L’apparente resoconto “cronicistico” di ciò che può essere considerato il prosieguo della lunga giornata di Cafarnao, rivela, attraverso la consueta prosa asciutta di Marco, un centro teologico- rivelativo importante e ne indica il percorso pedagogico.
In questo breve brano, dimensione pubblica e privata di Gesù si alternano costantemente, a indicare la necessaria e irrinunciabile compresenza dei due livelli. Da un luogo pubblico, la sinagoga, Gesù con Giacomo, Giovanni e altri seguaci, passa a un luogo privato: la casa di Simone e Andrea.
La prima notazione fatta dall’evangelista riferisce dello stato di salute della suocera di Simone che, in quel giorno di sabato, è a letto con la febbre; non può pertanto attendere alle consuete mansioni della casa e all’accoglienza degli uomini di ritorno dalla sinagoga. La situazione di infermità della donna viene da subito raccontata a Gesù. In maniera immediata e senza commenti di sorta, viene descritta l’azione di Gesù che, avvicinatosi alla donna, la prende per mano facendola alzare: com- passione che, nel gesto semplice e umano del contatto, guarisce, permettendo alla donna di rialzarsi, di “svegliarsi”, di “risorgere” (eghèirein).
La guarigione è un aspetto più volte sottolineato dal Vangelo di Marco. Gesù stesso si ribella al male, alla sofferenza dell’uomo e se ne prende cura; egli è il “medico” (Mc 2,17), colui che attualizza il nome di Dio che è “Colui che ti guarisce” (Es. 15,26). Tutt’altro che azione miracolistica ed eclatante, la guarigione viene legata alla fede di colui che la richiede e alla predicazione della Parola di Gesù stesso: per essere guariti ci si deve potere fidare e affidare; dalla relazione con Gesù scaturisce la guarigione; essa è rivelazione del Regno di Dio, esperienza di “resurrezioni” in vista della liberazione definitiva dal male che, solo dopo che Gesù avrà attraversato la croce, potrà affermare la Vita sulla morte.
La suocera di Simone, una volta “ri-sorta”, si mette a servire. In una frase, Marco condensa due aspetti centrali: l’intervento “salvifico” di Gesù e la conseguente azione di servizio (diakonìa) della donna. Dalla guarigione dal male, infatti, non può che scaturire il servizio, che diventa testimonianza e obbedienza a Gesù il quale si è Egli stesso messo al servizio degli uomini, accogliendone le sofferenze, curandone i mali, prendendosi cura fino al gesto esemplificativo della lavanda dei piedi, prologo della Pasqua.
Alla porta accorre tutta la città: è una comunità che si mette in movimento: «gli portavano tutti i malati e gli indemoniati»; è una umanità malata, uomini e donne in cerca e in attesa di un gesto che possa sollevarli dal male che alberga dentro di sé; ne guarisce «molti» e, tra questi, anche indemoniati a cui però proibisce di parlare: non è ancora giunto il momento della rivelazione. Molti, precisa Marco, non tutti. Nulla di consequenziale o di meccanico, dunque: Gesù non è un guaritore “seriale”; il suo mandato va “oltre”. La guarigione è ricondotta all’ annuncio, non è fine a se stessa. Così come necessita, anche da parte di Gesù stesso che la esercita, della preghiera, in solitudine.
Nelle prime ore del giorno seguente, Gesù si reca «in un luogo deserto», lontano dal clamore delle folle. È il momento privatissimo della sua preghiera al Padre. Lui è la fonte cui abbeverarsi, nutrirsi e da cui attingere la forza e l’efficacia della Parola predicata; la forza e l’efficacia del gesto salvifico di guarigione. È un percorso, una pedagogia che in questo versetto essenziale Marco ci indica. Nulla è possibile, lontano dal Padre. La Parola diventa “evento” nella relazione col Padre.
Eppure, lo vengono a cercare, le folle lo cercano, premono; Gesù sente di non dovere limitare la sua opera all’interno della città. La sua opera e la sua Parola non hanno confini: esse sono per tutti, per un «altrove», luogo per l’appunto non specificato, e che per ciò stesso si apre al mondo, a una universalità, per diventare “luogo” in cui Gesù possa accogliere chiunque sia desideroso di “guarigione”: «per questo infatti sono venuto» (uscito).
Se è questa la sua missione, non è allora possibile fermare il cammino di Gesù, condizionarlo ai propri bisogni o esigenze, trattenerlo; questo tentativo di “possesso”, sia pur esso di una intera comunità/città o popolo, è contraria alla missione stessa di Gesù. Egli è il viandante che non ferma mai il suo cammino per le strade del mondo, alla ricerca dell’uomo.
Gli ultimi versetti vedono Gesù pronto ad andare verso un altrove, dove continuare a predicare la Parola, a dare speranza, a guarire dal male. Elementi tutti legati l’uno con l’altro e che Marco, in questo breve brano, ci rappresenta all’interno del percorso preghiera – predicazione – guarigione – servizio, che Gesù traccia per noi.
Commento a cura di Giustina
Fonte: Alessandra Colonna Romano (Palermo)
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