II DOMENICA DI PASQUA
Vivere i doni del Risorto
Mentre Matteo e Giovanni 21 pongono la prima apparizione di Gesù Risorto in Galilea, il Vangelo odierno (Gv 20,19-31), come Luca e Marco 16, la presenta a Gerusalemme. Lo schema è quello classico dei racconti di apparizione:
- a) si descrive la misera situazione dei discepoli (v. 19);
- b) si racconta l’improvvisa manifestazione (v. 19);
- c) c’è un saluto (v. 19);
- d) avviene il riconoscimento (v. 19);
- e) si conclude con un comando (vv. 21-23).
Le due apparizioni raccontateci dal Vangelo di oggi avvengono il primo giorno dopo il sabato (vv. 19.26). Il riferimento è liturgico: i cristiani, consci della centralità della Resurrezione, si riuniscono per celebrarla nella sua ricorrenza settimanale (At 20,7; 1 Cor 16,2), rimarcando non solo il distacco dall’ebraismo, ma soprattutto che l’Eucarestia domenicale è luogo dell’incontro con il Risorto (Ap 1,10).
Gesù Risorto porta doni ai suoi: queste elargizioni non sono solo per gli Apostoli, ma per tutti i credenti (Lc 24,33).
Il primo dono è la pace e la gioia: “Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,19-20; cfr Ap 19,7; 21,3-4). La pace è la riconciliazione cosmica con Dio e con tutti gli uomini che è foriera di allegria profonda anche nel dolore. “La fede cristiana non risponde… assicurando semplicemente che tutto continuerà dopo la fine del tempo, che tutto ci verrà restituito; sarebbe una risposta incompleta. La fede cristiana afferma che l’eternità, la vita nuova, vera e definitiva è già entrata con la Pasqua di Cristo nella mia esperienza, è da me vissuta qui e adesso nella indistruttibilità dei gesti che io pongo, di fedeltà, di pace, di amore, di perdono, di amicizia, di onestà, di libertà responsabile. Sono gesti in cui, nel tempo, l’uomo supera il tempo raggiungendo l’eternità, nella misura in cui si affida alla vita e all’eternità del Crocifisso Risorto che ha vinto la morte. La Resurrezione di Gesù non è soltanto ciò che ci attende dopo la morte; è un fatto pasquale presente, che si attua giorno dopo giorno in colui che crede e che spera, che soffre e che ama, che si lascia guidare dalla Parola nel quotidiano per seguire Gesù il quale, mediante la passione e la morte, compie il passaggio da questo mondo al Padre” (C. M. Martini).
Il secondo dono è la missione: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi” (Gv 20, 21): i cristiani sono un popolo di inviati, di apostoli. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito: “La Chiesa peregrinante è per sua natura missionaria” (Ad gentes, n. 2); ed ha invitato “ciascuna comunità… ad allargare la vasta trama della sua carità fino ai confini della terra, dimostrando per quelli che sono lontani la stessa sollecitudine che ha per coloro che sono i suoi propri membri” (id., n. 37). La missione fa parte quindi costitutiva, integrante della vita della Chiesa: non siamo chiamati ad una salvezza individuale, ma siamo stati salvati per salvare, consolati per consolare, liberati per liberare.
Il terzo dono è lo Spirito Santo “alitato” sui discepoli, forse traccia di un antico rito di ordinazione: “Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo»” (Gv 18,22: cfr 14,26; 16,7): è consacrazione profetica (Gv 17,18-19), è nuova creazione (Gen 2,7; Sap 15,11; Ez 37,4-5), è il battesimo dei discepoli (Gv 3,5).
Il quarto dono è il potere di perdonare: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20,23: cfr Mt 16,19; 18,18): non solo il perdono “sacramentale”, ma anche quello reciproco (Mt 6,12; 18,22) e di riconciliazione del mondo (Mc 16,15-16; Lc 24,47).
Nel capitolo 20 del Vangelo di Giovanni ci sono presentati quattro esempi di fede nella Resurrezione: il discepolo amato, che crede subito vedendo il sepolcro vuoto e le bende per terra (Gv 20,3-8); Maria di Magdala, che pur ha visto gli angeli al sepolcro ma che crede solo quando il Signore le appare chiamandola per nome (Gv 20,11-18); i discepoli impauriti, a cui il Cristo risorto si manifesta mostrando i segni sul suo corpo della Passione (Gv 20,19-25); il racconto di Tommaso è invece drammatizzazione del tema del dubbio (Gv 20,24-29). Ma Gesù, con l’unico macarismo, o beatitudine, presente nel Vangelo di Giovanni (insieme a 13,17) proclama “beati quelli che pur non avendo visto crederanno”.
E interessante notare come Giovanni, descrivendo il cammino di fede, giochi su un’intensificazione di significati del verbo “vedere”, reso in greco con vocaboli differenti: si passa dal blepein, il semplice vedere corporale del discepolo amato che scorge le bende per terra (Gv 20,5), al theorein, lo sguardo scrutatore di Pietro, che medita su quelle bende misteriosamente svuotatesi del cadavere prima contenuto (Gv 20,6), e della Maddalena, che prima scorge due angeli in bianche vesti e poi Gesù vicino a lei in piedi (Gv 20,12.14), fino a diventare horan, la comprensione nella fede, la contemplazione del Signore da parte dei discepoli (Gv 20,20.25).
Chi incontra il Risorto nella sua vita e ne riceve i doni diventa missionario per portare a tutti gli uomini la gioia, la pace, il perdono, l’Amore stesso di Dio.
Carlo Miglietta