Il commento al Vangelo di sabato 25 dicembre 2021 (Messa della Notte) – Anno C, a cura di Paolo Curtaz. Qui di seguito il testo ed il video.
Diventare più umani
Si fa spazio con discrezione, senza sgomitare, senza urlare.
Senza clamore, senza esigere, senza fare chiasso.
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Non si impone, non cerca rissa, non pretende attenzione, non fa la vittima.
In questo secondo Natale di pandemia, che ci trova svuotati, sgonfi, storditi come un pugile all’angolo del ring, speranzosi e intimoriti.
Fra le luci delle nostre città, i furgoncini in doppia fila che consegnano i tanti regali comprati on-line, fra uno spot televisivo e l’altro.
In mezzo a questo clima forzatamente festoso, inutilmente dolciastro, torniamo tutti bambini in attesa del regalo, che spesso ci delude.
Dribblando elegantemente le assurde polemiche sui simboli della cristianità che vengono branditi come un’arma identitaria, come un corpo contundente, contraddicendo ciò che simboleggiano: dialogo, apertura all’altro, ospitalità.
Celebrato da una Chiesa in cammino, che si mette in discussione, che osa imparare e cambiare.
Nonostante tutto, ancora una volta, arriva Natale.
E con lui, ancora, ostinatamente, arriva, Dio.
Il nostro Dio. Il mio amatissimo Dio.
Non facciamo finta che Gesù nasce: è già nato nella Storia e tornerà nella gloria.
Ma qui e ora chiede spazio nel mio cuore.
Non è Natale, è il mio Natale.
È Dio che chiede ancora di nascere, qualunque sia il mio stato d’animo, dopo tanti natali vissuti.
Sono io che ancora posso nascere.
Dio si è fatto uomo perché impariamo a diventare più uomini.
Che Storia.
Incarnazioni
Dio ha creato l’uomo, magnificamente libero. Perché amore e libertà si compenetrano, sono indispensabili l’uno all’altro. Non c’è amore senza libertà, e la libertà ci fa innamorare, sempre.
E l’amore, se è amore, rende liberi.
Dio ha creato l’uomo e si è nascosto, si è celato, lasciando in noi una profonda nostalgia dell’Eterno da cui proveniamo, donandoci un’anima che spinge per uscire.
Ma, lo testimonia il popolo di Israele, ci facciamo distrarre, ingannare, condurre da altre parti.
Stentiamo a fidarci del percorso indicato da Dio e piantato nelle nostre coscienze.
Patriarchi, re, profeti, grandi testimoni di Dio, uomini e donne divorati dal fuoco interiore non sono stati sufficienti a portarci verso la pienezza.
Allora, ad un certo punto, Dio ha fatto la scelta più improbabile.
È venuto.
Si è fatto uno di noi. Uguale, identico. Senza privilegi.
Uomo fra uomini.
(Come quando avete un appuntamento con un caro amico e non riuscite a trovarvi e l’amico al telefono, vi dice: stai fermo lì, ti raggiungo io)
Dio ci ha raggiunti. Ha svestito i panni dell’eternità e ha rivestito quelli del limite.
Questo è Natale: una follia d’amore.
Che ogni anno celebriamo per ricordarci che il nostro Dio è l’amato, l’amante, l’Amore.
Eccolo
Una quattordicenne, un giovanotto giusto e determinato. Un viaggio inatteso.
Una piccolo borgo trasudante storie di re.
Una casa che accoglie la partoriente con discrezione, nella grotta che custodisce derrate e animali a proteggere. Dei pastori svegliati dal sonno. Angeli. Luci. Commozione. Speranza.
Conosciamo quel racconto. Lo abbiamo fatto nostro. Ci ha meravigliati, da bambini.
Abbiamo atteso quella coppia vestita di improbabili tuniche cucite dalle nonne della parrocchia. Presepi viventi che riportavano l’orologio del tempo a quelle ore.
Sì, è così.
Chiudiamo gli occhi e guardiamo. Proviamo ad immedesimarci nei sentimenti di una madre che partorisce il primogenito. Facciamo nostra l’ansia malcelata che è di ogni papà, da sempre.
E mettiamoci in un angolo a vedere quel neonato dalla pelle arrossata e raggrinzita, gli occhi strizzati, i pugni serrati, i movimenti impacciati ora che è libero dalla costrizione materna.
Ecco Dio.
Dio è così: bambino.
Follia
Mi commuovo ancora, mentre scrivo.
Davvero credo a questa follia? Sul serio?
Davvero guardo un neonato e vedo l’Infinito?
Sì. Credo.
E mi interrogo, mi spavento, dopo essermi emozionato.
Io vorrei un Dio forte. Un Dio interventista. Un Dio che mi risolve i problemi. Un Dio che prego volentieri ma che mi garantisca una protezione, un appoggio.
Non un neonato inerme, fragile. Bisognoso di tutto.
Che storia. Che Storia.
Dio che chiede accoglienza. Dio disarmato. Dio fragile. Dio che si tiene in braccio e si culla.
È qui, ora.
Mi ritrovo
In lui mi ritrovo.
Capisco che tutto quello che ho vissuto, luci e ombre, gioie e fatiche, sogni e delusioni, mi hanno portato qui e oggi, in questo tempo.
A condividere la speranza che mi trovo dentro. E la certezza di essere amato a prescindere. E di poter amare, nonostante tutto, attraverso tutto, nonostante me, attraverso me. A capire che l’umanità, che esistere, che il peso di ciò che siamo, è immensa grazia e benedizione.
A credere in un mondo che non crede più a nulla, disincantato e cinico. Ad amare una Chiesa smarrita e impaurita, che fatica ad abbandonare le abitudine consolidate. A proclamare dai tetti dei social, mentre fuori nevica in questo mio bilocale ai confini dell’Impero, che Dio ti ama.
E non mi spavento, tengo fermi i polsi e la fede, perché Dio ha accettato di immischiarsi, di entrare in questo mondo, di salvarlo amandolo. E mi rende capace di vivere.
Non dev’essere poi così male essere uomini se Dio stesso sceglie di diventare uomo.
Forse da lui, davvero, torneremo a diventare più uomini. Cercando Dio scopriamo la nostra vera natura.
Sarebbe un gran regalo, in questo Natale rabbioso e disilluso, lamentoso e aggressivo, imparare a tornare uomini.
Ecco, Dio è presente. È qui. A noi, se vogliamo, esserci.
Ancora, davanti a quella ragazza che stringe il suo primogenito, piego le ginocchia.
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