Nella quinta Domenica di Pasqua, la liturgia ci presenta il passo del Vangelo in cui Gesù parla ai suoi discepoli con una similitudine tratta dalla vita agreste: Lui è la vite vera – afferma – e il Padre suo è l’agricoltore. Quindi aggiunge:
“Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del carmelitano, padre Bruno Secondin, docente di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
Ancora una immagine dalla campagna: la vite e i tralci. Immagine forse più familiare ancora di quella del pastore, proprio in questa stagione in cui profumano i fiori della vite. Anche questa similitudine è introdotta dalla espressione: “io sono”, dalle assonanze molto ricche. Non è una somiglianza posta all’esterno del nostro vivere: qui si tratta di un amore che sale dalla radice, segnale di terra e di sole, di pioggia e di vento, che fa screpolare la corteccia e poi fa maturare il grappolo pieno e dolce. Ma solo se il tralcio rimane ben connesso al tronco, se attende con pazienza questa linfa vitale, goccia d’amore dopo goccia, può crescere il grappolo. E perché non si disperda questa linfa in rivoli sterili, avviene la potatura; per concentrare lo sforzo, per una fecondità piena e non dispersa. Questo è lo stile delle relazioni fra noi e Gesù: una linfa vitale sale dalla sua vita santa, dalla sua misericordia, dalle sue radici, che sono fedeltà al Padre dell’alleanza. E riempie la nostra sete di amore e di vita, la nostra passione per la vita, il nostro bisogno di fecondità. E Lui fa in noi “molto frutto”, per suo dono. Ma bisogna restare ben uniti a Lui, per sentire i presagi del frutto succoso.
Fonte: RadioVaticana