Commento alle letture di domenica 19 Dicembre 2021 – Carlo Miglietta

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MARIA, ARCA DELL’ALLEANZA, IN VIAGGIO MISSIONARIO E DIACONALE

La visita di Maria ad Elisabetta va letta sulla falsariga di vari brani dell’Antico Testamento (2 Sam 6,9.11.18; 1 Cr 15,28; 2 Cr 5,13; Gdt 13,18; Dt 28,3-4).

  1. Maria è l’arca dell’alleanza:
  2. a) di fronte alla quale ci sente indegni: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (1,43), esclama Elisabetta, come Davide che aveva detto: “Come potrà venire a me l’arca del Signore?” (2 Sam 6,9);
  3. b) che resta tre mesi (1,56-> 2 Sam 6,11: “L’arca del Signore rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat e il Signore benedisse Obed-Edom e tutta la sua casa”);
  4. c) davanti a cui si danza: “il bambino ha danzato di gioia nel mio grembo” (1,44), come Davide di fronte all’arca (2 Sam 6,14.16);
  5. d) di fronte a cui esplode la benedizione e la lode: Elisabetta “anafonesen” (1,42), innalza a gran voce il grido liturgico degli accompagnatori dell’arca (1 Cr 15,28: “Tutto Israele accompagnava l’arca dell’alleanza del Signore con grida”; cfr 16,4; 2 Cr 5,13);
  6. d) arca incorruttibile, nascosta per la fine dei tempi (2 Mac 2,4-8: “Si diceva anche nello scritto che il profeta (Geremia), ottenuto un responso, ordinò che lo seguissero con la tenda e l’arca. Quando giunse presso il monte dove Mosè era salito e aveva contemplato l’eredità di Dio, Geremia salì e trovò un vano a forma di caverna e là introdusse la tenda, l’arca e l’altare degli incensi e sbarrò l’ingresso. Alcuni del suo seguito tornarono poi per segnare la strada, ma non trovarono più il luogo. Geremia, saputolo, li rimproverò dicendo: «Il luogo deve restare ignoto, finché Dio non avrà riunito la totalità del suo popolo e si sarà mostrato propizio. Allora il Signore mostrerà queste cose e si rivelerà la gloria del Signore e la nube, come appariva sopra Mosè, e come avvenne quando Salomone chiese che il luogo fosse solennemente santificato»”; cfr ->Ap 11,19): da tale riflessione nascerà il dogma dell’Assunzione di Maria.
  7. Maria è la benedetta (1,42.45.48), perché in lei si incarna il Benedetto: è l’unica beatitudine ad personam del Nuovo Testamento con quello di Pietro in Mt 16,17. Maria è “la donna riassunto del femminile aperto a Dio e al suo progetto: Gioele, Giuditta, Sara, Rebecca, Lia, Rachele, Tamar, Raab, Betsabea, Rut, Anna ed Elisabetta” (G. Bruni). E solo nello Spirito Santo (1,41) è possibile lodare Maria.

In questa occasione Elisabetta proclama la beatitudine di Maria: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45). Maria è beata perché donna di fede. La sua felicità consiste nella fiducia che ha riposto pienamente nel suo Signore. Ella è chiaramente un modello per ogni credente, beato proprio perché credente. Con forza sottolinea Agostino: “Beatior Maria percipiendo fidem Christi quam concipiendo carnem Christi”; la fede è fonte di maggiore felicità, rispetto al fatto di essere madre secondo la carne. Continua il grande dottore: “A nulla sarebbe giovato a Maria la vicinanza materna, se non fosse stata contenta di portare Cristo più nel cuore che nella carne”. Il valore della maternità di Maria sta dunque nell’atteggiamento originale di fede che l’ha resa possibile.

  1. Il viaggio di Maria è missionario: per Luca non vi è “andare” che non sia determinato dallo Spirito. L’“in fretta” del v. 39 corrisponde al “Non salutate nessuno lungo la strada” di Lc 10,4, e l’“entrata in casa salutò” di Lc 1,40 all’“In qualunque casa entriate, prima di tutto dite: «Pace a questa casa»” di Lc 10,5, le ammonizioni tipiche ai discepoli in missione.
  2. Il viaggio di Maria è diaconale: Maria resta a servizio dell’anziana parente fino alla nascita di Giovanni. È la “serva del Signore” (1,38) dove egli vuole essere servito, nei fratelli.

MARIA, DONNA DI SERVIZIO

Scriveva don Tonino Bello:

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“Può sembrare irriverente. E qualcuno avvertirà perfino odore di sacrilegio. Non saprei bene se per l’impressione di vedere un appellativo così povero attribuito alla Regina degli angeli e dei santi, o per la scarsa considerazione verso la categoria di coloro che si guadagnano il pane faticando in casa d’altri.

A dire il vero, anche il costume moderno ha ravvisato qualcosa di avvilente nel linguaggio antico: sicché, invece che parlare di serva o persona di servizio, il vocabolario, passando attraverso la trafila lessicale di domestica o cameriera, si trastulla con termini più alla moda, e parla di lavorante alla pari o, addirittura, di «colf», che poi non è altro che una sigla furbesca ricavata dalle iniziali di collaboratrice familiare.

Eppure, quell’appellativo, Maria se l’è scelto da sola. Per ben due volte, infatti, nel vangelo di Luca, lei si autodefinisce serva. La prima volta, quando, rispondendo d’angelo, gli offre il suo biglietto da visita: «Eccomi, sono la serva del Signore». La seconda, quando nel Magnificat afferma che Dio «ha guardato l’umiltà della sua serva». Donna di servizio, dunque. A pieno titolo.

Un titolo che lei si porta incorporato per diritto di nascita e al quale sembra gelosamente tenerci come a un antico blasone nobiliare. Era o non era, se non proprio discendente come Giuseppe, almeno coinvolta con la “casa di Davide suo servo”?

Un titolo che, per una specie di simmetria speculare, le fa riconoscere a colpo sicuro una pari qualifica professionale nel vecchio Simeone, e la induce a consegnare il bambino Gesù nelle braccia di quel «servo», che ora può, finalmente, andarsene in pace.

Un titolo che, durante il banchetto di Cana, visto che tra colleghi ci si intende meglio, la autorizza a rivolgersi «ai servi» con quelle parole che, essendo rimaste un’esigente consegna anche per noi, sembrano un invito ad andarci a iscrivere tutti allo stesso sindacato: «Fate quello che vi «dirà».

Un titolo, insomma, che legittimerebbe la richiesta delle competenti organizzazioni per avere la Vergine Santa come protettrice di coloro che, pur con diversità di prestazioni, dalla governante alla baby-sitter, dalla “nurse” alla fantesca, con livrea o senza livrea, esprimono dei servizi alle dipendenze di una famiglia.

Eppure, quell’appellativo, così autoreferenziato, non trova posto nelle litanie lauretane! Forse perché, anche nella Chiesa, nonostante il gran parlare che se ne fa, l’idea del servizio evoca spettri di soggezione, allude a declassamenti di dignità, e sottintende cali di rango, che sembrano incompatibili col prestigio della Madre di Dio. La qual cosa fa sospettare che perfino la diaconia della Vergine sia rimasta un concetto ornamentale che intride i nostri sospiri, e non un principio operativo che innerva la nostra esistenza.

Santa Maria, serva del Signore, che ti sei consegnata anima e corpo a lui e hai fatto l’ingresso nel suo casato come collaboratrice familiare della sua opera di salvezza, donna veramente alla pari, che la grazia ha introdotto nell’intimità trinitaria e ha reso scrigno delle confidenze divine, domestica del regno, che hai-interpretato- il servizio non come riduzione di libertà, ma come appartenenza irreversibile alla stirpe di Dio, noi ti chiediamo di ammetterci alla scuola di quel diaconato permanente di cui ci sei stata impareggiabile maestra.

Al contrario di te, facciamo fatica a metterci alle dipendenze di Dio, e stentiamo a capire che solo la resa incondizionata alla sua sovranità ci può fornire l’alfabeto primordiale per la lettura di ogni altro umano servizio. L’affido nelle mani del Signore ci sembra un gioco d’azzardo.

La sottomissione a lui, invece che collocarla in un quadro di alleanza bilaterale, la sentiamo come una variabile della schiavitù. Siamo gelosi, insomma, della nostra autonomia.

E l’affermazione solenne che «servire Dio significa regnare» non ci persuade più di tanto.

Santa Maria, serva della Parola, serva a tal punto che, oltre ad ascoltarla e custodirla, l’hai accolta incarnata nel Cristo, aiutaci a mettere Gesù al centro della nostra vita.

Fa’ che ne sperimentiamo le suggestioni segrete. Dacci una mano perché sappiamo essergli fedeli fino in fondo. Donaci la beatitudine di quei servi, che egli, tornando nel cuore della notte, troverà ancora svegli, e che, dopo essersi cinte le vesti, lui stesso farà mettere a tavola e passerà a servire.

Fa’ che il vangelo diventi la norma ispiratrice di ogni nostra scelta quotidiana. Preservaci dalla tentazione di praticare sconti sulle sue esigenti richieste. Rendici capaci di obbedienze gioiose. E metti, finalmente, le ali ai nostri piedi perché alla Parola possiamo rendere il servizio missionario dell’annuncio, fino agli estremi confini della terra.

Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari del protagonismo. Rendici consapevoli che, sotto le mentite spoglie degli affaticati e degli oppressi, si nasconde Dio”.

Carlo Miglietta


Il commento alle letture di domenica 12 dicembre 2021 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.