Il Cristo doveva patire e risorgere dai morti.
Assistiamo, nel brano evangelico di oggi, ad un commovente tentativo di Gesù Risorto, di stabilire la sua perfetta identità tra la sua precedente vita e quella attuale: “Guardate!… Toccate!… Avete qui qualcosa da mangiare!… Sono proprio io”! Perché Gesù si è espresso così? Perché è un fatto naturale, umano: si è più propensi a credere ciò che si vede o si tocca, e molto meno a ciò che non si vede e non si tocca.
Questa specie di “materialismo pratico”, che ci corre nel sangue, evidentemente deve essere superato, se vogliamo dare la ‘dovuta’ importanza alla presenza di Dio nel mondo e in noi. Nessuna radicale diversità tra Gesù storico e il Gesù della fede, tra il figlio di Maria, morto sulla croce e il Signore, annunciato dai profeti. “Il Messia dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno”. Entrato nella gloria con la sua risurrezione, Gesù è altro ed è lo stesso. Il passaggio dalla precarietà della vita terrena, quasi schiavitù, alla libertà dei figli di Dio, dalle tenebre alla gloria, avviene nello stesso Figlio dell’uomo.
Egli giustamente ora si preoccupa di dimostrarlo, mangiando con loro, facendosi toccare le cicatrici da coloro che poi dovranno diffondere nel mondo il grande ‘kèrigma’ – annuncio pasquale. “Questi erano i discorsi che vi facevo quando ancora mi trovavo con voi: che dovevano compiersi tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”. Se il Gesù risorto non fosse identico al Servo sofferente del Getsèmani, la gloria che ci è promessa non ci riguarderebbe.
Se tra i due Gesù non ci fosse l’identità, ricadremmo totalmente nelle tenebre, e la nostra speranza, il nostro futuro sarebbero un illusorio sogno. La comunità cristiana vive alla presenza del suo Signore, il Gesù crocifisso e risorto, storicamente vivo, morto ma anche risorto.
Monaci Benedettini Silvestrini
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