Commento alle letture di domenica 18 Luglio 2021 – Carlo Miglietta

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Il ritorno dei discepoli (6,30-32)

30 Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. 31 Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. 32 Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte.

30: – Gli Apostoli tornano da Gesù, si riuniscono attorno a lui e gli riferiscono l’esito della loro missione. E’ Gesù il punto di riferimento della nostra vita, è Gesù il centro della Chiesa, è Gesù a cui continuamente bisogna fare capo. L’importante è stare con Gesù: Marco ci dice che il discepolo è colui che sta con Gesù. Dobbiamo stare con il Signore, dobbiamo avere una vita intensa con lui. La fede non è un’ideologia, la fede non è una serie di nozioni, la fede non è una serie di concetti, la fede è il nostro amore con il Signore: se amiamo il Signore, se siamo caldi di Lui, cuore a cuore con Lui, allora siamo cristiani.

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– Gli Apostoli “fanno e insegnano”: sono i due verbi che vengono usati per descrivere l’azione di Gesù: “fanno” (“Gesù faceva”; 3,8) e “insegnano”: il verbo “insegnare” viene usato in Marco 21 volte.

31: – I discepoli si radunano intorno a Gesù e Gesù che cosa fa? Li manda in ferie: è molto bello questo. Si sottolinea l’importanza delle pause, dei distacchi, dei luoghi solitari. L’importanza della contemplazione, del ritirarsi, del fare deserto, dell’essere, in una società come quella attuale in cui ciò che conta è la produzione, è la moltiplicazione dell’attività, la moltiplicazione delle riunioni, e si emargina chi non è più capace di fare. I malati, gli anziani, sono messi in disparte, perché non producono più: Gesù ci ricorda che il credente è l’uomo dell’essere, e non del fare.

Questo è un invito importantissimo, soprattutto per la Chiesa oggi, una Chiesa che spesso ha la tentazione della managerialità per annunciare meglio il Regno. Ma questo non è cristianesimo: per proclamare meglio Cristo preghiamo di più, stiamo di più con lui, ascoltiamo la sua Parola, perché la sua Parola, ci ha detto Marco nel libretto delle parabole (Mc 4,1-34), è un seme che cresce da solo, sia che  lo innaffiamo o che non lo innaffiamo. Dunque bisogna sempre stare attenti a non indulgere alla potenza di questo mondo, a non pensare come i pagani: il cristiano basa la sua predicazione sulla follia della croce, “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,17-31), non sulla forza degli uomini. Paolo insiste che Dio si è divertito a scegliere ciò che per il mondo è stolto, spazzatura, per farne lo strumento della sua evangelizzazione (1 Cor 1,18-25).

Santa Teresa di Gesù Bambino è la patrona delle missioni, ed è morta tisica a 24 anni, senza essere mai uscita dalla sua cella di monaca di clausura, ed è la più grande missionaria, insieme a San Francesco Saverio, che invece ha girato tutto il mondo, ed è morto in un’isola della Cina.

Questo brano di Marco ci fa riflettere: la cosa più importante è la preghiera, è la forza intrinseca della Parola, la “exousìa” e la “dynamis”, l’autorità e la potenza della Parola di Dio che da sola porta avanti il Regno, non i nostri sforzi banali.

32: – I discepoli devono salire sulla barca per allontanarsi dalla folla (come aveva fatto Gesù al cap 3), non hanno tempo per mangiare (si diceva lo stesso di Gesù al cap 3,20), si ritirano in un luogo deserto (come aveva fatto Gesù al cap 1).

Cosa vuol dire questo? Il cristiano è “alter Christus”, “un altro Cristo”: la sequela di Cristo è imitazione di Cristo. Cristo è il nostro modello: noi dobbiamo operare come Gesù, dobbiamo insegnare come Gesù, dobbiamo vivere come Gesù.

Gli altri guardandoci debbono dire: “Luigi, Paolo, Beppe, Carlo, Marilena, Marina, sono altri Gesù”, e da parte nostra dobbiamo modellare la nostra vita sulla vita di Gesù. Quando siamo nella prova, quando siamo nella tentazione, dobbiamo dire: “Come si comporterebbe Gesù al mio posto?”. Quando devo fare delle scelte di vita quotidiana, l’unica domanda a cui devo soggiacere è questa: “II Signore al mio posto cosa sceglierebbe?”. II discepolo imita il Signore. Gesù è il nostro modello. A volte nella vita abbiamo delle difficoltà: allora ricordiamoci che abbiamo questo modello, che è Cristo, il punto di riferimento più sicuro.

Gesù si commuove (6,33-44)

33 Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. 34 Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

33: – Che significato ha la barca in Marco? La barca è il simbolo della Chiesa: è tutta la Chiesa che si muove con Gesù.

La folla si muove con una velocità impressionante: i discepoli con Gesù attraversano il lago in barca, e la folla invece, che corre e fa tutto il giro del lago, arriva prima. Che cosa vuole dire questa velocità della folla? E’ la fretta di chi corre verso il banchetto escatologico, imbandito dalla Sapienza, di chi ha fame e sete della Parola di Dio.

34: – Per Luca e Giovanni il miracolo avviene sulla riva orientate, a Betsaida; per Marco avviene sulla riva occidentale: difatti al v. 45 manderà i suoi a Betsaida, sull’altra riva.

– Gesù “vide molta folla e si commosse (esplanchnìsthe)”. Di fronte ad ogni infermità o bisogno, Gesù “si commuove”, “sente compassione”. Sono termini molto forti, che ritroviamo nei Vangeli per esprimere i sentimenti del Signore di fronte al lebbroso: “Mosso a compassione (splanchnisthèis), stese la mano” (Mc 1,41);  alle folle senza guida e affamate: “Sento compassione (splanchnìzomai) di questa folla, perché… non hanno da mangiare” (Mc 8,2); alla gente che non ce la fa più: “Vedendo le folle ne sentì compassione (esplanchnìsthe) perché erano stanche e sfinite” (Mt 9,36); ai malati: “Sentì compassione (esplanchnìsthe) per loro e guarì i loro malati” (Mt 14, 14); alla vedova di Naim: “Il Signore ne ebbe compassione (esplanchnìsthe) e le disse: «Non piangere»” (Lc 7,13)… E’ sempre usato il verbo splanchnìzomai, che indica commozione viscerale, traducendo l’ebraico rehamin, che propriamente esprime le viscere, la sede delle emozioni, il nostro “cuore”: è una forma plurale di réhèm, il seno materno, l’utero femminile: è il fremito di una madre per i suoi figli, è un’emozione intensissima.

II nostro Dio non è il motore immobile di Aristotele, il nostro Dio è un Dio che soffre, è un Dio che piange, è un Dio che si commuove, quando vede la sofferenza degli uomini. E’ il Dio veramente Amore, è il Dio che partecipa ai patimenti degli uomini, e si fa carico del loro dolore: è il grande mistero della Croce presentatoci da Marco.

– “Ebbe compassione di loro perché erano come pecore senza pastore”. In tutto l’Antico Testamento è Dio stesso il Pastore di Israele. Gesù è Dio Pastore che viene per la pace del suo Popolo, e il Messia Pastore, è il Pastore Modello che dà la vita per le sue pecore (Gv 10), sollecito anche per le pecore che non sono del suo ovile, pronto a ricercare la pecora smarrita. Qui Dio esprime la sua misericordiosa pastoralità con il dono prima della Parola e poi del cibo.

– “Si mise a insegnare loro molte cose”: è necessaria prima una catechesi per capire il mistero del Pane che verrà offerto nel brano seguente.

Carlo Miglietta

C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino