Commento al Vangelo di domenica 4 Luglio 2021 – p. Alessandro Cortesi op

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p. Alessandro Cortesi op

Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.

Nella pagina di Ezechiele è tratteggiato il profilo del profeta. “uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava”. La vita del profeta è spinta dalla presenza dello spirito del Signore che lo rende uomo dell’ascolto e della testimonianza. Il profeta è quindi in primo luogo l’uomo della Parola, chiamato a stare in ascolto e a ridire con la sua vita la parola ascoltata davanti (pro-) agli altri.

La vicenda del profeta è poi segnata da un invio: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele”. Se la forza di Dio è irresistibile, la missione tuttavia è segnata da difficoltà e ostacoli, soprattutto il rifiuto e l’ostilità che il profeta incontra nel suo annuncio. Il profeta infatti reca una parola esigente di orientamento nella fede a Dio e si scontra con tute le forme di riduzione della fede ad una costruzione umana e religiosa preoccupata del potere e dei privilegi, generatrice di ingiustizia, insensibile al cambiamento. Ezechiele si scontra così con il cuore indurito: in questa espressione è indicato l’atteggiamento della chiusura e del rifiuto a mettersi in discussione, la pretesa di autosufficienza che rimane chiusa in una vita autocentrata. Nella storia d’Israele emerge questo dato evidente, la tensione che si crea tra i profeti e le istituzioni, regale e sacerdotale, nelle differenti forme di potere costituito. Alla vicenda dei profeti si contrappone l’atteggiamento che viene descritto come incredulità e durezza di cuore.

Gesù si presentò ai suoi contemporanei come profeta. nell’incontro con lui sorge una domanda: “si chiedevano a vicenda: ‘che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità?’ (Mc 1,27) e più ancora sorge la sorpresa perché questa autorevolezza e libertà sia di uno del paese di Nazaret: “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo” (Mc 6,3). Gesù è partecipe pienamente della vita e delle relazioni che fanno la vita umana: i suoi genitori sono parte di quel mondo di Nazaret che l’ha visto crescere, lavorare condividere la vita con gli altri. I suoi fratelli e le sorelle sono la sua famiglia. Gesù è inserito nel tessuto di relazioni come ogni famiglia umana.

Gesù incontra il rifiuto ad accogliere nelle sue parole e nei suoi gesti l’invito a cambiare vita ad orientarsi al Dio delle promesse; si scontra con il cuore indurito, l’incredulità di fondo, la non disponibilità a cambiare, e condivide così l’esperienza dolorosa dei profeti rifiutati perché il loro parlare mette in crisi: “disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità”. (Mc 6,5-6)

Al termine di una sezione del suo vangelo in cui Gesù è stato presentato nel suo insegnare e nel compiere segni di liberazione (Mc 3,7-6,6), Marco indica l’approfondirsi di un rifiuto che coinvolge anche i compaesani di Gesù e si allarga progressivamente. E’ un rifiuto generato dall’incredulità, dalla chiusura del cuore. E’ preferire la religiosità del miracolo e dell’interesse all’affidamento nel cambiare vita nel senso della fraternità e del servizio.

Ma Gesù non si lascia vincere da questa chiusura. Marco osserva che “Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando”. E’ venuto per andare oltre, oltre le frontiere che dividono le persone tra giusti e ingiusti, oltre i confini dell’esclusione, oltre anche le barriere del rifiuto. Gesù percorreva i villaggi, il suo camminare passa attraverso i percorsi della vita ordinaria sempre al di là di ogni chiusura.

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