la gloria del Figlio, la sua filiazione divina.
Gesù prosegue: figlioli! E’ la prima e ultima volta che Gesù chiama così i suoi discepoli; li sente particolarmente cari, in quest’ora solenne. Infatti aggiunge: Ancora per poco sono con voi. Sa di avere le ore contate. E questo è un testamento. Che cosa sta supremamente a cuore a Gesù? Vi do un comandamento nuovo: amatevi gli uni gli altri. È un comandamento antico; in che cosa sta la novità? Nelle parole che subito aggiunge: come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri. La novità sta proprio in quel come. Comporta: alla stessa maniera, sino in fondo. Prima veniva comandato: ama il prossimo come te stesso. Ora ci viene comandato: ama il prossimo più di te stesso. Perché questa è stata la maniera di Gesù, che ha dato in sacrificio la sua vita per noi!
Gesù chiama l’amore fraterno il «mio» comandamento. Ci si aspetterebbe che comandasse: amate il padre mio con tutto il cuore e l’anima e le forze. E invece Gesù ci lascia come suo comandamento l’amore vicendevole. E dice che è la tessera di riconoscimento dei suoi discepoli; il distintivo; il criterio di giudizio che determinerà la salvezza eterna: avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere…
Mi viene da ricordare una cartula del XIV secolo: Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha labbra, ha soltanto le nostre labbra per raccontare di sé agli uomini di oggi. Noi siamo l’unica bibbia che i popoli leggono ancora; siamo l’unico messaggio di Dio, scritto in opere e parole.
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p. Samuele Duranti, sacerdote cappuccino.
Vice parroco e assistente dell’Ordine Francescano Secolare.
Dati aggiornati al 04/05/2019
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