“Sprecare” la vita per Cristo e ogni uomo
“Sei giorni prima della Pasqua”, ovvero sulla soglia di questa Settimana Santa, unica, diversa da tutte le altre, la Chiesa ci pone dinanzi una casa e tre figure. A Betania (casa dei poveri) la casa di Lazzaro (Dio aiuta), risuscitato dai morti; Maria (amata da Dio), che ha conosciuto e scelto la parte buona della vita; Giuda, intelligente e avaro, ladro, prigioniero di se stesso e dei suoi averi, materiali e intellettuali; e Gesù, oggetto di discussioni, al centro di scelte decisive per la vita o per la morte. Entriamo in un tempo speciale, la nostra vita può cambiare davvero. Per questo, Gesù scende oggi a casa nostra, suoi amici, poveri Lazzaro resuscitati dal suo amore infinito, per cercare il fondo del nostro cuore e liberarci; ma non lo può fare se prima non illumina senza sconti le nostre schiavitù. Per fare Pasqua, ogni ebreo doveva e deve innanzi tutto cercare “hametz” il lievito vecchio e farlo sparire, come scriveva San Paolo: “Celebriamo la festa non con il lievito vecchio né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. Il termine “hametz” è usato per designare il pane fatto con il lievito (quello che si mangia abitualmente), in opposizione a “matzah”, il pane non fermentato o pane azzimo. Perché si proibisce il pane fermentato? Perché il lievito cambia il carattere naturale dell’oblazione, o la profana, e tutte le offerte che si facevano nel Tempio di Gerusalemme dovevano essere assolutamente pure; ciò che è fermentato era considerato impuro, poiché risultava acido e “hametz” significa anche “acido”. Dicevano i cabalisti che, come la pasta si gonfia di aria e cresce e prende il sapore acido del fermento, anche l’uomo si gonfia di vuota vanità e adotta l’atteggiamento acido dello sciocco. Più appetitoso e gradevole della “matzah”, “hametz” rappresenta l’istinto cattivo. Il lievito stabilisce una continuità tra il pane di oggi e quello di ieri, perché il lievito naturale è preso dalla pasta fermentata del giorno precedente. Il pane azzimo invece segna un nuovo inizio! Per questo Gesù desidera passare gli ultimi giorni della sua vita a casa dei suoi amici, immagine della Chiesa: per prepararli a qualcosa di nuovo e sorprendente li illumina con la sua Parola, che penetra sino alle zone più profonde dell’uomo per scovarne i più piccoli frammenti di “hametz”, il lievito del pane (la vita) che mangia abitualmente l’uomo vecchio, il pane di Giuda; esso è lievitato dalla sua arroganza, dalla sua intelligenza legata indissolubilmente all’avarizia, che lo porta a essere ladro; dal suo credere di capire sempre tutto e di avere per tutto la soluzione ideale. E con l’avarizia insaziabile che, diceva San Paolo, è pura idolatria, che si trasforma in furto. Un avaro è sempre un ladro: ruba le cose dell’altro, la sua dignità perché se ne vuole appropriare per offrirlo a se stesso e saziare i suoi desideri. Giuda era avaro, vuoto di vanità e acido di mormorazioni e giudizi, che se ne infischia di chiunque gli sia accanto, pur ostentando un’apparente interesse filantropico per poveri e bisognosi. Giuda che non sopporta lo spreco perché lui “ha capito bene per che cosa vale la pena vivere, e spendere i soldi”. Ha capito che l’unico che davvero importa è il proprio io e il proprio stomaco, e tutto il resto è spreco: tempo sprecato, denaro sprecato, affetto sprecato. Non c’è anche in noi lo stesso lievito di Giuda che lo ha spinto a tradire Gesù? Visto che, comunque, gli altri non ci capiscono, e non ci contraccambiano come vorremmo, visto che ognuno, perfino il coniuge e i figli, “coglie il proprio attimo”, non pensiamo forse anche noi che consegnare la vita a Gesù, e con Lui donarla agli altri, sia “sprecarla”? Non finiamo con il tradirlo quando chiudiamo in faccia agli altri la porta del nostro egoismo e della nostra avarizia ipocrita, che sembra orientata al bene mentre è solo paura e mancanza di fede? Non rubiamo anche noi la vita e la dignità degli altri?
[ads2] Ma oggi Gesù scende proprio lì, per guarirci e liberarci, per donarci il cuore di Maria. E’ lei l’immagine della nostra vocazione, un profumo sparso per Cristo: sì, sei nato per “sprecare” tutta la tua vita per Cristo, e se non lo fai sarai sempre infelice. Lui lo ha fatto per noi: ha sprecato sino all’ultima goccia la sua vita per salvarci! Nei paralleli sinottici Gesù loda il gesto di Maria dicendo che ha fatto un’opera “bella”. Ecco, la nostra vita ci è data per essere un’opera bella, la bellezza che Dio aveva visto nella creazione, riflesso del suo volto e del suo cuore. La nostra vita allora è destinata a diventare un riflesso della “bellezza che salverà il mondo”, quella che risplende sul volto di Gesù. Nella sua bellezza sprecata per amore, possiamo sprecare la nostra vita, assaporando la libertà che ci strappa al lievito vecchio di Giuda: non ruberemo ma ci lasceremo derubare… L’opera bella di Maria è stata un’opera profetica, compiuta “in vista della sepoltura di Gesù”. Maria ha compreso laddove i discepoli non riuscivano a comprendere, ma che avevano compreso i Sadducei che per invidia, decidono di uccidere anche Lazzaro, immagine dei cristiani risuscitati da Cristo… Maria lo ha capito, e quindi ha accettato ciò che i discepoli avevano respinto: la morte crocifissa del loro Maestro. L’opera bella è dunque un’opera che accoglie ed entra con Cristo nell’assurdo della Croce, che rende onore alla sofferenza rinvenendovi i bagliori dell’alba di risurrezione. Maria non spreca, ama. E amare non è altro che ungere con quanto si ha di più prezioso, con la propria vita la vita di Cristo, il suo corpo incarnato in ogni corpo, la sua sofferenza deposta in ogni sofferenza. L’opera bella è condividere sino in fondo il dolore di Cristo, che è il dolore di ogni uomo, di tuo marito, di tuo figlio, di tua cognata. Ma perché il profumo si spanda e riempia la casa, occorre che il “vaso dell’unguento si rompa”. Occorre la lancia che ha trafitto il costato di Cristo, la spada che ha trapassato l’anima della Vergine Maria. Occorre che la storia con le sue sofferenze apra il nostro cuore perché, amando, sprechiamo tempo, denaro, fatiche, progetti, tutto noi stessi, soprattutto per chi sembra non farsene nulla, come accadde sul Calvario. Ma proprio quando, per il pensiero del mondo, si “rompe” inutilmente il nostro io, la vita si fa feconda e compiuta, bella! Il “nardo”, infatti, è un’essenza che si origina ad altissime quote. E’ dal Cielo che Maria e ciascuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo nel Battesimo. Per questo, il nardo è immagine delle grazie delle quali Dio ci ricolma perché in noi appaia la vita nuova e celeste dalla quale si spande il profumo delle opere che mostrano la vittoria sulla morte di Cristo. Il Targum del Cantico dei Cantici mette in relazione il nardo con il Paradiso: “I tuoi giovani sono pieni di opere buone… I loro odori sono come quelli dei begli alberi del giardino dell’Eden, come il cipresso e il nardo… “. Per questo, il Vangelo ci dice che si trattava di “vero nardo”, autentico, non adulterato, “pistikis” – “degno di fede”, secondo il significato dell’originale greco. Il vero nardo è dunque il segno dello Spirito autentico, che ispira opere degne di fede; il nardo con cui Maria unge i piedi di Gesù è il profumo autentico della sua vita fedele alla vocazione ricevuta, la fragranza della fede che si incarna in opere belle che vincono l’olezzo della corruzione e della morte.
Accogliamo allora oggi Gesù nella nostra casa e, come Maria, mettiamoci ai suoi piedi. Diventeremo, come lei, la Sposa più felice di questo mondo, per dare a Lui dare il meglio di noi stessi, per amore, per puro amore; proprio come recita il Cantico dei Cantici: “Mentre il re è nel suo recinto, il mio nardo spande il suo profumo”. E’ la vita della sposa offerta come un balbettio d’amore all’amore infinito dello Sposo. Da oggi Gesù è a Betania, nella nostra vita, perché sia curato e protetto come gli agnelli che dovevano venire sacrificati a Pasqua. L’amore della sua famiglia prepara, infatti, l’Agnello ad immolarsi. Impressionante! Prima di entrare nella sua Passione, prima di morire, Cristo viene a prepararsi a casa nostra… Prendiamoci allora momenti per amarlo e consegnargli i peccati che andrà a perdonare sulla Croce! Elemosine, digiuni che nessuno vede come baci segreti allo Sposo, preghiamo facendo di ogni giorno il santuario dell’intimità con Lui; mentre compriamo le mele, o facciamo la doccia, o la fila alla Posta, o dal dentista, lavando i piatti o guidando, nel cuore ripetiamo ti amo e tu abbi pietà di me; prendiamo il rosario e andiamo a Lui con Maria; scrutiamo la Scrittura, chiudiamoci in camera un momento, o anche nel bagno dell’ufficio, e piangiamo, ungiamo i suoi piedi; passiamo davanti al Santissimo e diciamogli che lo amiamo; facciamo una gentilezza a chi non sopportiamo, una parola quando vorremmo star zitti, e taciamo quando vorremmo parlare… Non lasciamo neanche un’occasione per amare Gesù. Così ci prepareremo con Lui ad entrare nella Pasqua come alle nozze dell’Agnello, puro profumo d’amore per salvare ogni uomo.
Gesù, aiutaci a diffondere il tuo profumo ovunque noi andiamo;
inondaci del tuo spirito e della tua vita;
prendi possesso del nostro essere così pienamente,
che tutta la nostra vita sia soltanto un’ irradiazione della tua;
risplendi in noi e attraverso di noi;
che chiunque ci avvicini senta in noi la tua presenza;
chi viene a noi cerchi Te e veda soltanto Te;
resta con noi, così cominceremo a risplendere come risplendi Tu,
così da essere luce per gli altri;
la luce, Gesù, verrà tutta da Te, e nulla di essa sarà nostra proprietà;
sarai Tu ad illuminare attraverso di noi;
fa che noi Ti lodiamo nel modo che piace a Te,
effondendo la Tua luce su quanti ci stanno attorno;
che noi predichiamo di te, senza predicare,
ma con il nostro esempio, con la forza che trascina,
con il suadente influsso del nostro operare,
con l’evidente pienezza dell’amore di cui il nostro cuore trabocca.
Amen.
John Henry Newman