Il commento alle letture del 30 Marzo 2019 a cura di Mons. Costantino Di Bruno, Sacerdote Diocesano dell’Arcidiocesi di Catanzaro–Squillace (CZ).
O Dio, abbi pietà di me peccatore
Os 6,1-6; Sal 50; Lc 18,9-14
Leggendo attentamente la morale del fariseo, notiamo che essa è fatta consistere in due soli comandamenti: il settimo e il sesto. Sappiamo che la giustizia consisteva per lui nell’osservanza della tradizione degli antichi. Anche il digiuno era quello secondo gli uomini, non quello secondo Dio, così come era rivelato nel Libro del profeta Isaia. In più pagava la decima di quanto possedeva. A quest’uomo mancano ben otto comandamenti. Manca soprattutto l’ottavo comandamento che proibisce la falsa testimonianza. In verità noi sappiamo che i farisei erano accaniti oppositori di Cristo Gesù. Da essi fu ucciso proprio servendosi di una falsa accusa. Testimoniarono falsamente dinanzi a Dio e al mondo che Gesù aveva bestemmiato, mentre in realtà aveva rivelato la sua verità. Da questa sua santità lui giudica il pubblicano e prende le distanze da esso. Mentre lui è uomo di luce, l’altro è di tenebra. Lui è santo, l’altro è peccatore. Lui ha il diritto di entrare nel tempio. All’altro questo diritto va negato. Eppure sarebbe stato sufficiente leggere qualche brano del Siracide per sapere che la santità regola ogni relazione dell’uomo con Dio e con i suoi fratelli.
Non fare il male, perché il male non ti prenda. Stai lontano dall’iniquità ed essa si allontanerà da te. Figlio, non seminare nei solchi dell’ingiustizia per non raccoglierne sette volte tanto. Non farti giusto davanti al Signore né saggio davanti al re. Non ti impigliare due volte nel peccato, perché neppure di uno resterai impunito. Non dire: «Egli guarderà all’abbondanza dei miei doni, e quando farò l’offerta al Dio altissimo, egli l’accetterà». Non essere incostante nella tua preghiera e non trascurare di fare elemosina. Non deridere un uomo dall’animo amareggiato, perché c’è chi umilia e innalza. Non seminare menzogne contro tuo fratello e non fare qualcosa di simile all’amico. Non ricorrere mai alla menzogna: è un’abitudine che non porta alcun bene. Non unirti alla moltitudine dei peccatori, ricòrdati che la collera divina non tarderà. Umìliati profondamente, perché castigo dell’empio sono fuoco e vermi. Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato? Con tutta l’anima temi il Signore e abbi riverenza per i suoi sacerdoti. Ama con tutta la forza chi ti ha creato e non trascurare i suoi ministri. Temi il Signore e onora il sacerdote, dàgli la sua parte, come ti è stato comandato: primizie, sacrifici di riparazione, offerta delle spalle, vittima di santificazione e primizie delle cose sante. Anche al povero tendi la tua mano, perché sia perfetta la tua benedizione. La tua generosità si estenda a ogni vivente, ma anche al morto non negare la tua pietà. Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti móstrati afflitto. Non esitare a visitare un malato, perché per questo sarai amato. In tutte le tue opere ricòrdati della tua fine e non cadrai mai nel peccato (Cfr. Sir 7,1-36).
La santità secondo Dio è altra cosa dalla santità secondo gli uomini. Il fariseo è santo secondo gli uomini. Non è santo secondo Dio. Il pubblicano è peccatore secondo gli uomini, ma giustificato dal Signore a causa della sua umiltà, del suo pentimento, della sua richiesta di perdono. Il fariseo si reca al tempio per lodare se stesso. La sua non è preghiera. È vanagloria e superbia, perché falsa umiltà. Quella del pubblicano è vera umiltà e autentica preghiera. Di essa il Signore si compiace e l’ascolta. Mentre il fariseo torna a casa con un peccato in più nel cuore: è il peccato di giudizio e di condanna.
Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
A nessun uomo è consentito misurare la sua santità avendo come metro il proprio cuore. La santità ha un solo metro: il cuore del Padre per mezzo del cuore di Cristo. Ma chi può misurarla è lo Spirito Santo, il solo che conosce il cuore del Padre.
Madre di Dio, Angeli, Santi, fate che mai il cristiano cada nel peccato di superbia.