Commento al Vangelo per bambini del 3 Marzo 2019 – Tiziana Mazzei

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Un giorno una giovane mamma, preoccupata per il bambino di tre anni assai vivace che anche di notte teneva tutti svegli, si recò da Gandhi per chiedere consiglio a riguardo. Il Mahatma dopo aver ascoltato con attenzione il problema, la esorta a ritornare da lui dopo quindici giorni. La signora se ne va a casa e inizia a fare il conto alla rovescia fino a quando arriva il tempo per la tanto attesa visita. Si reca quindi da Gandhi e il suo consiglio fu molto semplice e banale eppure tanto profondo ed efficace: “Tuo figlio” – le disse – “mangia troppi zuccheri, ecco perché è vivace e irrequieto. Per favore togligli tutti i dolci e vedrai che sarà molto più calmo e non solo vi farà dormire in pace, ma anche lui dormirà tranquillo”.

La signora esterrefatta dalla risposta gli disse: “ma perché mi ha fatto tornare e non me lo ha detto quindici giorni fa?” “Perché anche io fino a quindici giorni fa consumavo lo zucchero” – fu la risposta del Mahatma. Se noi vogliamo aiutare qualcuno a percorrere la strada che conduce all’unione con Dio, dobbiamo noi per primi vivere ciò che insegniamo. Gesù paragona chi è incoerente e che allo stesso tempo vuole correggere gli altri, a un cieco che guida un altro cieco. Noi non abbiamo idea delle conseguenze di questa situazione perché oggi siamo in grado di servirci egregiamente della tecnologia e di arrivare a tutto anche quando il limite umano è severamente pronunciato.

Ma all’epoca di Gesù le strade della Palestina erano piene di buche e di pozzi senza recinti e quindi facilmente i ciechi potevano caderci. Gesù non ci vieta di interessarci degli altri e di accompagnarli nel cammino spirituale; non è contro l’aiuto reciproco e la correzione fraterna. Tutt’altro: Egli vuole che ci sproniamo e vicendevolmente ci correggiamo, ma quando? Dopo aver messo noi per primi l’impegno a riformare la nostra vita. Egli ci dice infatti:“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: ‘Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio ’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello”.

Dunque prima togliamo la trave dal nostro occhio e poi ci vedremo per togliere la pagliuzza dall’occhio di chi il Signore ci mette vicino. A questo punto vorrei due volontari. Si presentano due bambini Prendo il primo bambino e davanti a tutti lo bendo in modo che non possa vedere. Poi dico all’altro bambino di condurlo per mano all’uscita della chiesa. Naturalmente i due riescono ad uscire celermente e facilmente perché colui che fa da guida è senza benda. Successivamente ripeto l’esperimento ma all’insaputa di chi è guidato, metto la benda anche al bambino che deve fare da guida.

Questa volta l’incedere verso la porta di uscita della chiesa si fa al quanto difficoltoso. I due bambini urtano e sbattono continuamente. Faccio loro descrivere come si sono sentiti nei due esperimenti appena portati a termine. Nel primo caso il bambino guidato si è sentito protetto, sicuro e in pace, nel secondo caso, pur non sapendo che chi lo guidava era anche lui bendato ha provato paura, ansia e incertezza. Questa volta le stesse sensazioni ancora più accentuate le ha provate anche il bambino che doveva fare da guida. Per poter guidare gli altri dobbiamo prima vederci bene noi. Cosa significa questo concretamente? Significa che è necessario far penetrare la Parola di Dio fin nel profondo del nostro spirito in modo che ogni nostra azione e parola nascano da un cuore trasformato e animato dalla Grazia. Se voglio sapere quanto è forte la mia unione con Dio devo guardare a come parlo.

La scrittura infatti dice: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Le parole nostre sono molto indicative di ciò che alberga nel nostro cuore: se sono appassionato di calcio, parlerò spesso di partite, scudetti, squadre, campionati, se sono intenditore di musica, le mie conversazioni verteranno specialmente su questo tema, se sono innamorata/o di un ragazzo/a il mio pensiero sarà sempre verso l’amato e spesso anche il mio parlare coinvolgerà in qualche modo lui/lei. Anche i sentimenti e le emozioni che si alternano in me si faranno strada non tanto e non solo nelle parole quanto nel tono della voce, nella mimica facciale e nel tratto. La Parola di Dio riesce a penetrare nelle più intime fibre del nostro essere e a trasformare il nostro sentire e percepire la realtà.

Quello che prima avremmo considerato una disgrazia diventa un’opportunità, quello che giudicavamo un castigo di Dio, diventa una strada eccellente per incontrare Dio e una vera benedizione della Divina Provvidenza, quello che reputavamo spazzatura diventa più prezioso della nostra stessa vita. Allora bambini vogliamo fare questo test: di cosa parlo di solito? E in che modo parlo, cioè il mio parlare è volgare, sgarbato, strafottente, oppure affabile, educato, gentile? Facciamo il proposito di iniziare a correggere il nostro linguaggio chiedendo a Gesù: “Signore prestami le tue labbra perché io dica solo quello che tu mi suggerisci” …. e prima ancora chiediamogli di plasmare i nostri pensieri, i nostri desideri e intendimenti perché la bocca parla dall’abbondanza del cuore.