Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
La prima lettura accompagna a scorgere un’altra tappa della storia della salvezza dopo l’alleanza con Noè e la legatura di Isacco. E’ il dono della legge a Mosè nel cammino dell’esodo. Le dieci parole sono da leggere alla luce di quella inziale: “Io sono il Signore, tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù”. Le dieci parole infatti indicano che tutta la vita può divenire luogo di una relazione viva con il Dio vicino. E’ lui il liberatore che ha ascoltato il grido di Israele oppresso traendoli fuori dalla schiavitù per aprirgli una strada di incontro e di libertà. La relazione nuova con lui trova espressione nelle prime tre parole. Le altre sette parole riguardano una nuova relazione con gli altri, di rispetto, di giustizia, di accoglienza. I cosiddetti ‘comandamenti’ non sono quindi una legge a cui sentirsi sottoposti, ma sono invito e apertura di una via per rispondere ad una chiamata di amore. Chiedono di liberarsi dagli idoli che occupano la vita e aprirsi al servizio a Dio e agli altri quale compimento di umanità.
L’episodio della cacciata dei venditori dal tempio è posto dal IV vangelo all’inizio della attività pubblica di Gesù, nei giorni della festa di Pasqua. E’ così un momento che anticipa l’intero cammino di Gesù. Fu proprio questo suo gesto uno dei motivi che suscitarono l’ostilità dei sacerdoti e capi di Gerusalemme.
Rovesciare i tavoli dei venditori è certamente una critica ad un modo di vivere un culto separato dalla vita, è accusa di tradire il significato del tempio, segno della presenza di Dio vicina. Ma questo gesto reca in sè anche un messaggio di superamento del tempio stesso. E’ infatti un segno tipico dell’agire profetico che evoca un tempo nuovo ormai iniziato: Dio infatti cerca credenti che lo adorino non in un tempio o in un altro luogo ma ‘in spirito e verità’ (cfr. Gv 4,21-24). Le parole di Gesù sono indicative del significato del gesto: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” e l’evangelista osserva: “ma egli parlava del tempio del suo corpo (…) Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. ‘Ricordare’ nel linguaggio giovanneo indica non solo una ricondurre alla memoria , ma ben più un comprendere il senso profondo dell’agire di Gesù, per la nostra salvezza, alla luce della risurrezione.
L’intero IV vangelo conduce il lettore in un cammino del ‘credere’, che si connota come ‘credere in’ Gesù. Il segno del tempio è un segno che rinvia alla sua persona ed invita a scorgere d’ora in poi in lui la possibilità di accesso al Padre non su questo o su un altro monte ma nello Spirito. Con Gesù è giunto il tempo di un culto in spirito e verità che non divide e pone gli uni contro gli altri. La gloria di Dio per Giovanni si manifesta sul volto del crocifisso che manifesta il dono e l’amore fino alla fine quale volto più autentico di Dio.
Nel rapporto con lui che possiamo trovare il senso profondo delle dieci parole, dei suoi comandamenti: “Se mi amate osserverete i miei comandamenti…. Voi siete miei amici perché fate quello che vi comando” (Gv 14,15; 15,14).