L’ultima volta che avevamo visto gli apostoli – nel Vangelo della II domenica di Pasqua – eravamo a Gerusalemme, nel cenacolo.
L’evangelista dopo aver raccontato il loro incontro con il Signore e il dono dello Spirito, aveva chiuso il suo Vangelo dicendoci: «Questi segni [scelti in realtà tra tanti] sono stati scritti perché crediate». E sembrava che quelle righe fossero di chiusura, quasi testamentarie… un’eredità praticamente.
Ma qualcosa continua, forse c’è ancora altro da puntualizzare. Forse la comunità a cui Giovanni scrive ha bisogno di un ulteriore passaggio. Forse quei segni raccontati non bastano ancora, non sono sufficienti per aiutare la fede incerta di chi, nel Dio incarnato, morto e risorto, non riesce ancora a credere.
Quest’ultima parte del Vangelo di Giovanni ci porta sul lago di Tiberiade. Luogo da cui tutto è iniziato. Luogo di chiamata e quindi di memoria. Luogo e tempo in cui ritornare in se stessi, guardare al vissuto, alle proprie fragilità, alle cadute… e scoprire al tempo stesso che proprio in quei momenti più difficili e quotidiani siamo stati scelti da Dio, chiamati alla salvezza, resi partecipi di progetti più grandi di noi.
Spero che nessuno di voi scelga la forma breve del Vangelo proposta in questa domenica. Spero che ognuno riesca a sfidare la lunghezza del brano per sentire rivolte a se stesso le stesse domande che Gesù ha rivolto a Pietro: «Mi ami? Mi vuoi bene?». Non c’è retorica in queste domande, ma pura chiamata. E non una chiamata tra le tante. Queste domande raccontate dall’evangelista ora scuotono il mondo. Hanno una potenza inaudita e rivoluzionaria. Gesù le rivolge all’uomo da cui è stato rinnegato, all’amico che, per paura, ha mentito.
Questo è Dio! Colui che non ci lascia. Colui che pur tradito non ci rinnega. Colui che continua a sceglierci, nonostante e nelle fragilità.
UNA PREGHIERA COME SOSTEGNO
Eccomi Signore!
Eccomi, Signore Gesù.
Eccomi davanti a te, carico di fragilità e di debolezza,
appesantito dallo scoraggiamento e dalla paura.
Donami il tuo amore,
fammi sentire la forza disarmante
della tua Parola, che ancora una volta mi dice:
«Getta la rete e troverai»;
ancora una volta sussurra al mio cuore:
«Mi ami? Io ti amo!».
Attirami a te, Signore, e solleva il mio carico,
lenisci le mie ferite, cura il mio dolore:
liberami!
Amen.