Commento al Vangelo di domenica 6 Novembre 2022 – Comunità Kairos

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Morte e Vita si fronteggiano in questo brano. La prima parte vive di morte e di possesso, la seconda di Vita e dell’immagine di un Dio Vivente, che vuole trasmettere ai figli la sua vita in pienezza. In mezzo, ad allacciarle, sta il mistero della resurrezione. Sigillo di una scelta, perché la resurrezione la si sceglie nell’accettare Dio.

Siamo ormai a Gerusalemme, nel tempio, dove si sono accese pericolose controversie che vedono i rappresentanti delle scuole teologiche ufficiali e del sistema di potere alternarsi nel tentativo di mettere Gesù alle corde. Dietro il contrasto scritturistico si gioca la partita dell’autorità del nuovo rabbi che, appena giunto in città, ha cacciato i venditori dal tempio, equiparandolo a “una spelonca di briganti”.

Qui accusano il colpo i sadducei, ricchi esponenti dell’aristocrazia templare; godono di grandi risorse economiche derivate dal culto e dalla pratica dei sacrifici. Quindi Gesù si rivela per loro pericoloso avversario da eliminare e, intanto, da ridicolizzare con un caso di scuola. Argomento del contendere è la resurrezione dei morti, negata dai fondamentalisti sadducei, perché non contemplata nei primi cinque libri della Toràh, loro unico riferimento scritturistico. Qui abbiamo un esempio di progressione della Rivelazione nelle scritture: l’antico Israele non conosce il tema, “Vita oltre la morte”.

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Concretamente il fedele cammina con Dio su questa terra e premio finale è una lunga vecchiaia, coronata da figli e nipoti. Unicamente a loro l’uomo biblico affida il suo sporgersi nel mondo dopo la morte che lo relega nel pallido Sheol. Da qui la norma del levirato, previsto in caso di mancata paternità (Dt 25,5). Invece nel tempo la riflessione storica e sapienziale, a partire proprio al brano che la liturgia oggi ci legge (2Mac 7), prospetta negli ultimi due secoli la tesi di una resurrezione della carne, cui aderiranno i farisei: come non riconoscere una fedeltà del martire sino al dono della vita al Signore, se non in una prospettiva di eternità?

Ma se questi setti fratelli e la loro madre sono immersi nella logica del dono, ricevuto nello stupore e da restituire nella fedeltà, per riceverlo di nuovo nella speranza (7,22-23), la paradossale storiella dei sadducei ora ci racconta di un Dio assente e di un referente unico che è il legislatore Mosè. La ricchezza della Parola, piegata a una lettura strumentale è sterilizzata nella norma. Morte e possesso martellano il racconto. Tutto vi è asfittico. Nel rifiutare Gesù rifiutano una vita altra, augurandosi solo la sussistenza del loro patrimonio biologico. Fortissima la contrapposizione nel quadro tracciato in risposta da Gesù.

Da una parte il razionalismo dei potenti sadducei, tanto ben installati nella situazione politico-sociale: figli di questa vita. Una vita che sempre vediamo riproporsi! E per loro smentisce l’interpretazione farisaica che la resurrezione dei giusti nell’ultimo giorno sia la pura riproposizione della vita esistente e potenziata. Dall’altra parte quelli che si sono protesi alla possibilità di una vita altra, abbracciata dall’amore di Dio, e che, risollevati da quella morte che non chiude la vita ma la dischiude, approdano (crescendo sinfonico nel v. 36) all’essere figli di Dio. Se l’umano soffre del limite e del non-senso di una fine radicale, posta a contraddire la tensione vitale alla pienezza del sé, la paura della morte trova tante vie per esorcizzarla: quelle positive, che arricchiscono la vita, e quelle negative, che la contraddicono.

Tra le prime: il figlio, proiezione genetica per vivere attraverso la sua vita; una qualche gloria che ci strappi all’oblio: “tutto non morirò”; l’eros poi, che stringe due partner in una sessualità consolatoria, misteriosa metafora in questo mondo della comunione divina, pur destinata a essere superata come il sogno notturno davanti la realtà della luce. Tra le seconde, le vie negative di esorcizzare la morte: il triplice possesso della ricchezza, del potere, delle persone. Tutte alternative costruite a partire da sé. Invece si sceglie di entrare nella Vita di comunione con Dio, lasciandosi prima amare da lui, lasciando che innesti la sua Vita in noi, come desidera lui, che ci fa dono di tutta la sua pienezza, che vuole con noi condividere in spessore e intensità, così da distenderla da questo presente al tempo che verrà.

Perciò non nomina il futuro, in prospettiva solo cronologica, ma in una una visione di vita totale. Vita e morte si offrono così alla nostra scelta: accettiamo questo dono dell’amore di Dio? accettiamo di essere amati e insieme di amare? Più ci si dà, più ci si riempie, ricordano i maestri. La resurrezione è l’identità del cristianesimo e seppure il sadduceo razionalista ci interpella, non riceverà prova oggettiva. Perché la resurrezione non provoca la fede (Ploux), ma vive del mistero. Come intuisce luminosamente Paolo: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?…quello che seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; seminato nella miseria, risorge nella gloria (1Cor 15,35-43).

Gesù, consapevole dell’approssimarsi della sua morte, non disserta qui su una teoria, ma propone un’esperienza vitale. Quella che è e sarà la sua. Credere nella resurrezione è fidarsi del Padre. Così alla fine propone un rimando risolutivo, l’antico brano del roveto, laddove Dio si presenta il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe (Es 3,6). Qui non offre esegesi del testo, ma lettura sapienziale, che aggiunge senso al testo e gli fa dire ciò che non vi è dichiarato. Poiché Dio si è impegnato con Abramo, con Isacco, con Giacobbe in un’amicizia aperta a un futuro, lui, che rimane fedele per sempre, li coinvolge e li contagia della sua eternità.

Chi è stato amato una volta da Dio, lo sarà per sempre, nella totalità del suo essere e di quella pienezza vivrà. E’ un assaggio di come Gesù leggeva le scritture: scrutandole con amore, nel silenzioso ascolto del palpito del cuore del Padre e dei fratelli. Il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe, il Dio mite che si è messo nelle nostre mani per farci suoi amici per sempre ci accompagna nella nostra realizzazione, non tradisce la sua promessa, che è progetto di condivisione di Vita. Non diventare padri, ma diventare figli è il percorso degli umani in ricerca, spogliamento per l’accoglienza di un dono che ci precede: spazio disteso per la contemplazione del Volto di Dio, immersi in una fraternità e ricchezza di affetti realizzate per sempre.


A cura di Raffaella per la Comunità Kairos.

Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay