Innalzati con Cristo nell’amore
Spesso e senza rendercene conto guardiamo a Cristo come a un suicida. Forse non elaboriamo il concetto in maniera così cruda, ma, analizzandoci di fronte alle nostre croci, scopriamo che è esattamente quello che pensiamo. Si tratta della scelta imposta da Pilato alla folla tumultuante: “Volete che vi liberi Gesù o Barabba?”. La giustizia umana fondata sulla violenza o l’agnello di Dio che si carica di ogni ingiustizia? Per noi la via intrapresa dal Servo di Yawhè, l’agnello muto che non apre bocca e si lascia umiliare sino ad offrire la propria vita, è puro suicidio: “Il Dio in croce è una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene” (F. Nietzsche). Non siamo lontani dal filosofo; quando la storia frappone ostacoli al compimento dei nostri desideri e alla realizzazione dei nostri progetti guardiamo al crocifisso come a una maledizione, e sentiamo, irrefrenabile, l’impulso a liberarci dalla sofferenza. Scegliamo Barabba e ci incamminiamo sul sentiero opposto a quello della Croce. “Apparteniamo al mondo, siamo di quaggiù”, le logiche “di lassù” non le comprendiamo. Quante volte “lo abbiamo cercato” senza trovarlo? Perché lo abbiamo cercato nelle nostre concupiscenze, mentre ci facevamo giustizia, increduli che “Io sono” è amore sino alla fine, sino al nemico. Per questo il Signore ci dice che “non possiamo andare dove egli va”. Non possiamo seguirlo sulla via della Croce, l’assurdo ci spaventa, il dolore ci annichilisce. La nostra esistenza sembra basarsi sulle tragiche parole riportate nel libro della Sapienza: “La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio, quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati” (Sap. 2, 1-2). Dietro a ogni rifiuto della Croce vi è sempre l’incredulità cinica di chi non ha conosciuto Colui che libera dagli inferi: “se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”. La tomba ci fa paura, e, se una lapide decreta la fine, siamo condannati a lottare con tutte le forze per allontanare il più possibile la morte. Per questo non possiamo accettare un figlio che uccida i nostri progetti su di lui; che la moglie o il marito entrino in crisi e distruggano affetto e dolcezza, polverizzando l’immagine di matrimonio che abbiamo coltivato; la suocera che ci guarda di traverso obbligandoci sempre sulla difensiva; un lavoro che ci umilia senza un briciolo di rispetto; una malattia che sconvolga i ritmi e inchiodi la vita alla precarietà. Non accettiamo, e ci dimeniamo, cercando ragioni, soluzioni, vie di fuga, ma senza successo: la vendetta non ci consola, farci giustizia non ci placa, accaparrare tutto per offrire ogni cosa alla nostra carne ferita non ci sazia. “Moriamo nei nostri peccati”, perché non sappiamo rispondere alla domanda cruciale: “Tu chi sei?”. Ma ancora una volta si avvicina la Pasqua per rinnovare il prodigio: i peccati nei quali siamo morti, quelli che si ripetono giorno dopo giorno come gocce che scendono da un rubinetto mal chiuso, “innalzano” per noi Cristo davanti ai nostri occhi. E’ questo l’assurdo che può trasformare la nostra vita: nell’amore sconvolgente di Dio, il peccato diventa lo strumento per conoscere e sperimentare che Gesù è “Io sono”, ovvero Dio Onnipotente. I nostri fallimenti, le paure, la Croce che abbiamo preparato per Lui sono anche oggi il modo folle attraverso il quale Dio ci viene incontro per offrirci una roccia su cui appoggiare la nostra fede: morti nei peccati, nei peccati possiamo incontrare la vita. La maledizione che tante volte abbiamo lanciato contro la nostra storia ha crocifisso “Io sono”. E Lui era lì, a lasciarsi “innalzare”, perché sapeva bene che solo “allora” lo avremmo riconosciuto. Guarda bene la tua vita, e conta quanti giudizi, quante menzogne, quante porcherie nascoste nel cuore ti ha perdonato. Perché sei ancora vivo? Perché oggi puoi ancora ascoltare una Parola che ti chiama a conversione? Perché hai ancora una possibilità per non distruggere del tutto il matrimonio, per riconciliarti con tuo figlio? Perché c’è ancora una Pasqua che ti aspetta per ridarti la vita? Perché il Signore “non ha mai fatto nulla da se stesso, ma come gli ha insegnato il Padre ha parlato” annunciandoci la verità. A differenza di tutti noi “ha sempre fatto le cose gradite al Padre”, sino a donarsi sulla Croce. Convertiamoci allora, e fissiamo il crocifisso. Non è stato suicidio, ma il dono più grande; su quel legno erano scritti i peccati nei quali siamo andati a morire, noi sì suicidandoci… ma se alziamo gli occhi – che significa pregare, digiunare, fare elemosina, accostarsi ai sacramenti e ascoltare umilmente la Parola di Dio, e andarci a riconciliare con i fratelli – scopriremo Gesù “innalzato” al centro della nostra vita per strapparci alle cose di quaggiù e insegnarci a pensare a quelle di lassù. Proprio dove più dura è la sofferenza e più forte è il desiderio di sfuggirla, sperimenteremo allora che Lui è Dio, e che il suo amore è più forte del peccato che ci schiavizza. “Io sono” ci attende sulla Croce per farci “essere” con Lui. Rinneghiamo noi stessi e lasciamoci “innalzare” con Lui. Solo allora, nella nostra umiliazione per amore, chi ci è accanto “saprà” che Dio è amore, che in Lui si può ricominciare. Così, crocifissi con Cristo, potremo finalmente “andare dove Lui” ci ha preceduto per prepararci un posto, compiendo la volontà di Dio. Al Padre, infatti, è gradita una famiglia santa, sposi, genitori e figli che si amano, come una comunità cristiana che vive nella comunione, sperimentando che con Cristo “non siamo mai soli”. [fonte]
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In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”. Dicevano allora i Giudei: “Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?”.
E diceva loro: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati”.
Gli dissero allora: “Tu chi sei?”. Gesù disse loro: “Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui”. Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste sue parole, molti credettero in lui.(Dal Vangelo secondo Giovanni 8, 21-30)
Don Antonello Iapicca
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