È una buona notizia a far ripartire la nostra vita
Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 6 Dicembre 2020.
Due voci, a distanza di secoli, gridano le stesse parole, nell’arsura dello stesso deserto di Giuda. La voce gioiosa di Isaia: «Ecco, il tuo Dio viene! Ditelo al cuore di ogni creatura». La voce drammatica di Giovanni, il Giovanni delle acque e del sole rovente, mangiatore di insetti e di miele, ripete: «Ecco, viene uno, dopo di me, è il più forte e ci immergerà nel turbine santo di Dio!» (Mc 1,7).
Isaia, voce del cuore, dice: «Viene con potenza», e subito spiega: tiene sul petto gli agnelli più piccoli e conduce pian piano le pecore madri. Potenza possibile a ogni uomo e a ogni donna, che è la potenza della tenerezza. I due profeti usano lo stesso verbo, sempre al presente: «Dio viene».
Semplice, diretto, sicuro: viene. Come un seme che diventa albero, come la linea mattinale della luce, che sembra minoritaria ma è vincente, piccola breccia che ingoia la notte. Due frasi molto intense aprono e chiudono questo vangelo. La prima: Inizio del vangelo di Gesù Cristo, della sua buona notizia.
Ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami, ciò che fa ripartire la vita è sempre una buona notizia, una fessura di speranza. Inizio del vangelo che è Gesù Cristo. La bella notizia è una persona, il Vangelo è Gesù, un Dio che fiorisce sotto il nostro sole, venuto per far fiorire l’umano. E i suoi occhi che guariscono quando accarezzano, e la sua voce che atterra i demoni tanto è forte, e che incanta i bambini tanto è dolce, e che perdona.
E che disegna un altro mondo possibile. Un altro cuore possibile. Dio si propone come il Dio degli inizi: da là dove tutto sembra fermarsi, ripartire; quando il vento della vita «gira e rigira e torna sui suoi giri e nulla sembra nuovo sotto il sole» (Qo 1,3-9), è possibile aprire futuro, generare cose nuove. […]
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UN MESSAGGIO SUL NULLA
“Inizio del vangelo”, inizio della bella notizia che è Gesù.
E sembra quasi una annotazione pratica, un titolo esterno al racconto. Ma il vero sigillo del senso, è nel termine “vangelo” che significa bella, allegra, gioiosa notizia.
Perché, a partire da cosa, ricominciare a vivere e a progettare, se non da una notizia buona, da una notizia bella arrivata magari all’improvviso, oppure attesa a lungo?
Solo a partire dal bene si può intuire un futuro, e mai iniziando da amarezze, errori, dal male che assedia.
Ricominciare da una cattiva notizia è finta intelligenza, priva di una sapienza che sa di vangelo.
E se qualcosa di doloroso ci tormenta, buona notizia diventa il perdono, che lava via gli angoli bui annidati nel cuore. A noi il compito di spargere larghi sguardi di promessa, sguardi di vangelo!
Due voci parlano del venire di Dio. Isaia, voce del cuore: Viene il Signore con grande potenza, che è la sua tenerezza; tiene sul petto gli agnellini e conduce pian piano le pecore madri.
E’ la tenerezza di Dio, potenza immensa e assoluta.
E Giovanni, delle acque e del sole: Viene uno dopo di me ed è il più forte. Lui ci battezzerà, ci immergerà nel turbine santo di Dio!
Isaia e Giovanni, potremmo definirli “cercatori di profeti”.
Per Isaia, profeta è innanzitutto uno che apre strade anche sul nulla, che scova tracce di speranza là dove sembrava impossibile; uno che non si nasconde, né si lascia omologare dal pensiero dominante.
I profeti: creatori di strade, liberi come nessuno! Ascoltarli è diventare come loro.
Il loro secondo marchio è l’essere in attesa, insoddisfatti di ciò che hanno, cuore in tensione attratto dal richiamo di cose lontane.
In terzo luogo, profeta è colui che ri-orienta la vita: Giovanni predicava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, che sono il fallimento di chi non riesce a raggiungere la propria meta, ha perso la rotta ed è caduto.
Il perdono è Dio che scuote, che indica di nuovo l’obiettivo, che fa ripartire, carovana che si rimette in viaggio all’alba, vento per la nave che salpa.
Perdono è un nuovo inizio, un nuovo mare, un nuovo giorno.
I due profeti annunciano un Altro più grande, il loro centro è altrove: in un desiderio, un orizzonte, una persona. Usano lo stesso verbo, in un eterno presente: Dio viene.
Specialmente Giovanni non dice: verrà, un giorno. Oppure: sta per venire, tra poco, e già sarebbe cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro, dice: viene! Giorno per giorno, continuamente, adesso. Anche se non lo vedi, eccolo, in cammino sulla tua strada. Si fa vicino nel tempo e nello spazio, ci stupisce come la prima neve.
Perché ciò che fa ricominciare a sorridere, a inventare, a relazionarsi, è sempre un presagio di gioia, uno straccetto di profetica speranza, almeno intravista.