Oggi la liturgia ci presenta l’esperienza della trasfigurazione.
Cosa vuol dire? L’altra settimana la liturgia ci ha presentato Gesù, che era andato nel deserto per pregare e per riflettere e aveva dovuto incontrare le tentazioni, perché doveva scegliere. Oggi, Gesù sale sul monte per pregare e incontrare la tradizione: la legge e i profeti. La chiamata di una persona non riguarda mai solo azioni da compiere, ma di diventare, per essere in grado di fare.
Come rivelare l’amore di Dio? Come esprimere la sua misericordia nelle situazioni in cui ci veniamo a trovare? Come posso crescere come figlio di Dio in questa situazione? Ecco Gesù si è posto queste domande nella preghiera sul Tabor e ha trovato risposta.
La situazione in cui Gesù si trovava era contraria al volere di Dio, lo volevano uccidere! Gesù riesce a essere in grado di vivere questa esperienza in modo positivo. La preghiera conduce all’illuminazione, all’essere investiti da una nuova luce, per cui vediamo le cose in modo diverso da come le vedevamo prima. La risposta ci nasce dentro, perché Dio è dentro. Gesù dopo questo momento di preghiera decide di continuare il cammino fino a Gerusalemme e trova la luce e la forza per continuarlo.
GENESI 12, 1-4
Nella prima lettura si trova il Signore che chiede ad Abramo di lasciare le sue stesse radici: affetti, cultura, abitudini, spazi consueti. E’ un lasciare non fine a se stesso, ma in vista di un dono che Dio vuole consegnargli. Intanto però, deve avviarsi in una terra sconosciuta, verso una destinazione che si chiarirà solo progressivamente.
Sia per l’aspetto del lasciare, dell’uscire da…, sia di quello del partire per.., viene chiesto ad Abramo un affidamento di se stesso ad una “parola” che gli si presenta come sovrana, reclamante un’obbedienza radicale. Peraltro va notato che la parola divina non dice che la terra verso cui Abramo andrà sarà migliore di quella lasciata: soltanto essa gli sarà indicata da Dio, e la bontà di questa terra starà proprio nell’accettarla da Lui.
Ma il Signore, quando chiama ed ordina, ha sempre una promessa da offrire: “Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione.”
Dio ha chiesto tantissimo ad Abramo, ma gli promette ancora di più: certo non è sotto i suoi occhi, ma solo consegnato alla sua disponibilità a credere alla parola di Dio. La promessa è quella di una discendenza così numerosa che si potrà parlare di “una grande nazione”. Con Abramo è la storia di una chiamata grazie alla quale Dio ricostruisce la comunione nell’umanità.
“Allora Abram partì”. Parte senza chiedere spiegazioni, con una risposta pronta, decisa, egli lascia il certo per l’incerto, abbandona una patria che ama, una parentela che è la sua garanzia, la sua protezione. La partenza di Abramo si configura dunque come un’obbedienza coraggiosa e insieme come un atto di fede nel futuro: Abramo non resta prigioniero del suo passato, è proteso verso ciò che il Signore lo farà diventare. E’ per questo che Abramo può diventare una benedizione per le genti, cioè un segno d’amore divino per l’umanità, un germe di speranza per tutti. Infatti Dio non lo chiama per stabilire un rapporto che finisce tra loro due, ma per una responsabilità: poter diventare una benedizione per il mondo.
MATTEO 17, 1-9
Gesù sul monte si porta dietro tre discepoli: Pietro e i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni; quello che accomuna questi tre discepoli è che costoro pensano di seguire un Messia trionfante e spingono il Cristo sulla strada del potere per partecipare alla sua gloria. Sono i tre discepoli che Gesù vorrà con sé anche nel momento dell’arresto, ma i tre si riveleranno incapaci di seguire il Cristo.
Gesù mostra sul monte che la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma con il dono totale di sé. Ai tre discepoli Gesù indica qual è la condizione dell’uomo che, per comunicare vita agli altri uomini è passato attraverso la morte: questa non annienta la persona, ma la trasforma, consentendo all’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, di raggiungere il suo massimo splendore.
Accanto a Gesù appaiono ai discepoli i due personaggi che secondo la tradizione popolare non erano morti ma rapiti in cielo: Mosè ed Elia, che rappresentano le promesse del regno di Dio, manifestate attraverso la Legge e i Profeti.
Con l’invito a fare tre capanne (riferendosi alla festa delle capanne), Pietro sta proponendo a Gesù di manifestarsi come il Messia nazionalistico appoggiato dalla Legge e dai Profeti. Egli non colloca Gesù al centro dei tre personaggi: il posto più importante è occupato da Mosè.
Per Pietro, Gesù deve collocarsi sulle orme di Mosè e non sostituirlo: il Messia desiderato è colui che si conforma alla Legge emanata da Mosè, facendola osservare con lo zelo violento di Elia. Dio interrompe Pietro e dice: “Questi è il Figlio mio, il prediletto, nel quale mi son compiaciuto. Lui ascoltate!” i discepoli caddero con la faccia a terra, si sentono sconfitti, e hanno paura perché riconoscono di essere in presenza di una manifestazione divina e quindi di dover morire: pensano con le categorie della tradizione religiosa, che incutevano la paura di Dio.
Gesù si avvicinò, e toccatili, disse: “Alzatevi e non abbiate paura.” I tre apostoli ne rimasero sconvolti: ai loro occhi cambiò aspetto, avrebbero prolungare all’infinito quell’istante, benché non capissero nulla di ciò che succedeva: era lui o non era lui? Un’atmosfera diversa li aveva accolti, una specie di cielo in terra in cui percepivano addirittura una voce. Poi tornò tutto come prima, il Maestro ridiventò ciò che era sempre stato, nient’altro che un uomo. Poco tempo dopo sarà proprio lo stesso uomo a morire, coperto di sangue, di fango, sfigurato…altro che trasfigurato!
In seguito una donna, Maria Maddalena, lo incontrerà vivo senza poterlo riconoscere, tanto i suoi lineamenti avevano “cambiato aspetto”, mentre la sera di quello stesso giorno due discepoli cammineranno con lui senza identificarlo, quasi fosse uno sconosciuto.
La trasfigurazione prefigura il mistero della resurrezione: è sempre lui, ma ha cambiato aspetto. O sono i nostri occhi ad essere incapaci di riconoscerlo perché accecati dall’esteriorità, dall’immediatezza più banale?
Un barbone è stato ignorato da tutti finché qualcuno non ha scoperto, sotto quegli stracci, un noto chirurgo responsabile involontario della morte di una paziente. E quel volto, invece, chi nasconderà? Un’immagine unica e irripetibile di Dio, in attesa forse che uno sguardo attento e benevolo gliela riveli. Uno sguardo può cambiare anche la vita più disastrata.
Amici, cerchiamo di avere uno sguardo che va oltre l’esteriorità e sappia scoprire nell’altro il vero volto, la vera bellezza, per aiutare l’altro a credere nel suo reale valore.
A cura di Carla Sprinzeles | via Qumran
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II Domenica del Tempo di Quaresima
- Colore liturgico: Viola
- Gn 12, 1-4; Sal. 32; 2 Tm 1, 8-10; Mt 17, 1-9
Mt 17, 1-9
Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 12 – 18 Marzo 2017
- Tempo di Quaresima II, Colore viola
- Lezionario: Ciclo A | Salterio: sett. 2
Fonte: LaSacraBibbia.net
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