La Parola di Dio si realizza sempre, questa è la nostra grande fiducia, questo fonda la nostra serenità, questo ci fa capire perché tutte le volte che IHWH compare nella storia, tutte le volte che Dio si rivela in Gesù Cristo, la prima parola che dice è: “Non temere, state tranquilli”, da Esodo 14 fino all’evento Pasquale.
Il Salmo 127 ci ricorda;
“Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
2 Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno”.
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II seme cresce – dice Marco – “automate”, cioè automaticamente, da solo. Questa è una fonte veramente di grande serenità per noi: occorre avere pazienza e fiducia, ma il Regno di Dio viene sempre. Questa Parabola è un invito all’ottimismo: per quanto ci agitiamo, il Regno progredisce solo per la sua forza intrinseca, e a noi non resta che concludere, come dirà in un altro brano Luca: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10).
Ignazio di Loyola diceva: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo che poi in realtà tutto dipende da Dio”: questo è un grande motto. Quindi affidiamoci alla letizia della contemplazione, accettiamo di essere salvati dalla gratuità dell’Amore di Dio, e non dai nostri sforzi.
Non abbiamo paura neanche di non rispondere alla Parola di Dio, di non riuscire a capire la sua volontà su di noi: non turbiamoci troppo. Sappiamo invece stupirci di fronte a questa Parola che sempre si realizza, che sempre porta frutto, sia che noi ci diamo da fare, sia che noi ci addormentiamo. Questa è una grande consolazione per noi che spesso non vediamo il Regno avanzare, che spesso siamo tristi perché sembra che le forze del male vincano, che spesso nella nostra esperienza quotidiana ci sentiamo sopraffatti dalla malattia, dalla morte, dalla sofferenza, dal peccato. Qui invece ci viene detto che il seme cresce automaticamente: la Parola che è stata seminata in noi, la figliolanza di Dio che in noi è stata seminata nel Battesimo cresce e ci trasforma in uomini nuovi, vincitori del male, della malattia, del peccato, della morte. E’ la parabola della serenità.
II versetto 29 che conclude la parabola, realizzandoci questa mietitura finale, cita Gioele 4 e dà un senso escatologico alla Parabola, cioè è un versetto che ci assicura che verrà il momento della restaurazione definitiva del Regno di Dio. La mietitura era vista come un segno del processo finale, dell’avvento del Regno, come la festa del giudizio di Dio che salva i poveri e gli oppressi contro i malvagi prepotenti.
La parabola del granello di senape (4,30-32)
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
In Palestina era proverbiale la piccolezza del granello di senape. Qui Gesù vuole insistere sul rapporto tra gli umili inizi del Regno e la sua crescita in mezzo agli uomini. Questo piccolo seme diventa un grande albero: la figura del grande albero è una figura ebraica che indicava il Regno di Dio. Basta vedere il Salmo 80, tutti gli inni di Qumram: questo albero della Signoria di IHWH, come diceva il profeta Ezechiele al cap 17 e al cap 31, e Daniele al cap 4, questo albero offrirà una grande ombra sotto cui tutte le nazioni si ripareranno, così come la nube del deserto offriva questa grande ombra al Popolo in cammino. Questo albero, dice Lamentazioni 4, sarà il segno del Messia che accoglierà tutte le genti, e tutte le proteggerà. C’è solo da meravigliarsi, da lodare adorando quel Dio che schianta i cedri del Libano, come dice il Sl 29, ma fa crescere questo piccolo seme del Regno di Dio.
Ancora una volta la logica dell’essere piccoli, del morire nella terra, lasciando a Dio la potenza e la forza. Diremmo quasi che pene, prove, nascondimento, piccolezza, umiltà sono sempre i criteri di discernimento del Regno di Dio che viene.
Perché Gesù parla in parabole (4,33-34)
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.
Questi versetti descrivono la trascendenza assoluta del Regno che non può essere spiegata, ma lo capiscono quelli che sono “endo”, cioè che vivono nel privato di Gesù: solo stando con Gesù, solo amando Gesù, solo radicandoci su Gesù si capisce il Mistero del Regno.
Ancora una volta il Vangelo di Marco è un Vangelo Cristologico: è solo in privato con il Signore che noi riusciamo a capire il Mistero del Regno. Vedete la centralità della figura del Signore Gesù, della nostra adesione. Matteo per esempio parlerà di questa Parabola in altro contesto, in un contesto sapienziale, in un contesto didattico; qui invece Marco insiste sulla necessità ancora una volta di aderire alla persona di Gesù per capire il Mistero del Regno.
Fra queste cinque Parabole c’è una logica. C’è un “filo rosso” che prosegue in crescendo dalla prima all’ultima. Nella prima parabola, quella del seminatore (4,1-20), solo un resto del seme fruttifica, una parte del seme va disperso, tra i sassi e i rovi, non produce. Solo un piccolo resto accoglie la Parola. Questa Parola è la luce che giunge, la luce che arriva su di noi (ecco la seconda parabola, quella della lampada sul moggio: 4,21-23). Se si accoglie il seme misurandolo come cosa enorme, facendogli spazio, allargando la nostra misura per lui (ecco il senso della terza parabola, quella della misura: 4,24-25), ecco che il seme cresce da solo, “automate”, automaticamente (quarta parabola: 4,26-28), e diventa l’albero grande del Regno (quinta parabola: 4,30-32) su cui tutti gli uomini si radunano; “uccelli”, secondo la terminologia rabbinica, era un modo per definire i pagani, i lontani: anche i lontani avrebbero trovato su questo albero un posto accogliente.
E’ un crescendo. Solo un resto fruttifica (prima parabola). Accogliendo la luce che viene (seconda parabola), facendo spazio a questa luce (terza parabola), il seme cresce da solo (quarta parabola), e diventa l’albero grande che dà conversione, gioia, e liberazione a tutti gli uomini (quinta parabola).
Carlo Miglietta
Da: C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino