Il commento alle letture di domenica 11 giugno 2017 a cura di don Giorgio Scatto.
Mosè salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato.
La prima lettura di questa domenica, dedicata in modo solenne alla santissima Trinità, è presa dal capitolo 34 del libro dell’Esodo, e rappresenta il punto culminante di una narrazione che aveva preso l’avvio con il racconto del vitello d’oro, al capitolo 32.
Dio ordina a Mosè di tagliare due tavole di pietra uguali alle prime, che erano state spezzate. Sarà Dio stesso a scrivere su queste tavole le stesse parole che c’erano nelle tavole precedenti. E’ il segno evidente che il popolo di Israele è stato perdonato e che Dio da parte sua ha nuovamente stabilito rapporti di alleanza con il suo popolo.
Il Signore scese nella nube, si fermò presso di lui e proclamò il nome del Signore.
Ad una prima lettura non è del tutto evidente se a fermarsi e a proclamare il nome divino sia stato Dio o Mosè. Dobbiamo leggere il versetto successivo per trovare l’interpretazione più chiara. Chi pronuncia il nome divino è chiaramente Dio stesso. Di fronte alla rivelazione del nome, Mosè può solo prostrarsi e adorare: «Si curvò in fretta fino a terra e si prostrò».
«Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà».
Il Dio che attraverso il suo nome si fa conoscere come il Dio che giudica e perdona, tiene fede alle sue prerogative perdonando il suo popolo peccatore. L’uso frequente, in tutto l’A.T. della formula: «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore fedele», è una eloquente testimonianza della centralità di questo modo di intendere la realtà di Dio. Ha ragione papa Francesco: Dio, anche quando si fa conoscere attraverso le pagine della Prima Alleanza, non è il custode di una Legge severa da osservare, ma un Padre di misericordia che è capace di perdonare i propri figli, anche quando trasgrediscono la Legge più esigente, anche quando infrangono l’Alleanza e l’amicizia con lui.
Ci fu un tempo in cui il popolo poteva dire con orgogliosa sicurezza: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (Es 24,7), ma questo avveniva prima della triste avventura del vitello d’oro.
Il patrimonio di fede che Israele apprese allora a stimare fu che Dio aveva continuato a perseguire il suo progetto originale di scegliersi un popolo come sua particolare proprietà, di allearsi con lui, nonostante il grave peccato di infedeltà. Il suo amore è «per mille generazioni», mentre punisce la colpa dei padri solo «fino alla terza e alla quarta generazione».
Questa rivelazione del nome giunge a compimento nel N.T.:
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito.
Gesù è il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Egli si comporta come Abramo, che è stato capace di privarsi del proprio figlio. Si può dire, allora, che anche Dio è stato mosso dalla fede, donando suo Figlio, e questo Figlio donato non è andato perduto, ma ha a sua volta donato al Padre una moltitudine di figli.
Il dono è avvenuto nel passato («ha tanto amato il mondo») ma si è andato realizzando nel corso della vita di Gesù, che culminerà al momento in cui sarà «elevato in alto», come dono totale di sé, al fine di comunicare la vita.
Il disegno di Dio non opera discriminazioni, perché il Padre offre la vita a tutti, senza eccezioni. Se qualcuno non l’ottiene è perché respinge la sua offerta, negando l’adesione a Gesù: «Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». La manifestazione dell’amore di Dio e il dono del Figlio unico, sono ora descritti in termini di missione. L’amore di Dio è la ragione dell’invio del Figlio, ciò che muove la sua volontà. E lo scopo è quello di salvare ogni uomo. Rimane esclusa ogni interpretazione negativa: «Non per condannare, ma perché il mondo sia salvato». Così è scritto. Nel Figlio, dono e prova dell’amore di Dio, splende unicamente il suo amore e la sua lealtà verso l’uomo. Dio, non solo non opera discriminazioni all’interno del popolo di Israele, ma neppure fra Israele e gli altri popoli. E’ finito il privilegio del popolo eletto, perché ora il dono della salvezza è destinato all’umanità intera.
Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Salvarsi è passare dalla morte alla vita, e questo è possibile attraverso Gesù, il datore dello Spirito.
Chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
Per la prima volta, nel vangelo di Giovanni, appare la denominazione «il Figlio» applicata direttamente a Gesù. Egli è «il Figlio dell’uomo» (3,13.14) e anche, senza separazione o confusione, «l’unigenito Figlio di Dio» (3,16.18) in cui si uniscono l’origine umana di Gesù e il suo essere «in principio, presso Dio». Non c’è una umanità più piena e significativa dell’umanità di Gesù: egli è l’inedito dell’uomo. E questa umanità rende presente la pienezza di Dio. Possiamo dire: Dio è Gesù.
Così si può interpretare la finale del prologo di Giovanni:
«Il dono della Legge, donata da Dio al popolo per mezzo di Mosè, è il segno del suo amore misericordioso.
Il dono del Figlio, mandato dal Padre nel mondo, è il segno di un amore fedele e misericordioso manifestato ora in tutta la sua pienezza e definitività»
La vera adesione a Gesù vede in lui il Figlio unico di Dio, l’icona visibile di un Dio invisibile.
Donando suo Figlio, Dio offre all’umanità la pienezza della vita che è in Lui: così, attraverso il Figlio unico, Dio avrà altri figli. Il Figlio li fa nascere mediante lo Spirito, dando loro la capacità di diventare figli tramite la pratica dell’amore simile alla sua.
San Paolo ce ne offre una esemplificazione: «Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi».
don Giorgio Scatto
[box type=”info” align=”” class=”” width=””]D. Giorgio Scatto, sacerdote della diocesi di Venezia, è il fondatore e il priore della comunità monastica Piccola Famiglia della Risurrezione, sorta nella Pentecoste del 1984 con il consenso e la paternità del Patriarca Marco Cè.
Vive la piccola Regola, ricevuta dalle mani di don Giuseppe Dossetti, presso il quale don Giorgio ha dimorato per circa un anno nella sua comunità a Gerusalemme. La comunità, composta di fratelli e sorelle, vive a Marango, vicino Caorle in provincia di Venezia, si propone di vivere il primato del Vangelo e di annunciarlo ai poveri, come primi destinatari della novità del Regno. E’ aperta all’accoglienza di quanti cercano Dio in un tempo di solitudine e di preghiera. [/box]
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Santissima Trinità
- Colore liturgico: Bianco
- Es 34, 4-6. 8-9; Dn 3,52-56; 2 Cor 13, 11-13; Gv 3, 16-18
Gv 3, 16-18
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 11 – 17 Giugno 2017
- Tempo Ordinario X, Colore bianco
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net
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