Commento al Vangelo di oggi, sabato 26 settembre 2015

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Per radicare in noi il suo amore infinito, Gesù pianta nelle orecchie e nel cuore la Parola che lo annuncia

Dio è grande, onnipotente, ma oggi ci stupisce per la sua… testardaggine. Gesù, infatti, conosceva quello che gli uomini avevano nel cuore; sapeva che i suoi discepoli non avevano capito nulla di quello che Egli diceva e faceva. Non solo, si nascondevano per paura come Adamo, e, pur avendo accanto a loro l’Autore di quei gesti e di quelle parole, non riuscivano neppure a rivolgergli domande su quell’amore incredibile.

[ads2]Ebbene, perché Gesù, pur sapendo tutto questo dei suoi discepoli, si intestardisce al punto di conficcare nelle loro orecchie parole che non avrebbero compreso e dalle quali sarebbero sfuggiti? Non si tratta di una questione di poco conto. E’ anzi attualissima, in questo tempo in cui regna l’idolo della tolleranza e del rispetto di ogni diritto. Ecco, è proprio qui il punto: non solo gli ideologi, i cattivi maestri e i falsi profeti di turno esaltano e idolatrano la menzogna ipocrita dell’indifferenza spacciata per amore; anche noi, vescovi, preti, padri e madri, cristiani, siamo intrappolati nell’inganno subdolo del demonio che, con la scusa del rispetto, ci imbavaglia perché non si annunci il vangelo. Non è opportuno, è troppo presto, non capirebbero… Non si può far violenza, occorre la delicatezza che sa avere pazienza e cogliere il momento propizio. I consigli pastorali e i differenti comitati che organizzano a tavolino la missione della Chiesa come fosse una qualsiasi multinazionale, nascono da questo inganno di fondo. Così come le crisi dei genitori che, dopo aver sperimentato tante volte il rifiuto dei figli e la totale chiusura alle loro parole, si ritirano in una libertaria e moderna tolleranza, perché in fondo capiranno da soli con l’esperienza, non è capitato anche a noi? A me no, e sono ancora distante anni luce dalla conversione; ma nemmeno ai santi, come a nessun cristiano. Non si aprono gli occhi solo in virtù della propria esperienza, anzi; spesso questa porta a cadere ancora più in basso, a chiudersi nella paura e a non domandare aiuto e luce, proprio come i discepoli di Gesù. Per convertirsi, per aprirsi cioè all’amore di Dio rivelato in Cristo suo Figlio, occorre che qualcuno pianti la sua Parola nelle orecchie. Il testo originale dice proprio così: seminate, piantate, infilate bene e a fondo “queste parole”. Conficcatele nelle orecchie perché penetrino nel cuore. Come fece, ad esempio, S. Ignazio di Loyola con quella stoffa grezza e ribelle che era, all’inizio, Francesco Saverio. Come una goccia d’acqua che cade sul ferro sino a forarlo, Ignazio ripeteva ogni giorno al giovane studente queste parole di Gesù: “Che gioverà a un uomo aver guadagnato tutto il mondo se perde poi l’anima sua?”. Francesco Saverio era in quel momento lanciato verso il futuro; dotato di una intelligenza fuori dal comune, brillante e geniale, sognava di diventare un intellettuale, un giurista o un uomo d’armi per ottenere una posizione di rilievo nella sua nativa Javier, e risollevare così la sua famiglia umiliata dalle vicende avverse della storia. Si trovava quindi nel momento meno favorevole per accogliere la parola di Gesù annunciata da Ignazio. E invece, la sua ripetizione incessante, ebbe ragione del cuore duro e indocile del giovane navarro, e vi si conficcò per non sganciarvisi mai più. Quella parola “messa bene nelle sue orecchie” cominciò ad ardere nel suo cuore trasformandosi in amore e zelo che lo spinsero a consumare la sua vita per annunciarla in ogni angolo dell’Asia. Grazie ad Ignazio che non ebbe timore e rispetto umano, Francesco Saverio percorse senza sosta un continente immenso per “mettere bene nelle orecchie” di chi ancora non lo conosceva, le Parole redentrici di Cristo.

Quelle parole che annunciano la consegna del Figlio dell’uomo nelle mani degli uomini, seminate nelle orecchie dei discepoli sono il primo passo della consegna. In esse è Gesù stesso che si consegnava per essere seminato nel loro cuore. L’imperativo aoristo positivo usato da Gesù, infatti, nell’originale greco indica “la necessità di dare inizio a una cosa nuova, fare ciò che i discepoli non avevano ancora fatto” (Silvano Fausti). Si trattava della stessa necessità di Gesù di consegnarsi e lasciarsi consegnare alla morte per ogni figlio di Adamo schiavo dell’inganno del demonio che getta nell’ignoranza. I discepoli, infatti, “ignoravano” le parole di Gesù, schiavi dell’imperfetto che, nel greco originale, indica un’azione del passato che dura nel presente. Come loro, anche noi con i nostri figli siamo incapaci di comprendere l’amore di Dio che si lascia uccidere dai malvagi, perché abbiamo ascoltato e accolto la parola di menzogna del serpente, che ha chiuso la nostra mente e il nostro cuore nel sepolcro dell’ignoranza, sigillato dalla durissima pietra dell’incredulità. Per questo Gesù, nel momento in cui “stava per essere consegnato”, ha voluto seminare il primo passo del suo amore proprio nei cuori di coloro che aveva scelto perché lo annunciassero a tutti gli uomini. E’ un po’ come fa un prestigiatore quando ti fa scegliere una carta prima di nasconderla nel mazzo; devi essere sicuro che quella che poi riuscirà a riconoscere era proprio quella che tu avevi visto e scelto. Sulla soglia del suo compimento, Gesù ha conficcato nelle orecchie dei discepoli la primizia della sua passione d’amore proprio mentre erano chiusi ad essa, perché vedendolo poi risuscitato, quel seme si dischiudesse dalla loro carne, come una fonte interiore che zampilla per la vita eterna. Gesù ha piantato la sua Parola perché facesse spazio allo Spirito che avrebbe donato dopo essere risuscitato. Il greco originale “mellein” tradotto con “sta per”, indica proprio un futuro già presente e iniziato. Per amore dunque, pur conoscendo la loro ignoranza e la loro chiusura, Gesù ha voluto piantare nel cuore dei discepoli l’embrione della sua opera di salvezza. Senza quella semina della Parola nel buio di una terra ostile e, apparentemente, pure fuori stagione, il seme dell’amore non sarebbe cresciuto sino ad uscire con Cristo dal sepolcro per incontrare la luce della risurrezione, il compimento dello Spirito santo che lo avrebbe fatto fruttificare. Coraggio allora, perché anche oggi il Signore si dona a noi piantandosi nella nostra vita, anche se non capiamo e non vogliamo capire, nella paura di vederla stravolta come accadde a San Francesco Saverio. Coraggio, non temiamo di annunciare il Vangelo dell’amore infinito di Dio a chi ci è accanto, ai giapponesi che sembrano impermeabili a tutto; non cediamo alla tentazione demoniaca che, con la scusa dell’inculturazione, vorrebbe farci tacere per squagliare la Verità celeste del Vangelo nella cultura che è sempre frutto dell’uomo vecchio schiavo del peccato. Questo non è rispetto, ma disprezzo per l’altro! Annuncia, non temere, anche e soprattutto ai figli che sembrano dei muri invalicabili. Pianta nel loro cuore la Parola, una, due, mille volte, perché ogni istante è il momento nel quale Cristo “sta per consegnarsi a lui” attraverso di te, di voi genitori, e poi della comunità cristiana. Non aver paura di donarti, prendi oggi su di te la paura dell’altro, è identica alla tua, che Cristo ha vinto con la forza dell’amore piantato nella tua morte per farti risorgere con Lui nella vita nuova e libera dalla schiavitù del peccato. Perché ogni parola predicata e conficcata in chi ci è accanto prepara l’avvento dello Spirito Santo vivificante, primizia del Cielo preparato per ogni uomo.

A cura di don Antonello Iapicca

Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22.

Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. «Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.