Convertirsi alla condivisione e alla non-violenza
Giovanni chiede a coloro che incontra di mutare condotta, di tenere un comportamento che testimoni una vera conversione. Queste pericopi (vv. 10-14) che sono esclusive di Luca rivelano l’interesse dell’evangelista per la dimensione universale della redenzione. È un saggio di “morale professionale”. Sfilano davanti al Battista tre categorie diverse:
- gli Ebrei che vanamente allegano la loro discendenza da Abramo e che devono, invece, compiere “frutti degni di conversione”, cioè che testimonino un autentico mutamento di vita. E questi frutti sono la condivisione dei beni con i poveri;
- i pubblicani, cioè gli esattori delle tasse e i loro subalterni, invitati al rigore della giustizia evitando corruzioni e vessazioni;
- i soldati, ai quali si impone il superamento di ogni tipo di violenza.
“La gente che andava da Giovanni domandava: “Cosa dobbiamo fare?”. Un fatto sorprendente questo, che tutti, più o meno, facessero la stessa domanda a Giovanni, il quale parlava della necessità della conversione, del pentimento dei propri peccati, il che era cosa chiara. Fatto sorprendente che la gente non conoscesse i comandamenti, tanto da aver bisogno di fare quella domanda che il vangelo ci presenta per ben tre volte.
Quella domanda rivela che molti in Israele pensavano che la salvezza richiedesse una serie di gesti speciali, ritualistici. Gesti ritualistici ossessivi, puntigliosi, fatti per creare un alone di sacralità destinato a suscitare compiacimento di se stessi, non interiorità. Erano abluzioni, lavature di bicchieri e piatti, ecc.
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“Cosa dobbiamo fare?”; è la domanda – venendo a noi – di chi ha della vita cristiana solo, ormai, un vago ricordo che risale al momento della Cresima. Dopo quell’evento di grazia, sappiamo che per moltissimi c’è il vuoto. Si parla che oggi i 3/4 dei giovani dopo la Cresima cessano la pratica cristiana. Costoro interpellati ed esortati a pensare alla loro salvezza non esitano a dire, appunto: “Cosa dobbiamo fare?”. Essi pensano a delle ritualità formali, che non immettono nella vita concreta. Così i sacramenti li pensano come momenti del sacro e non come momenti di incontro con Dio e con i fratelli, per una maggiore intensità di incontro. E sono contenti quando ci fanno vedere i santini che hanno nel portafoglio, la medaglietta al collo, e ci dicono con particolare accento che sono andati a Lourdes e a San Giovanni Rotondo, e che ogni domenica vanno al cimitero.
La risposta di Giovanni è però ben lontana dal presentare pratiche ritualistiche, e affronta la concretezza della vita. Ed è quello che noi dobbiamo presentare con forza ai nostri fratelli…
“Cosa dobbiamo fare?”; ma lo sappiamo: amare. Don Abbondio disse al Card. Federigo. “Ma cosa dovevo fare?”. Gli venne risposto: “Amare, amare, figliolo!”.
(http://www.perfettaletizia.it/archivio/anno-C/nuove_omelie_html/III_avvento.html)
Solo Gesù ci battezza in Spirito Santo e fuoco
Luca vorrebbe dissipare “i possibili equivoci tra la persona del Messia e quella del suo precursore, che lasciano intendere quanto doveva essere stata modesta, umile la figura e l’apparizione di Gesù, se dopo anni dalla sua prima manifestazione e affermazione il Battista poteva ancora essere confuso con lui” (O. Da Spinetoli). Il vangelo di Giovanni (Gv 1,8.19-34) sarà assai esplicito nel far rilevare che Giovanni il Battista non è il Messia. Facendo un confronto tra Luca e Matteo (dipendenti entrambi dalla fonte Q) troviamo che:
- Luca omette l’annuncio di Giovanni Battista che il regno di Dio è vicino (Mt 3,2) e riserva a Gesù questa proclamazione (Lc 10,9.11).
- Luca sopprime la descrizione del Battista nel ruolo di Elia (Mt 3,4; Mc 1,6) e il resoconto dell’attività del Battista, specialmente il fatto che accorrevano a lui da ogni regione per farsi battezzare (Mt 3,5).
- Nell’affermazione: “Viene dopo di me Colui che è più forte di me”, Luca allontana il pericolo che Gesù venga considerato un discepolo del Battista. Luca considera Giovanni l’ultimo e il più grande dei profeti d’Israele, ma chiaramente al di fuori della gloriosa èra messianica che inizia con Gesù (Lc 16,16; At 13,24).
La figura del Battista è tutta protesa verso un altro personaggio e un altro battesimo “in Spirito Santo e fuoco”. Nei confronti di Cristo, Giovanni si sente simile a uno schiavo del livello infimo: lo sciogliere il legaccio dei sandali era un atto che un padrone non poteva esigere dal suo servo ebreo, perché considerato troppo umiliante.
Solo Gesù ci battezza, cioè ci immerge in Dio, nel suo santo Spirito che è un fuoco divorante; lo Spirito Santo scende sulla prima Chiesa sotto forma di “lingue come di fuoco” (At 2,3).
Tante volte nella Bibbia il fuoco simboleggia Dio: “Il Signore, tuo Dio, è fuoco divoratore”. (Dt 4,24). Dio come un “forno fumante e una fiaccola ardente passa in mezzo agli animali divisi” (Gen 15,1-21) per sancire la sua Alleanza con Abramo. A Mosè appare come un roveto ardente (Es 3,1-6). Durante la sua rivelazione al Sinai, “era sceso il Signore nel fuoco e il suo fumo saliva come il fumo di una fornace” (Es 19,18): “la Gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna” (Es 24,17). Durante il viaggio nel deserto Dio segue il suo popolo come una colonna di fuoco (Es 13,21-22; 14,24).
Gesù è davvero un fuoco divorante: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso…! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione (diamerismòn)” (Lc 12,49.51).
“La persona e l’opera di Gesù non lasciano indifferenti coloro che ne vengono a conoscenza. È come un fuoco che riscalda, infiamma, purifica gli uomini che incontra…. Le proposte di Cristo sono pertanto incendiarie, non lasciano indisturbati uomini e cose, provocano una rivoluzione (diamerismòs) in chi le accoglie” (O. da Spinetoli): “Fate dunque frutti degni della conversione” (Lc 3,8)!
Carlo Miglietta
Il commento alle letture di domenica 12 dicembre 2021 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.