Commento al Vangelo di domenica 5 aprile 2015, Pasqua di Resurrezione – Paolo Curtaz

Domenica di Resurrezione

At 10,34.37-43/Col 3,1-4/Gv 20,1-9

Non è qui!

Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. È risorto, non è qui!

Il tono dell’angelo, nel vangelo di Marco che abbiamo letto questa notte, è perentorio, non ammette repliche. È risorto, inutile cercare di imbalsamarlo. È vivo, inutile cercarlo nei cimiteri.

Eppure, troppo spesso, la nostra fede è imbalsamata ed è la fede dei camposanti.

Come se venerassimo una buonanima. Come se la nostra fede avesse a che fare più col grato ricordo che con la bruciante attualità…

È risorto, amici.

È vivo e presente.

Non rianimato, non vivo nel nostro ricordo e nei nostri ideali, ma vivo e presente per sempre, qui e ora. Tutta la nostra, fede, duemila anni di cristianesimo, le scelte di milioni di persone di fondano su quelle parole tramandate fino a noi, oggi.

Smettiamola di cercare un crocefisso. Smettiamola di onorare un cadavere.

È vivo.

[ads2] Perplessità

In questa domenica leggiamo il racconto di Giovanni, la corsa al sepolcro di Pietro e Giovanni.

Mi piace, quest’anno, tornare a meditare l’inquietante vangelo di ieri sera. Nella versione completa, però, non in quella leggermente “purgata” dalla liturgia.

Sì perché, se lo andate a riprendere, vedrete che dopo l’annuncio dell’angelo Marco non ha paura di scrivere un finale sconcertante.

Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite (Mc 16,8).

Il vangelo di Marco si conclude con un silenzio. Una fuga comprensibile davanti ad un evento di tale portata. Evidentemente, però, quel “non dire niente a nessuno” è cambiato, altrimenti non saremmo qui, oggi, a celebrare il risorto.

Perché Marco tronca in questo modo così poco edificante il suo racconto?

Indaghiamo.

Strazio

Domenica scorsa, nella lettura della Passione di Marco, sulla scena descritta dall’evangelista erano rimaste solo le donne. I discepoli (maschi!) erano fuggiti, terrorizzati. Il popolo che una volta acclamava il Signore si era stancato di lui. I sommi sacerdoti desideravano solo eliminarlo.

Nella tenebra fitta e nello sconforto, il lettore si era illuso che quel gruppuscolo di donne fosse la speranza che non tutto fosse perduto.

Oggi, invece, anche le donne fuggono. L’ultima speranza crolla.

Marco, discepolo di Pietro, è molto chiaro e brutale: siamo tutti fragili, nessuno può essere certo della propria fede e del proprio cammino.

E non lo dice per spaventarci o da persona rassegnata. Lo dice perché lo ha sperimentato.

Che, dunque? Dobbiamo arrenderci all’evidenza che è impossibile restare fedeli al Signore?

No, qualcuno resta sulla scena.

Indovinate chi.

Un giovane

Non un angelo, ma un giovane annuncia la resurrezione.

È lo stesso giovane, non un angelo!, che già abbiamo trovato in 14,51-52, il giovinetto presente al Getsemani e che fugge, spaventato, nudo, lasciando il lenzuolo bianco, lo stesso lenzuolo che troviamo ora.

È seduto alla destra (testimonia il Messia!), veste l’abito bianco. Ma questa volta non fugge come nel Getsemani.

È il catecumeno, colui che si preparava a ricevere il battesimo, che ha ascoltato per intero il racconto di Marco. E che, inorridito, ha ascoltato il fallimento di Gesù. Ora è lui a diventare il testimone della resurrezione.

La nudità necessaria che sperimentiamo davanti al nostro limite ci rende liberi di poter testimoniare il risorto.

Sono io, quel giovane.

Sei tu, amico lettore.

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E proclamo:

Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. È risorto, non è qui!

Lo dico a chi incontro. lo dico mettendo la mia vita  e la mia conoscenza a servizio del Vangelo. Lo dico scrivendo libri, seguendo il Web, facendo conferenze. Lo dico a me stesso, ogni giorno

Sono io il testimone seduto accanto al sepolcro.

Sei tu.

Buon Pasqua. Buon annuncio.

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