In riva al mare
Quel giorno Signore eravamo tutti insieme, di nuovo in riva al mare, dove Tu per la prima volta ci chiamasti, tornammo in Galilea per tornare alle origini di quel primo Amore.
Da tempo ormai avevo lasciato le mie reti, ma quel giorno la nostalgia di Te mi spinse a riprenderle in mano. Ad un tratto le «mie» reti erano diventate le «nostre». Gli altri salirono con me sulla barca, c’erano tutti i miei fratelli ma qualcosa ancora mancava, le reti vuote facevano eco al nostro fallimento. Ciò che mancava eri Tu. La notte spingeva indietro i nostri pensieri, verso la notte del nostro abbandono, la notte in cui tutti fuggimmo e io ti rinnegavo. Ti cercavamo ancora nel mare conosciuto della nostra miseria, ma Tu eri saldo sulla riva per dirci che oramai la notte era stata vinta.
Ancora una volta ho dovuto ammettere che non ti conoscevo… ma questa volta non era per paura delle conseguenze, non ti conosco veramente Signore. Faccio fatica a riconoscere che l’uomo che passa sulla riva della nostra esistenza sei Tu, dietro ogni «passante» ci sei Tu.
Avevamo gettato le reti sulla parola di uno sconosciuto e ora le nostre reti si riempivano. Solo gli occhi dell’amato potevano riconoscere il volto dell’Amore, solo gli occhi puliti di chi aveva visto quello stesso volto crocifisso.
Ed io Signore finalmente mi sono fidato di un altro. Dove il mio sguardo non bastava ho imparato a seguire una voce, quella del più piccolo, che gridava: «E’ il Signore». Così ho gettato la mia vita nel mare profondo della tua misericordia.
Quando toccammo la riva tutto era già pronto: il fuoco, il pane e il pesce… un pane che non avevamo impastato e un pesce che non avevamo pescato. E se quel fuoco rievocava in me le ombre del tradimento, il pane e il pesce portavano la mia memoria al giorno in cui con la nostra povertà, Tu sfamasti una folla intera.
Con la stessa forza con cui mi gettai in mare, trassi a riva quella rete piena.
Come un folle cominciai a contare uno ad uno i pesci pescati, centocinquantatrè, mentre li contavo mi accorgevo che ognuno era opera delle tue mani, non il frutto dei miei sforzi.
Dopo aver mangiato mi rivolgesti la parola, una sola domanda ripetuta tre volte, mi chiedevi amore ma io non ero ancora pronto, continuavo a sentire il canto di quel gallo.
Tu invece volevi spingermi più in profondità; tre erano le parole con cui ti rinnegavo, tre le parole che mi stavano mostrando la tua rinnovata fiducia in me.
Tu conoscevi la mia fatica nel dire «Ti amo» e mi chiedesti il «bene».
Mentre io ancora cieco piangevo per il mio peccato, Tu vivente mi guarivi con il tuo amore.
A me, pescatore di Galilea, affidavi il tuo gregge, Tu conoscevi tutto… il mio peccato e la mia fragilità, eppure mi affidavi quanto avevi di più prezioso, i tuoi figli. Da quel momento paradossalmente non ero più io alla guida della mia vita, ma un altro mi vestiva e mi portava. Essere condotto per seguirti. Ciò che credevo essere la conclusione di un faticoso cammino di sequela, divenne il principio di una nuova storia d’amore che ogni giorno ci rimette dietro di Te, per imparare da Te, per riconoscere che proprio nella nostra miseria Tu fai risplendere la tua misericordia.
Commento a cura delle Clarisse di S. Gata Feltrie