V Domenica di Quaresima – Anno C
Ruoli che non abbiamo scelto
Come diceva Shakespeare, la vita è un palcoscenico, e tutti noi amiamo recitare un ruolo. Sebbene proviamo a cambiare di tanto in tanto la nostra maschera, ci sono dei ruoli per i quali abbiamo una certa preferenza. E molte volte rischiamo di rimanere intrappolati dentro maschere da cui non riusciamo a liberarci.
Ci fissiamo per esempio nel ruolo della vittima, nel personaggio di chi paga le conseguenze dell’ingiustizia del mondo e diamo facilmente la colpa agli altri senza assumerci mai le nostre responsabilità.
Altri invece amano recitare il ruolo degli accusatori, sono quelli che si ritengono sempre giusti, curano l’immagine e non vogliono essere trovati in difetto. E poi ci sono quelli che provano a svolgere il ruolo del salvatore, sono quelli che devono salvare le situazioni a ogni costo, si sacrificano per gli altri anche quando nessuno glielo chiede. Quando questi tre ruoli appaiono insieme, si rischia di costruire un gioco spiacevole che può andare all’infinito. L’unico modo per uscirne è che uno degli attori si sottragga al ruolo che gli viene imposto di giocare.
Spezzare il gioco
Anche questa pagina del Vangelo, a ben guardare, potrebbe essere letta in questa chiave. C’è una donna che è costretta a recitare il ruolo di vittima. Forse da sempre le hanno trasmesso il messaggio che lei poteva essere solo una prostituta, che non meritava l’amore. Si sarà sentita giudicata per tutta la vita. E infatti ci sono degli accusatori che l’hanno sorpresa in flagrante adulterio, come se da sempre la spiassero per aspettare il momento opportuno per accusarla pubblicamente.
Questi accusatori si presentano come esperti della legge, come modelli di osservanza. Sono immagine di quelle persone sempre pronte a criticare. Sono quelli che impiegano le loro energie per difendere costantemente la propria immagine di persone irreprensibili. Sono proprio loro che vorrebbero costringere Gesù nel ruolo del giudice, cioè di colui che può salvare o condannare. Ma è proprio qui che avviene il gesto inaspettato che rompe il gioco. Gesù si sottrae al ruolo che gli viene imposto e spezza la dinamica in cui gli altri sono intrappolati. Gesù si alza, uscendo così dallo spazio riservato al giudice. Ribalta sugli accusatori il compito di giudicare, offrendo loro la possibilità di salvare quella donna o condannarla. Invita cioè chi accusa a cambiare posizione, a vedere le cose da un altro punto di vista.
Gli altri ci rivelano
Gli altri sono infatti sempre uno specchio che ci sta davanti. Quando qualcuno provoca disagio in noi, dobbiamo sempre chiederci quale parte di noi sta toccando. Quel disagio nasce spesso da un confronto. L’altro fa emergere quello che io non ho (e suscita invidia) o mi ricorda un aspetto di me che non mi piace (e mi suscita rabbia). È inevitabile rivedere in ogni storia qualcosa della mia vita.
Questi scribi e farisei vedono nell’infedeltà di questa donna la loro infedeltà potenziale (o anche reale). Quella donna ricorda ciò che loro stessi possono essere. Del resto, la Scrittura accusava frequentemente Israele di essere una sposa adultera e infedele. Ogni israelita, dunque, può pensarlo di se stesso.
Forse va letto in questo modo quel gesto di Gesù di scrivere per terra. Scrive probabilmente delle parole per coloro che si presentano come esperti delle parole della Legge. Anche quelle parole perciò possono essere uno specchio in cui rivedersi. Gesù ci invita a leggerci nella vita delle persone che accusiamo. Anche noi siamo così, anche noi siamo in fondo vittime.
Siamo spesso tentati di distruggere lo specchio per evitare che continui a rimandarci un’immagine di noi che non ci piace. Ma possiamo anche cogliere l’opportunità di imparare qualcosa di noi dalla storia di coloro che accusiamo.
La libertà di giocare
Sottraendosi al ruolo che gli accusatori vogliono imporgli, Gesù spezza il gioco e sconvolge le posizioni. Gesù sa bene che il vero imputato in quel processo è lui stesso. Quello che sta avvenendo a questa donna anticipa ciò che poco dopo accadrà alla sua vita. Si ritroverà imputato, innocente condannato, davanti a un giudice che sarà schiavo del suo ruolo.
Coloro che accusano, gli scribi e i farisei, si ritrovano a essere gli imputati e perciò abbandonano il gioco.
Quando Gesù e la donna restano da soli, Gesù si china di nuovo, si rimette nella posizione del giudice, ma questa volta è egli stesso che sceglie quel ruolo. Gesù è il giudice giusto e proprio per questo può rivolgere parole di misericordia.
Gesù è colui che salva ogni uomo. Eppure non rimane nella posizione del giudice: dopo aver aiutato la donna a prendere consapevolezza del proprio errore, Gesù si alza anche per lei. Non è solo il giudice, è anche il Salvatore, è il Risorto.
Gesù entra nei triangoli drammatici nei quali, in un modo o nell’altro ci ritroviamo. Egli spezza il gioco e costruisce percorsi nuovi, dove possiamo diventare pienamente consapevoli e liberi di stare nel gioco che vogliamo giocare: «Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,18-19).
Leggersi dentro
- Quale ruolo giochi ordinariamente nelle relazioni con gli altri?
- In che modo il Signore ti sta facendo sperimentare la sua misericordia?
P. Gaetano Piccolo SJ
Compagnia di Gesù (Societas Iesu) – Fonte