Commento al Vangelo di sabato 25 Dicembre 2021 – don Andrea Vena

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NATALE: LA PAROLA SI E’ FATTA CARNE

Carissimi fratelli e sorelle tutti, buon Natale! Il Dio altissimo e onnipotente si è fatto per noi Uomo, uno di noi perché potessimo “conoscere” la sua stessa Vita.

Non è nato nel fasto di un palazzo, ma in una misera grotta, dove per culla ha avuto una mangiatoia e per cornice un asino e un bue: così fin dal suo ingresso ha confuso i forti e consolato i deboli (cfr 1Cor 1,26). Di ieri e di oggi.

Il tempo dell’Avvento ci ha preparati a questo Avvenimento. Se la prima domenica ci ha indicato la Meta del cammino della vita, essere con il Signore nella sua gloria, dalla II fino alla IV domenica, ci siamo lasciati accompagnare dai testi biblici proposti dalla liturgia per meglio capire come vivere in verità il ricordo della prima venuta di Gesù in mezzo a noi, il suo Natale. Eh sì, perché c’è sempre il rischio di cercare “Dio a modo mio” e non Gesù, il Figlio di Dio, “a modo suo”.

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Abbiamo così imparato la necessità di raddrizzare i sentieri del nostro cuore spesso presuntuosi nel sapere ogni cosa, e colmare i burroni del nostro pessimismo (II domenica di Avvento). Ci è stato ricordato che nessuno è fuori posto né tanto meno scartato agli occhi di Dio, nessuno è escluso – “tutti vedranno la salvezza di Dio” – (II di Avvento): tutti, veramente tutti, possiamo correre verso la grotta di Betlemme. Il cammino d’Avvento è stato propedeutico a questo Avvenimento. È stata una premessa per capire che la promessa si è realizzata, dicevamo domenica scorsa. Non si può pensare di capire il Natale di nostro Signore con i nostri parametri di misura. È come illudersi di capire una partita di calcio con le regole della pallacanestro!

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Il Natale è celebrare con gioia il fatto che il Figlio di Dio si è incarnato, ha condiviso la nostra uamnità, è sceso dal cielo per salvarci e aiutarci a ritrovare la strada per salire verso il Cielo. Questo è il Natale! Così quando giungeremo innanzi alla “grotta di Betlemme” (sia essa un sostare in chiesa innanzi al tabernacolo, o davanti ai nostri presepi, o quell’istante in cui le nostre mani – come mangiatoia – terranno l’Eucaristia) permettiamo a quel Bimbo di sussurrare nel cuore di ciascuno: “Sono nato per te, per salvarti: per donarti una vita colma di gioia e di speranza”.

È vero che il Natale è il compleanno di Gesù, ma è altrettanto vero che “Il Natale del Capo è il Natale del Corpo”, ossia di ciascuno di noi (san Leone Magno; cfr 1Cor 12: la Chiesa, corpo di Cristo). Un Avvenimento di tale portata, che ogni anno la liturgia ce la fa vivere quasi al rallentatore per farci gustare ogni attimo, tanto che ci sono – caso unica nella liturgia – ben 4 messe di Natale.

La Messa della viglia (verso le ore 18.00), ci presenta la genealogia di Gesù, una sorta di “album di famiglia” (Mt 1,1-25). Le origini, la storia di famiglia di Gesù, per far cogliere che lui è della stirpe di Davide (cfr Mt 1,6ss), e che la promessa che Dio ha fatto a Davide di costruirgli “una casa” (cfr 2Sam) ha trovato pienezza in Gesù. Un testo che ci fa capire che la discendenza di Gesù non è stata proprio una “famiglia perfetta”, ma una famiglia come tutte, con membri santi e altri…mascalzoni. Dietro ad ogni nome c’è comunque una storia, un’esperienza attraverso la quale Dio ha reso possibile qualcosa, perché chiunque viene al mondo è un progetto di Dio (cfr Ger 31,3 “Ti ho amato di amore eterno”) e ha un progetto di Dio da assolvere (“Il Signore dal seno materno mi ha chiamato”, Is 49,1).

La Messa della notte (di solito tra le 21 e 24): “Oggi è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11), dice il testo del vangelo. La salvezza ha un volto e un nome: quello di Gesù Cristo. Egli è il Figlio di Dio, la Sapienza del Padre. L’inizio del testo del vangelo è ricco di dettagli storici e cronologici, per indicare che Gesù non è una favola come qualcuno tenta di far credere, ma è un Fatto, un Avvenimento talmente storico da aver cambiato il corso della storia! Non trovando posto in un albergo, Gesù nasce in una grotta/stalla, deposto in una mangiatoia. I primi destinatari dell’annuncio degli angeli sono pastori, poveri guardiani pagati per vegliare le pecore, esclusi dal popolo perché nomadi, perché a contatto con le bestie e con gente non appartenente al popolo, straniera, e quindi impura per la legge. E sono i primi missionari!

La Messa dell’aurora (tra le 7 e le 9) ci presenta la corsa dei pastori che vanno ad adorare il bambino (Lc 2,15- 20), e poi ad annunciare a tutti l’Avvenimento che hanno contemplato! Vanno di corsa alla grotta, senza tentennamenti e senza calcoli, e così faranno lasciando la grotta, perché quando si è liberi dalle “cose” ci si lascia toccare il cuore con molta più disponibilità e libertà.

Infine, la Messa del giorno, (tra le 10 e le 18), ci fa ascoltare il prologo, l’inizio del vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18): una riflessione teologica sulla nascita e la venuta di Gesù nella storia, purtroppo non riconosciuta da quanti avevano altre priorità: “Il Verbo si fece carne…ma non lo hanno accolto…ma a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”. Ecco la gioia del Natale! Dio è venuto in mezzo a noi per renderci figli di Dio!

Altro che regali, luci e cenoni, cose belle, certo e che aiutano a ritrovarsi insieme in letizia, oggi esperienza quanto mai necessaria per uscire dalle nostre solitudini e paure. Ma prima di tutto il senso e il significato del Natale è far memoria della venuta di Dio in mezzo a noi. La gioia del Natale è Gesù: “Oggi è nato per voi il Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11, vangelo della notte), ed è venuto per tutti: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!” (II domenica di Avvento, Lc 3,6). Nessuno escluso. Anzi, la salvezza la “vedranno” per primi proprio gli esclusi, gli ultimi, come i pastori! Non fa forse vibrare i nostri cuori di emozione e di gioia il fatto che il Figlio di Dio si presenti per primo non alle autorità ma ai poveri, ai piccoli? Allora non è forse vero quanto ci aveva suggerito la liturgia che per capire la logica di Gesù la cosa migliore è guadare dalla “periferia”? Solo se impariamo a metterci “nei panni”, “nelle scarpe” dei più deboli e dei più poveri, degli esclusi dalla storia, possiamo capire fino in fondo la forza dirompente della venuta di Gesù. Di proposito si fa piccolo, affinché nessuno possa dire: “E’ troppo grande per me!”. Si fa povero, affinché nessuno possa sentirsi a disagio nell’accostarsi a Lui a tal punto da dire Non sono degno di avvicinarmi a te Signore (Mt 8,8). Si fa tutto per tutti, perché nessuno si senta escluso dal suo abbraccio misericordioso.

Fratelli e sorelle, eravamo morti a causa del peccato e allontanandoci dalla relazione con Dio ci eravamo rivestiti di tenebre (cfr Gn 3). Ma fin dall’inizio Egli si è preso cura di noi, inviandoci i suoi profeti: ma non abbiamo dato loro ascolto, come lamenta Dio stesso: “Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me… io insegnavo a camminare tenendolo per la mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro” (Os 1,2). Finché “Nella pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato di donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4,4).

Nel Natale Dio si è rivestito della nostra umanità per ridonarci il vestito che da sempre aveva pensato per noi, quello della Sua gloria, della sua stessa vita. Gesù è venuto per renderci “figli adottivi”: ma ci pensiamo! Questo è il Natale: la prova certa che Dio ama ciascuno di noi di amore eterno (Ger 31,3). Tutti, indistintamente tutti.

Ancora una volta, così com’è da duemila anni, si sta tentando in ogni modo e attraverso ogni sotterfugio linguistico e legale di cancellare il Natale di Gesù, di far dimenticare il Fatto cristiano, con l’illusa pretesa di poter ripartire da zero o di essere rispettosi di altri credo. Accanto alle legittime e talvolta dovute manifestazioni di ribellione, urge quanto mai ripartire e ravvivare l’amicizia con il Signore Gesù: tornare alle sorgenti del vangelo, recuperare l’esperienza quotidiana e familiare della preghiera, lasciarci plasmare e nutrire dai sacramenti… imparando a dare ragione della speranza che ci muove (cfr 1Pt 3,15), perché Gesù è la realtà decisiva della nostra esistenza.

In nome di uno sterile progetto di uguaglianza, che alla fine mira solo a livellare, molti chiedono di vivere come se Dio non esistesse. Mi domando invece perché non ribaltiamo tale affermazione dicendo e proponendo di vivere come se Dio esistesse.

Se tutti vivessimo come se Dio esistesse (e per noi esiste, eccome!), il mondo ne avrebbe giovamento, perché è Gesù che ci ha insegnato a scendere dai nostri piedistalli e prenderci cura gli uni degli altri; è Lui che ci ha insegnato a perdonarci vicendevolmente; è Lui che ci ha insegnato il rispetto delle donne e dei bambini; è Lui che ci ha insegnato il valore della vita; è Lui che ci ha insegnato a non scartare nessuno. Ma soprattutto è Lui che ha dato la sua vita per noi morendo in croce pur di salvarci dal peccato e da ogni male, ed è il solo che ha vinto la morte risorgendo. Come potrebbe essere il mondo senza questo dinamismo d’amore e di speranza! E poi c’è già nella storia chi ha vissuto come se Dio non esistesse, pensandosi lui stesso un “piccolo dio”: nazismo, fascismo, comunismo, scientismo… Ripensiamo ai frutti di queste scelte: eliminazione del diverso, fin dal grembo materno; perseguimento della razza pura, eliminazione del malato e del morente, dell’anziano improduttivo, selezione e livellamento della cultura, sfruttamento, delirio di onnipotenza…e quanto possiamo ancora andare avanti. Dinamiche un tempo imposte nei campi di concentramento e oggi proposte e votate a maggioranza in tanti Parlamenti del mondo: questo deve pur far pensare. Ecco cosa significa vivere come se Dio non esistesse.

Accanto a scelte così radicali, ci sono poi coloro che si reputano più moderati e propongono, in nome del pluralismo (a senso unico) e della laicità dello Stato, di rinchiudere l’esperienza cristiana all’interno delle chiese e meglio ancora delle sacrestie. Dimostrando in questo modo di non aver fatto ancora esperienza di Gesù, il Figlio di Dio, ma forse solo del Dio-a modo-mio. In fondo il primo ad essere uscito dalla “sacrestia del Paradiso” non è forse stato Gesù, l’Emmanuele, il Dio-con-noi? Lui per primo ha percorso le strade di villaggi e città, è entrato nelle sinagoghe e nelle case, nel tempio e nei palazzi. Lui per primo è entrato dentro la festa della vita e dentro la fatica del lavoro. Lui per primo, perché come Lui imparassimo anche noi a fare altrettanto (cfr…Gv 13,12). E noi oggi siamo chiamati a fare lo stesso, certi che Lui è e resterà sempre il Dio-con- noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Come Gesù è stato il “Dio della città”, così noi siamo chiamati a divenire “cristiani della e nella città”, cioè nella vita quotidiana, e qui essere “sale e luce” (Mt 5,13-16); qui essere “lievito” capace di far fermentare la pasta “della famiglia, della comunità, della storia…” (cfr 1Cor 5,5-7). In una parola, ciascuno di noi è “chiamato” a diventare “segno” della presenza di Dio, perché se decidiamo di fare Natale è perché crediamo che Lui è nato ed è presente in mezzo a noi. Questa gioia siamo chiamati a testimoniare “a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra” (Atti 1: 8). Ecco perché non possono e non devono essere le parole suadenti o progetti rivestiti di nobili intenti a distoglierci dall’identità e dalla missione che Gesù stesso ci ha dato. Non siamo i primi e non saremo gli ultimi ad essere perseguitati a causa del Bimbo di Betlemme: come ci ricorda il vangelo del giorno, “le tenebre non lo hanno accolto” e continuano a non accogliere il Signore Gesù. Forse anche noi talvolta viene la tentazione di mollare, di lasciar andare le cose ma ricordiamoci Geremia il quale confidò: «Mi dicevo: “non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome! Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo ma non potevo”» (Ger 20,9). Sì, perché una cosa sola sappiamo: come « tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo…Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3).

Questa è la mia e nostra certezza, la mia e la nostra gioia. Forse, anzi sicuramente ameremo male il Signore, ma questo non toglie il fatto che possiamo ancora amarlo. Non lasciamoci allora mettere all’angolo dal senso di colpa, invece proprio dalla periferia dei nostri cuori, dove talvolta confiniamo l’emozionante gioia di essere cristiani, continuiamo a fissare lo sguardo sul Bimbo di Betlemme, e andiamoGli incontro, come “bambini mendicanti” d’amore. Gesù solo è la Via che con Verità ci riporta alla Vita del Cielo. Lui solo è Colui che ha portato a compimento il disegno del Padre morendo in croce per me, pur di salvarmi e dimostrarmi che ve- ramente Dio mi ama di amore eterno.

Questo è Natale. Questa è la gioia che si irradia dalla grotta di Betlemme e che oggi si prolunga ogni qual volta vivo lo “stile di Betlemme”, lo “stile del Natale di Gesù”: l’andare incontro agli altri, con amore.

25 dicembre, Santo Natale di Nostro Signore Gesù

Dio buono e grande nell’amore, lo avevi promesso,

lo hai mantenuto.

Hai ascoltato il nostro grido

e hai visto il nostro smarrimento.

Hai squarciato i cieli e sei sceso tra noi nel tuo Figlio Gesù,

l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Ed è Natale!

 

Signore Gesù, Amico e fratello mio, sei venuto dal Cielo,

per insegnarmi la via verso il Cielo.

Ti sei fatto Uomo

per rendermi più uomo. Sei vissuto servendo, per ricordarmi che la vita o si vive per servire,

o non serve per vivere.

Hai vinto la morte

per ricordarmi che sei più Forte di ogni mia fatica e fragilità.

 

Spirito Santo, Maestro interiore, amico dell’anima

ricordami la Parola di Gesù; aiutami a scrutare i segni dei tempi nello scorrere della vita;

rendimi forte nel percorrere la sua via infondi in me la gioia

nella consapevolezza che Gesù, l’Emmanuele, Dio-con-noi resterà con noi fino alla fine.

Ed è gioia.

Perché sarà sempre Natale


Il commento al Vangelo di sabato 25 dicembre 2021 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.