Commento al Vangelo di domenica 31 Ottobre 2021 – Comunità di Pulsano

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DOMENICA «DEI DUE MASSIMI PRECETTI»

Come orientarsi nell’intrico di proibizioni e di comandamenti della Legge? La domanda che lo scriba rivolge a Gesù è sincera. La risposta che gli viene data è doppiamente originale. Dalla confessione di fede che ogni giudeo devoto recita due volte al giorno, Gesù riprende in primo luogo il comandamento dell’amore di Dio, sottolineandone così tutta l’importanza. Se Dio è l’unico Signore, e nessuno è pari a lui, di modo che nulla ha valore se non in rapporto a lui, il precetto di amarlo sopra ogni cosa va indubbiamente collocato al primo posto. Ma Gesù richiama l’attenzione dello scriba anche su un altro comandamento. Sebbene al secondo posto, l’amore del prossimo, per Gesù, è inseparabile dall’amore di Dio. Infatti è l’amore per gli altri che rende l’uomo simile a Dio e lo fa partecipare alla vita divina: non è forse questa la meta a cui deve condurre la Legge?

C’è un segno inequivocabile che contraddistingue chi, non è lontano dal regno di Dio; la capacità di amare. Non la pratica religiosa, non la fedeltà dell’osservanza, ma i gesti concreti che esprimono l’amore, nelle sue dimensioni inseparabili: amore di Dio e amore del prossimo. Non c’è altro comandamento più grande di questi. Basta cancellarli perché tutto l’edificio morale crolli.

La risposta di Gesù è sufficiente a chiudere la bocca ai farisei di tutti i tempi, che ignorano troppo spesso lo spirito della legge a vantaggio della lettera. E deve far riflettere molte istituzioni che si preoccupano talmente dell’ordine e della virtù da non lasciar più spazio alla gratuità dell’amore. Alla luce di queste parole, non è difficile orientarsi nei doveri verso Dio e verso gli uomini. «Se devi recarti alla preghiera e tuo fratello ha bisogno di una tisana, preparagli prima la tisana…» (Ruysbroeck[1]).

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 37,22-23

Non abbandonarmi, Signore mio Dio,

da me non star lontano;

vieni presto in mio aiuto,

Signore, mia salvezza.

Nelle tre suppliche dell’antifona d’ingresso si addensa la tensione del fedele orante per la “Presenza” del Signore. La prima, in senso negativo, chiede che il Signore non lo abbandoni mai, neppure per un istante, e la seconda che mai si allontani da lui, neppure per poco (v. 22). Al contrario, la terza epiclesi chiede al Signore che si affretti a venire in aiuto del suo fedele; che questi senta la sua Presenza, l’unica Forza che lo porta alla salvezza (v. 23). La scelta dei versetti qui è qui certamente indicativa della situazione verso cui stiamo camminando, la parte ormai terminale dell’Anno liturgico: l’attesa della Venuta finale, che sarà il tema dell’ultima Domenica. L’orante che ora è il fedele che celebra il suo Signore, deve fare sua questa supplica.

Canto all’Evangelo Gv 14,23

Alleluia, alleluia.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,

e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.

Alleluia.

L’amore per il Signore Gesù Cristo, porta i discepoli ad osservare i suoi precetti, ed apre la via all’amore del padre e alla venuta del Padre e del Figlio ai discepoli per porre la loro dimora fedele nella loro esistenza.

Cristo Signore ha compiuto il suo “itinerario” battesimale, il suo “esodo” che lo porta a Gerusalemme, con l’ingresso regale solenne e acclamato dalle folle (Mc 11,1-11). Giunto a Gerusalemme, il Signore termina il suo ministero pubblico di Maestro divino (Mc 11,20 – 12,40. Poi parlerà solo ai discepoli raccolti e trepidanti, fino alla Cena (Mc 13,1 – 14,31). L’epilogo grandioso, «la Passione», nella quale si suole considerare anche la Cena, occupa in Marco uno spazio esteso (Mc 14,1 – 15,47), che ha fatto dire ad alcuni acuti esegeti moderni che rispetto agli altri 3 Evangeli la narrazione marciana è un corpo esiguo, con una grande testa.

Il Lezionario della divina Parola Domenica per Domenica offre di constatare lungo questo Tempo, privilegiato tra tutti gli altri dell’Anno liturgico, attraverso la proclamazione continua dell’Evangelo, quell’“esodo”, come quello antico cominciato dal passaggio delle acque della morte al Mar rosso (Es 14,15-31), comincia con il Battesimo nel Giordano, quando il Padre con lo Spirito Santo consacra il Figlio come Profeta per l’annuncio dell’Evangelo, come Re per compiere le opere della Carità del Regno, come Sacerdote per riportare tutti al culto al Padre suo, e come Sposo per acquistarsi la Sposa d’Amore e di Sangue. Così, e solo così la Chiesa celebra Cristo, il suo Signore Risorto, mentre Lo contempla di necessità in uno degli episodi della sua Vita tra gli uomini, quando insegna, o opera, o prega.

Uno scriba interroga Gesù per sapere qual è il primo di tutti i comandamenti; una domanda di sempre e di tutti e quindi anche nostra: in sintesi, che cosa, quale comandamento bisogna soprattutto osservare?

Sarà opportuno, prima di rispondere, collocare la pagina dell’Evangelo di oggi nel contesto del racconto di Marco. Gesù è ormai giunto a Gerusalemme e ha fatto il suo ingresso messianico cavalcando un asinello (11,7). Ma, prima che inizino i giorni della passione, Gesù viene a trovarsi al centro di polemiche e controversie, fino al punto che «cercarono di catturarlo» (12,12). Siamo nel cosiddetto «capitolo delle dispute». La terza giornata della permanenza di Gesù a Gerusalemme, nell’imminenza della Passione, è caratterizzata, secondo la particolare impostazione di Marco, da una serie di controversie, sul tipo di quelle che hanno opposto Gesù e i suoi avversari fin dall’inizio del suo ministero in Galilea (Cfr. 2,1-3,6), e che avevano lasciato intravedere un contrasto irriducibile (Cfr. 3,6). Si tratta di cinque dispute teologiche, che hanno come interlocutori gli esponenti delle classi dirigenti del giudaismo. È difficile, e anche poco verosimile, ammettere che le dispute si siano effettivamente svolte nell’arco di quel giorno; Marco, comunque, le ha radunate in questo punto, soprattutto per sottolineare l’aspetto drammatico dell’opposizione, che sfocerà nella catastrofe che è ormai nell’aria. Le dispute sono articolate così:

  1. Questione posta dai capi dei sacerdoti, scribi e anziani circa l’autorità di Gesù (11,27-33). Dopo averli messi in imbarazzo con una risposta che è una contro-domanda, Gesù li inchioda alle loro responsabilità con la parabola dei vignaioli (12,1-12): proprio loro sono i cattivi custodi della vigna.
  2. Ecco venire avanti una strana accoppiata – farisei ed erodiani – per tastare il terreno e sentire come la pensa il Maestro a riguardo del potere di occupazione romano (12,13-17). Si vorrebbe così farlo «saltare» su un tema quanto mai delicato com’è quello politico.
  3. Ecco entrare in scena i sadducei che gli sottopongono il problema della resurrezione (12,18-27).
  4. Domanda di uno scriba sul primo comandamento. Ed è appunto la pagina proposta dalla liturgia di oggi (12,28-34).
  5. Gesù a sua volta prende di petto gli scribi sull’argomento del Messia, quindi sferra un attacco violento contro questi interpreti della Legge (12,35-40).

Al termine dei cinque dibattiti, una scenetta riposante: una povera vedova che fa l’offerta di due spiccioli (12,41-44; è l’Evangelo che esamineremo Domenica prossima). Una sottolineatura stridente del contrasto tra l’atteggiamento sterile di chi è invischiato nelle diatribe e nelle complicazioni intellettualistiche e legalistiche, e la generosità concreta di chi è mosso da una fede semplice e trasparente. Attraverso questi quadri, si può constatare come si stia allargando il fossato che separa Gesù dai gruppi più influenti del giudaismo.

Per i credenti si viene disegnando così una linea di condotta fatta di amore, autenticità, povertà, generosità. Benché collocato nel gruppo delle dispute, il presente brano ha più l’andamento di un dialogo tra maestro e discepolo, come dovevano essercene tanti all’epoca evangelica. Lo stesso non si può dire degli altri sinottici che riportano lo stesso episodio con un evidente intento provocatorio (Cfr. Mt 22,34-40; Lc 10,25-28).

In Marco lo scriba non è cavilloso e polemico, ma onesto e sereno, che vuole tirarsi fuori da un groviglio di prescrizioni e decreti, una vera selva soffocante di leggi, al fine di orientare il suo cammino religioso nella giusta direzione della Legge. Nel racconto di Marco tutto si risolve pacificamente con scambio di lodi reciproche.

I lettura: Dt 6,2-6

A questo straordinario testo si è già accennato diverse volte, in specie a proposito dell’Apostolo della Domenica XXIV, e più a lungo l’Evangelo della Domenica XXVII. Lì si era detto che al tempo di Gesù ormai da secoli si era imposta la pia pratica dell’Ebreo fedele, che tra altre preghiere recitava 3 volte al giorno quella preghiera, lo Šemaʻ, ossia i 3 testi di:

  1. Dt 6,4-9, sulla fede e l’amore verso il Signore Unico, comandamento, questo, principio e fonte di tutti gli altri da tenere presente nella mente e nel cuore, anche con mezzi memoriali, per studiarli e impararli e insegnarli, e da scriversi in testi da reggere in mano e sulla fronte, e da fissare sugli stipiti delle porte;
  2. Dt 11,13-21, sulla promessa di prosperità divina, e sulla risposta di fedeltà nell’osservare i comandamenti;

III.   Num 15,37-41, sulle nappe che l’Ebreo fedele deve portare sui vestiti come memoriale e incentivo per praticare i comandamenti. A questa pratica assidua, che dura attraverso i millenni ancora oggi, si deve in gran parte che l’Israele di Dio, credente, sofferente e orante, abbia mantenuto intatta la fede nel Signore Unico, e quindi si deve l’adesione irremovibile degli Ebrei alla divina alleanza infinitamente fedele. Poiché, come spiega Paolo: «secondo l’elezione essi sono diletti (agapètói, di Dio) a motivo dei Padri, poiché i doni e la vocazione di Dio non hanno pentimento» (Rom 11, 28-29).

L’inizio della lettura di oggi è un testo accomodatizio, ossia una piccola striscia di raccordo sovrapposta da fuori al testo sacro: «Parlò Mose al popolo, dicendo»; così però si è eliminato dalla lettura il v. 1, che era invece opportuno, e del quale va tenuto comunque conto. Il contenuto è «temere il Signore Dio», il Signore dell’alleanza. Si è detto più volte che «temere il Signore» indica la volontà devota di adempiere in tutto la Volontà sovrana del Signore, a partire dai suoi comandamenti, e tra questi a cominciare da quelli che riguardano il culto da tributare a Lui (ripetuto sempre: Dt 5,29; 10,12.20; 13,4; Sal 127,1; Sir 12,13). Il timore è anche 1’«inizio della sapienza» (Dt 4,6; Sal 110,10; Giob 28.28; Pr 1,7; 9,10; Sir 25,16). Di fatto il testo esplicita: custodire, ossia osservare comandamenti e precetti divini, che sono oggi ordinati agli Israeliti presenti, e per la legge della «personalità corporativa» anche a tutti i loro discendenti per l’intera durata della loro esistenza. Così si prolungheranno i loro giorni davanti al Signore (v. 2; 4,40; Sal 20,5; 90,16).

Viene il primo imperativo, «Ascolta, Israele!», che significa obbedire mettendo in atto. Il richiamo è di nuovo a praticare quanto il Signore propone, così da avere il bene, e l’accrescimento del popolo, come già sta contenuto nella divina promessa ai Padri (ad Abramo, Gen 15,5; 22,17; a Isacco, 26,4; a Giacobbe, 28,14), che prevede il dono della terra beata (v. 3).

I vv. 4-5 sulla fede nel Signore Unico e sull’amore a Lui dovuto, saranno commentati a proposito dell’Evangelo.

Il v. 6 ordina che queste parole prescritte oggi restino sempre nel cuore dei fedeli (Dt 11,18; 32,46; Sal 36,31; Pr 3,3; 7,3; Is 51,7; Ger 31,31-34, per la nuova alleanza).

Esaminiamo il brano

28 – «uno degli scribi»: Nelle due controversie precedenti gli interlocutori di Gesù erano i farisei e gli erodiani (12,13) e i sadducei (12,18). Per gli scribi quali alleati dei capi dei sacerdoti e degli anziani si veda 11,27. Ma questo particolare scriba è ben disposto verso Gesù (12,29), si dice d’accordo con lui (12,32-33) ed è lodato da Gesù (12,34).

«gli domandò»: Lo scriba interroga Gesù perché ha seguito le precedenti controversie e le capziose domande che gli sono state fatte, e ha visto «come aveva ben risposto». Ha fiducia nella competenza di Gesù; e Gesù accetta di essere interrogato.

Un aneddoto rabbinico che riguarda Shammai e Hillel, due maestri giudei grossomodo contemporanei di Gesù, serve ad illustrare il contesto della domanda posta a Gesù in Mc 12,28-34. Secondo il Talmud babilonese (b. Shabbat 31a), un pagano si avvicina a Shammai e gli dice: «Fa’ di me un proselita a condizione che mi insegni tutta la Torah mentre sto ritto su un solo piede». E Shammai lo scaccia minacciandolo con il bastone che tiene in mano. Quando invece il pagano si avvicina a Hillel e gli fa la stessa richiesta, Hillel gli dà la sua risposta: «Ciò che è odioso per te, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah; tutto il resto è commentario; va’ e mettilo in pratica». La risposta di Hillel (a volte chiamata la «Regola d’argento») è evidentemente una versione della «Regola d’oro» che in Mt 7,12 e Lc 6,31 (vedi anche Tb 4,15) è attribuita a Gesù.

«il primo di tutti i comandamenti»: La questione posta dallo scriba circa il comandamento più importante era della massima attualità per l’ambiente giudaico contemporaneo a Gesù. Ogni buon giudeo era seriamente preoccupato di fare la volontà di Dio espressa nella Legge o Torah (i primi cinque libri della Bibbia).

Per poter applicare la legge di Dio alle singole e minute circostanze della vita e impedirne la trasgressione, erano stati elencati dagli esperti molti precetti o comandamenti, grandi e piccoli, positivi e negativi. Quando più tardi si fece il conto risultarono ben 613 comandamenti, di cui 365 erano divieti (quanti i giorni dell’anno) e 248 precetti positivi (quante si credeva fossero le membra del corpo).

Si distingueva inoltre tra precetti gravi e leggeri, grandi e piccoli, difficili e facili che complicavano le cose e offrivano ai maestri la delizia di interminabili discussioni, per stabilire quale fosse il comandamento più grande.

Secondo i grandi maestri della tradizione ebraica l’amore del prossimo è il principio generale che riassume tutta la legge. Così Rabbi Hillél, vissuto alcuni decenni prima dell’attività di Gesù (circa il 20 d.C.) affermava: «Non fare al prossimo tuo ciò che non vuoi sia fatto a te; questo è tutta la legge. Il resto è solo spiegazione». Lo stesso pensiero sarà ripreso da Rabbi Aqiba, il martire per la fede al tempo della seconda rivolta (135 circa) : «Tu devi amare il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18); questo è un grande e generale principio della legge».

La novità dell’Evangelo dunque non consiste nel proporre l’amore come comandamento principale.

29-31 «Ascolta…»: Le parole citate come primo comandamento si trovano in Dt 6,4-5 (I lett) e costituivano l’inizio della preghiera che ogni giudeo adulto doveva ripetere tre volte al giorno, preghiera detta Šemaʻ dalla prima parola di essa che significa appunto «Ascolta».

La preghiera è composta da tre testi biblici:

  1. Dt 6,4-9 (la fede nell’unico Dio e il precetto di amarlo);
  2. Dt 11,13-21 (il principio della retribuzione);
  3. Nm 15,37-41 (l’ordine di portare i fiocchi al mantello per ricordarsi di osservare tutti i precetti del Signore).

Il testo in un rotolino di pergamena dentro astucci metallici più o meno preziosi, sta sugli stipiti delle porte (mezuzah = stipite), per indicare che chi entra in casa sta sotto la protezione dell’amore di Dio. L’usanza si basa sull’ammonimento biblico di Deuteronomio 6,9 e 11,20: «Le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte». È notorio che la spiritualità biblica è per eccellenza legata all’ascolto, essendo la parola il mezzo di comunicazione della Rivelazione: «Chi è da Dio ascolta le parole di Dio; se voi non ascoltate è perché non siete da Dio… Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio e la custodiscono» (Gv 8,47; Lc 11,28).

Si potrebbero moltiplicare citazioni di questo genere in cui il verbo “ascoltare” va ben oltre il puro e semplice “sentire” fisico per indicare invece adesione, accoglienza amorosa, impegno. Un studioso della Bibbia ha scritto: «L‘ascolto della Parola di Dio dice anche impegno morale a convertirsi, a realizzare la nostra vita secondo i comandamenti della Parola di Dio. Non è soltanto prestare attenzione per ottenere una conoscenza ma è soprattutto aprire il cuore all’obbedienza». È significativo notare che in ebraico il verbo “obbedire” è espresso col termine “ascoltare”. È per questo che nel libro dell’Esodo si dice che allo schiavo viene forato l’orecchio (21,6), proprio per ricordare l’obbligo dell’ascolto-obbedienza al suo signore.

Nel Salmo 40 l’orante per affermare la totale consacrazione a Dio afferma che egli non offrirà sacrifici esteriori ma l’intera esistenza perché il Signore gli ha «scavato» l’orecchio, cioè l’ha fatto suo per sempre: «Sacrifici e offerta tu non gradisci, gli orecchi mi hai aperto (letteralmente “mi hai scavato“)» (v. 7). Il vero ascolto è, quindi, l’amore. La preghiera, prima di tutto, è ascolto; ascolto da parte dell’uomo, beninteso.

«Il Signore nostro Dio è l’unico Signore»: Non senza ragione, al contrario dei testi paralleli di Matteo e Luca, Marco premette tale dichiarazione, perché è proprio dal fatto che Dio è l’unico signore del mondo, che deriva per Israele il dovere di amarlo con totale dedizione, essendo stato da lui scelto fra tutti i popoli della terra.

«tutto»: non come quantità numerica ma come integrità, totalità di una cosa che perciò è considerata indivisibile.

«cuore»: per i semiti era sede dell’intelligenza più che dei sentimenti.

«anima»: termine greco più che ebraico, include prevalentemente la parte intellettuale dell’uomo,

«mente»: intelligenza, facoltà di riflettere, di ragionare. Non si trova in Dt 6,4-5.

«forza»: complesso delle forze che muovono l’uomo, cioè la facoltà affettiva, la volontà.

31 – «il secondo»: non nel senso aritmetico o per semplice elenco, ma per natura sua. Il primo precede il secondo d’una precedenza teologica che è fondativa del secondo poiché «chi ama Dio, ami anche il fratello» (1 Gv 4,21).

Il secondo comandamento a sua volta precede d’una precedenza cronologica o esistenziale il primo, poiché sta scritto: «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20),

Giustamente Marco scrive «Non c‘è altro comandamento più importante di questi»; due aspetti di un medesimo amore, perno e sintesi di tutta la pratica religiosa (Cfr. Rm 13,8-10; Gal 5,14; Gc 2,8; ecc.). Luca ha fuso insieme le due citazioni, mentre Matteo dice che il secondo «è simile a questo».

«amerai il prossimo»: L’importanza dell’amore del prossimo non era una novità, era infatti riconosciuta comunemente da tutti, almeno in teoria (Cfr. R. Hillél).

Anche la tensione universalistica era già avviata nell’A.T. e nel giudaismo; già nel contesto del Levitico al “prossimo” connazionale era equiparato anche l’immigrato o straniero residente (Cfr. Lv 19,33-34).

32 L’unità dei due comandamenti viene rimarcata esplicitamente dal commento che lo scriba fa della risposta di Gesù. Alcuni esegeti hanno pensato che l’intima connessione stabilita tra il comando dell’amore di Dio e quello del prossimo non dovesse essere una novità per lo scriba che infatti approva e, anzi, dichiara che vale «più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Lo scrittore giudeo-ellenista Filone di Alessandria scriveva: «Delle innumerevoli dottrine e massime particolari due sono principali: l’una riguarda Dio che bisogna onorare con la pietà e la santità; l’altra riguarda gli uomini che bisogna trattare con bontà e giustizia» (Spec. Leg. 11,63).

Nei Testamenti dei XII Patriarchi (II sec. a.C.) l’amore a Dio al prossimo sono strettamente uniti come nella tradizione evangelica; «Amate il Signore durante la vostra vita e reciprocamente con cuore sincero» (Test Dan. 5,3).

«vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici»: lo scriba riprende una citazione del 1 Sam 15,22, dove si esalta la fedeltà e l’obbedienza al di sopra degli atti di culto. È un dato costante nella tradizione profetica e sapienziale l’identificazione della pratica della giustizia e della fedeltà al prossimo con il culto genuino e gradito a Dio (Cfr. Os 6,6; Is 1,11-17; Am 5,22-24; Pr 21,3; Sir 35,2).

34 – «Non sei lontano dal regno di Dio»: è la novità evangelica, il lieto annunzio che ha il suo corrispondente nelle sentenze con cui Gesù saluta il tempo nuovo, la nuova situazione inaugurata dalla sua presenza e azione personale: il regno di Dio è vicino (Mc 1,15). Lo scriba non ha trovato solo una conferma autorevole delle intuizioni morali alle quali la sua formazione scolastica e religiosa lo avevano già preparato, ma ha fatto l’esperienza della vicinanza di Dio.

Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo non è più solo una sintesi morale ma è la nuova possibilità offerta all’uomo qui e ora nell’incontro con colui che rende visìbile e accessibile l’amore di Dio.

II Colletta:

O Dio, tu sei l’unico Signore

e non c’è altro Dio all’infuori di te;

donaci la grazia dell’ascolto,

perché i cuori, i sensi e le menti

si aprano alla sola parola che salva,

il Vangelo del tuo Figlio,

nostro sommo ed eterno sacerdote.

Egli è Dio, e vive e regna con te …

[1]Jan van Ruusbroec, o Ruysbroeck, talvolta italianizzato in Giovanni Rusbrochio e detto dottore Ammirabile (Ruisbroek, 1293Groenendael, 2 dicembre 1381) fu un autore fiammingo di opere di mistica e spiritualità, fondatore del monastero e della congregazione dei canonici regolari di Groenendael (Valverde). Nel 1908 papa Pio X ha riconosciuto il culto tradizionalmente tributatogli e gli ha attribuito il titolo di beato.