Commento alle letture di domenica 18 Agosto 2019 – Carlo Miglietta

Il commento alle letture di domenica 18 agosto 2019 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

Il primato dell’amore a Dio

Non solo Gesù ebbe difficoltà con la famiglia di origine, ma spesso lanciò durissimi messaggi che scuotono profondamente le nostre concezioni ireniche di vita familiare. Nel Vangelo di Luca Gesù dice chiaramente che “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,25-27). O, mamma mia! Nostro Signore, l’Amore incarnato, che ci chiama ad “odiare” (“misèin”)? Innanzitutto, nelle lingue semitiche non c’è il comparativo relativo; quindi “odiare” significa solo “amare meno”, “mettere al secondo posto”. Per esempio, in Gen 29,31 si legge che Lea era “odiata”, ma dal contesto risulta non che Giacobbe la odiasse, ma che la amava meno dell’altra moglie Rachele: nel versetto precedente difatti si dice che Giacobbe “amò Rachele più di Lea” (Gen 29,30). Così in  Dt 21,15 si legge: “Se un uomo avrà due mogli, l’una amata e l’altra odiata […]”: dal contesto si evince che quest’uomo ha una moglie prediletta e una che ama meno. Infatti nel brano parallelo al testo lucano, nel vangelo di Matteo, troviamo: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me” (Mt 10,37). Ma Luca non ha paura, usando il verbo “odiare”, di scandalizzare i suoi uditori greci, per rimarcare ulteriormente l’eccezionalità del messaggio di Gesù.

“Gesù, al contrario di una tendenza ben attestata nell’odierna pastorale, non teme di mettere in guardia con risolutezza e quasi scoraggiare la numerosa folla che lo segue. Egli ha il coraggio di portare tutti di fronte alle esigenze radicali della sequela […]. Si faccia però attenzione: Gesù non esige un amore totalitario, esclusivo per sé, che escluda i nostri amori umani. Non chiede di essere amato lui solo: chiede soltanto (!) che il discepolo ami lui più di tutti i suoi amori. Chiede di vivere tutti i nostri amori attraverso l’amore per lui, di amare gli altri con l’amore che abbiamo per lui. L’essere discepoli di Gesù è questione di una relazione intensa, prioritaria con lui. Una relazione d’amore che deve avere il primato su tutto il resto, anche sulle relazioni d’amore più care” (L. Monti[1]).

Il matrimonio realtà penultima

Luca aggiunge “la moglie” (Lc 14,26) all’elenco matteano di “padre, madre, figlio e figlia” (Mt 10,37). D’altra parte poco prima Gesù ha ribadito che “ho preso moglie” (Lc 14,20) non è una scusa valida di fronte alla chiamata del Signore. Si noti: “il verbo usato per <<amare>> (la moglie […]) è quello che designa l’amore naturale (<<philèo>>), non quello teologale (<<agapào>>) […]. L’amore umano deve essere trasceso dalla dilezione divina che si è manifestata con il Messia: si tratta di un amore che va fino alla croce” (A. Mello[2]).

Il matrimonio cristiano, pure realtà così alta e impegnativa, è una “realtà penultima”. L’unico fine per il credente è la sequela del Signore, lo Sposo per eccellenza[3].  Lo scopo principale della vita matrimoniale non è l’amore reciproco, ma il seguire Gesù. Nel cristianesimo esistono quindi solo coloro che seguono in totalità il Signore da soli, i “monaci”, e coloro che lo seguono in totalità con la propria moglie o il proprio marito, per i quali spesso uso appositamente la parola “binaci”[4]. Anche gli sposati sono chiamati ad amare “il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e con tutta la mente, e il prossimo tuo come se stessi” (Lc 10,27), con buona pace di Paolo che teme che gli sposati possano amarlo con cuore “diviso” (1 Cor 7,33).

Prima di tutto il Regno di Dio

Questa radicalità nella sequela è sottolineata anche in altri due episodi sconcertanti: “A un altro disse: <<Seguimi>>. E costui rispose: <<Signore, concedimi di andare prima a seppellire mio padre>>. Gesù replicò: <<Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va e annunzia il regno di Dio>>. Un altro disse: <<Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa>>. Ma Gesù gli rispose: <<Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio>> (Lc 9,59-62[5]).

Si tratta di due episodi paradossali. “Il comando di seppellire il proprio padre è implicito nella Torah, come estensione del comandamento del decalogo circa l’onore da tributare ai genitori[6], ma esplicito nel giudaismo[7]” (A. Mello[8]). Seppellire i propri morti era considerato un dovere superiore a qualunque osservanza religiosa: “Chi si trova davanti a un suo parente morto è dispensato dalla recita dello <<Shemà>>, dalla preghiera delle diciotto benedizioni e da tutti i precetti nominati dalla <<Torah>>[9]” (Berakhot III,1); anche i sacerdoti erano esonerati dalla purità cultuale[10]. Ma per Gesù la sua sequela viene prima di tutto, senza eccezione, viene anche prima della legge e di ogni realtà più sacra.

Nel secondo episodio un uomo è disposto a seguire Gesù, ma chiede il tempo di salutare quelli di casa. Ma c’è di nuovo quel “prima” che il Signore non accetta: “Lascia prima che […]” (Lc 9,59.61). La metafora di Gesù (“Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”: Lc 9,62) significa che la sequela non tollera esitazioni, ripensamenti, rinvii. Come dirà Paolo: “Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,13-14).

Questo episodio richiama la vocazione di Eliseo da parte del profeta Elia: alla chiamata di quest’ultimo, Eliseo disse: “<<Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò>>. Elia disse: <<Va’ e torna>>” (1 Re 19-20). Se la chiamata da parte di Dio nell’Antico Testamento rientrava ancora nelle dimensioni del comune sentire, ora quella di Gesù irrompe impetuosa nella vita degli individui, facendo loro mettere da parte tutti gli altri aspetti, pur giusti, della vita. E’ una chiamata che esige una risposta totale, immediata, senza “se” e senza “ma”. “Il Regno, se preso seriamente, assorbe tutto l’uomo e tutte le sue energie […]. La scelta del Regno non può essere pattuita, né discussa con nessuno, tanto meno con i familiari: solo con Dio” (O. da Spinetoli[11]).

“Sono venuto a portare la divisione”

Ed è una chiamata che può essere anche lacerante, e fonte di grandi sofferenze, come già aveva profetizzato su Gesù Bambino il vecchio Simeone nel Tempio: “Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35). Gesù è davvero un fuoco divorante: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso […]! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione (<<diamerismòn>>)” (Lc 12,49.51).

“La persona a l’opera di Gesù non lasciano indifferenti coloro che ne vengono a conoscenza. E’ come un fuoco che riscalda, infiamma, purifica gli uomini che incontra […]. Le proposte di Cristo sono pertanto incendiarie, non lasciano indisturbati uomini e cose, provocano una rivoluzione (<<diamerismòs>>) in chi le accoglie” (O. da Spinetoli[12]). Questo brano di Luca prosegue così: “D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera” (Lc 12,51-53). Eppure alla nascita di Gesù gli angeli avevano cantato: “Pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14). E lo stesso Gesù aveva detto: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27[13]) […]

Gesù riprende una dura previsione che i profeti avevano fatto circa il Messia[14]: la sua venuta avrebbe provocato addirittura spaccature nelle famiglie. Mettersi alla sequela del Signore può diventare motivo di dolorosissima divisione; Matteo nel brano parallelo parla addirittura di una “spada”: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34). A causa di Gesù “sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome” (Lc 21,16-17); “il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire” (Mt 10,21[15]). I cristiani sono persone “segnate dalle cicatrici degli addii […]. Soltanto dopo una radicalità del genere possiamo scoprire la gioia, la gioia smisurata, davanti alla quale non riusciamo a contenerci. Il prezzo di questa gioia è il dolore dell’addio” (K. Berger[16]).

Ma seguire Gesù è tutto. Il suo amore è un amore geloso, totalizzante. Gesù è l’Assoluto che piomba nelle vite umane: di fronte a lui tutto sfuma, è relativizzato, perde importanza. Gesù, afferma papa Francesco, “divide anche i legami più stretti perché pone il criterio: vivere per se stessi, o vivere per Dio e per gli altri; farsi servire, o servire; obbedire al proprio io o obbedire a Dio”[17].

Davvero allora “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25): è questo il più citato dei detti del Signore, che si trova nei Vangeli ben sei volte[18]. Solo nel dono totale della vita al Signore troveremo la felicità, la realizzazione, la pienezza. “Chi segue Gesù in maniera radicale è al sicuro, perché taglia i sistemi di sicurezza umani affidandosi completamente a Dio, che lo sostiene e lo prende tra le braccia” (K. Berger[19]). E gusterà quella “pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, che custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù” (Fil 4,7).

[1] Monti L., Le parole dure di Gesù, Qiqajon, Bose (Magnano – BI), 2012, pg. 146-147

[2] Mello A., Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Bose (Magnano – BI), 1995, pg. 191

[3] Mt 9,15; 25,1-12; 2 Cor 11,2

[4] Miglietta C., La famiglia secondo la Bibbia. I fondamenti biblici della vita familiare, Gribaudi, Milano, 2000, pg. 36-37

[5] Mt 8,21-22

[6] Es 20,12

[7] Tb 4,3; 6,15

[8] Mello A., Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Bose (Magnano – BI), 1995, pg. 157

[9] Castiglioni V., Mishnaiot I, Sabbadini, Roma, 1962, pg. 21

[10] Lv 21,1-3

[11] Da Spinetoli O., Luca, Cittadella, Assisi, 1994, pg. 360

[12] Da Spinetoli O., Luca, Cittadella, Assisi, 1994, pg. 446

[13] Gv 20,19.21.26

[14] Mic 7,6; Ag 2,22; Ml 3,24

[15] Mc 13,12

[16] Berger K., Gesù, Queriniana, Brescia, 2006, pg. 345-346

[17] Papa Francesco, Angelus del 18 agosto 2013, www.zenit.org

[18] Mt 10,39; 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; 17,33; Gv 12,25

[19] Berger K., Gesù, Queriniana, Brescia, 2006, pg. 349

Da: C. MIGLIETTA, L’INGIUSTIZIA DI DIO e altre anomalie del suo Amore…, Gribaudi, Milano, 2013

Letture della
XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Prima Lettura

Mi hai partorito uomo di contesa per tutto il paese.

Dal libro del profeta Geremìa
Ger 38,4-6.8-10

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
 
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
 
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Salmo 39 (40)

R. Signore, vieni presto in mio aiuto.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido. R.
 
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi. R.
 
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore. R.
 
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare. R.

Seconda Lettura

Corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti.

Dalla lettera agli Ebrei
Eb 12,1-4


Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
 
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
 
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.

Parola di Dio

Vangelo

Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 12, 49-53

 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
 
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
 
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Parola del Signore

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