[ads2]Oggi riflettiamo sul senso di quello che viviamo, sul senso della nostra vita: tutto finirà.
Il senso non sta nelle cose, non sta nelle nostre azioni, non sta nelle realizzazioni, ma nella vita definitiva che si sviluppa attraverso tutto questo.
Come si perviene alla vita definitiva?
Accogliendo giorno dopo giorno l’azione di Dio in noi e nella storia. Se rifiutiamo di accogliere il dono di Dio impediamo lo sviluppo della vita.
La storia umana è fatta dalle scelte che gli uomini compiono, che non sono chiuse in sé.
Noi siamo tempo. Essere tempo vuol dire che nessuna azione che noi compiamo è chiusa in se stessa, ma riflette un passato e prepara un futuro.
Non si può uscire da questa legge, proprio perché è la struttura della nostra esistenza: noi siamo tempo. Vuol dire che noi accogliamo la forza della vita a piccole dosi, a piccoli frammenti, ma dobbiamo conservarli, interiorizzarli, per poter accogliere poi doni futuri e poter sviluppare tutta la ricchezza contenuta nelle dinamiche creatrici. Se noi non accogliamo il dono, è chiaro che prevale la morte e c’è distruzione.
Questo vale sia a livello personale che storico, perché tutti noi insieme diventiamo, perché interiorizziamo i beni che coltiviamo, i valori che perseguiamo, gli ideali che crediamo di vivere.
Diventiamo secondo le nostre scelte, i nostri desideri, i nostri pensieri.
Se siamo diventati secondo dinamiche della violenza e della morte, noi produciamo morte, anche facendo opere buone, come del resto i farisei che combattevano Gesù, lo facevano per il bene del popolo, ma preparavano la rovina.
Erano aggrappati al loro potere, alla loro ricchezza, ma in modo onesto, nella maggioranza.
Non sapevano cogliere la novità che emergeva, che era necessaria per prendere la strada della vita.
Anche noi siamo attaccati alle nostre ricchezze, ai nostri privilegi, ai benefici che abbiamo vivendo in questa società e dimentichiamo tutto il resto del mondo, per cui non favoriamo le scelte nuove necessarie perché l’umanità trovi la sua strada.
2 MACCABEI 7,1-2. 9-14
Oggi leggiamo nella prima lettura un tratto del secondo libro dei Maccabei, in cui si rivive il periodo di resistenza del popolo ebraico contro Antioco IV re di Siria. Costui con un decreto e sotto minaccia di morte proibì agli israeliti di osservare le loro tradizioni e pretendeva di piegare la loro fede proponendo loro ricchezze e perfino la sua amicizia in cambio di un atto: mangiare carni proibite dalle prescrizioni della Legge.
La madre e i figli Maccabei affrontano con eroismo la volontà del re.
Ciò che dà loro tanta sicurezza è la convinzione profonda di un misterioso ritorno alla vita mediante la resurrezione dello stesso corpo.
Le loro affermazioni sono queste: “Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri” “Dal cielo ho ricevuto queste membra… e da lui spero di riaverle di nuovo.”
La verità della risurrezione compare per la prima volta in questo periodo dei Maccabei, soprattutto a contatto dell’amara esperienza della fine immatura dei giusti.
Il fedele giudeo è convinto che il legame d’amore che si è instaurato tra Dio e il giusto già durante l’esistenza terrena, non sarà interrotto dalla morte, ma fiorirà in una comunione perfetta e definitiva.
LUCA 20, 27-38
Amici, cosa pensava Gesù sulla vita futura?
La pensava come continuità della nostra vita presente: “è il Dio dei vivi”: Abramo, Isacco, Giacobbe sono vivi!
La circostanza in cui ce ne parla è quella dei sadducei, che appartenevano alla classe sacerdotale e siccome negavano la resurrezione, cercano di mettere in difficoltà Gesù, presentandogli un caso ipotetico per sentire come lo avrebbe risolto.
Quello di una donna, che è stata sposata con sette fratelli e alla fine è morta senza avere figli.
I sadducei dicono a Gesù: “Tu dici che c’è la vita dopo la morte; ma allora questa donna di chi sarà moglie, visto che l’hanno avuta in moglie in sette?”
E Gesù ha allora occasione di precisare che la vita futura non ha le stesse dinamiche della vita presente, che il rapporto tra persone è diverso.
La vita futura è fondata su quell’azione di Dio che già oggi ci rende vivi.
Anzi, Gesù usa una formula molto significativa: ci rende degni della resurrezione”, degni della vita definitiva, perché figli suoi.
Di qui l’importanza del nostro presente, perché cresciamo come figli, sviluppiamo quella dimensione che ci consente di vivere da vivi anche la morte.
Ma possiamo fallire questa impresa, non diventare degni della resurrezione, non diventare figli di Dio. Come avviene questo? Col rifiuto del dono, quando ci illudiamo di essere noi a fare il bene, a donare vita ai fratelli e presuntuosamente viviamo centrati su noi stessi, su ciò che pensiamo, su ciò che sentiamo, illudendoci di essere già capaci di vivere la morte.
Credere nella resurrezione dai morti non è facile, perché la natura umana è mortale.
Il matrimonio è visto in questa parabola proposta dai sadducei, come un combattere contro la morte: si tratta di suscitare una discendenza perché una stirpe non si spenga.
La donna non esiste per se stessa, è funzionale a questa continuazione di un lignaggio.
L’importante non è una persona umana ma un nome, una discendenza.
Infatti che valore ha l’essere umano per chi non crede nella resurrezione?
E’ ridotto a servire ciò che durerà dopo la propria morte, è il semplice anello di una catena senza altro sbocco che questa vita.
Cristo è venuto a liberarci da questi pesi tramandati ossessivamente dalle civiltà, dai ceti sociali, dalle religioni.
Per Dio è la persona che conta.
Gli obblighi familiari, religiosi, sociali sono subordinati al valore della persona, la quale, creata a immagine del Bene, che non muore mai, è figlio, figlia del Dio eterno.
La donna di questa parabola viene presentata come un oggetto appartenente a una famiglia e utilizzato per la sopravvivenza di una stirpe.
Ma per il Signore lei non appartiene a nessuno: è figlia di Dio.
Nel regno nessuno appartiene a qualcun altro, “sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio”, cioè partecipi della Vita che non finisce, del Bene che dà senso all’esistenza. La sessualità è il luogo di incontro di due libertà, sia per amare sia per usare l’altro a servizio dell’egoismo.
L’unione con la moglie è quella di un amore totalmente rispettoso dell’alienabile libertà di entrambi.
Solo l’amore di Dio, diffuso nel cuore del credente, può garantire un amore duraturo, quando sembra essere scomparso il semplice affetto o l’attrazione fisica.
Proviamo a chiederci se anche noi, come i sadducei, non crediamo alla nostra resurrezione?
La morte è una nuova nascita, la possiamo paragonare al parto, all’uscita da un tunnel verso la luce.
A cura di Carla Sprinzeles | via Qumran
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XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C
- Colore liturgico: verde
- 2 Mac 7, 1-2. 9-14; Sal 16; 2 Ts 2, 16 – 3, 5; Lc 20, 27-38
27Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosé ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosé a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
- 06 – 12 Novembre 2016
- Tempo Ordinario XXXII, Colore verde
- Lezionario: Ciclo C | Anno II, Salterio: sett. 4
Fonte: LaSacraBibbia.net
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