“Quest’uomo è amico dei peccatori e mangia con loro” Ecco l’accusa che fanno a Gesù: un profanatore del sacro. Si mescola con l’impuro. Nel Vangelo di Luca “E’ un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei peccatori”. Si, Gesù si è fatto amico dei peccatori. Gesù amico degli uomini. Essere amico di qualcuno è amarlo.
E’ amare in Lui ciò che ha di unico, desiderare che l’altro sia ciò che egli è, che vada verso ciò a cui è chiamato. Un amico è qualcuno che si interessa all’avvenire del suo amico. L’amico comprende subito che l’altro non è un essere fatto, realizzato, ma un essere in divenire. Essere amico di qualcuno è amare in lui ciò che deve ancora divenire. L’amicizia di Gesù per i peccatori è un legame che riposa sulla fiducia e la speranza e che suscita la confidenza. Gesù ama in loro ciò che è ancora possibile in maniera che possa realizzare ciò che è possibile.
Non guarda gli uomini in ciò che hanno fatto di bene o di male, ma in ciò che essi sono o che possono essere o ciò che possono divenire. Colpevolezza e giustificazione. “Padre, dammi la mia parte di eredità”. Dammi la mia parte! Ma questo è il modo per uccidere il padre prima dell’ora della sua morte, perché domandi l’eredità sul campo! Il dramma del peccato in tante vite umane non è tutto in queste parole “Dammi la mia parte!”. Quando reclamiamo la nostra parte per noi soli non è l’ora dei conflitti, gli abbandoni, gli isolamenti? Il figlio va lontano ma si trova ben presto nelle difficoltà, nell’isolamento: non ha più niente e allora decide di ritornare a casa e ritrovando suo padre che lo accoglie a braccia aperte gli dice: “Io non son degno di essere chiamato tuo figlio, trattami come uno dei tuoi servitori”. Ma il padre non vede le cose così.
E’lì per festeggiare suo figlio, i baci, l’anello al dito, il sandali ai piedi, il vitello grasso, la musica. Il figlio maggiore che era a lavorare nei campi si rifiuta di entrare e il padre lo supplica di entrare nella sala della festa: “Tu, mio figlio sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è tuo è mio, ma bisogna far festa perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Il figlio giovane rappresenta il pubblicano e il peccatore e il maggiore il fariseo e lo scriba che recrimina e rimprovera. Tutti e due sono nella logica dell’avere e del fare: “Dammi” , “Tu non mi hai dato”; “ecco ciò che ha fatto”, Non sono più nel rapporto filiale ma di servitù.
E’ un rapporto al padre segnato dalla giustificazione (il figlio maggiore) e dalla colpevolizzazione (il figio minore). La logica del Padre è diversa, è la logica del Vangelo: cessare di colpevolizzarsi o di colpevolizzare gli altri, cessare di giustificarsi o di giustificare gli altri prendendosi nella logica della fede le proprie responsabilità di figli di Dio chiamati ad una giusta libertà. La logica del Padre non è dell’ordine del fare o dell’avere ma dell’essere vivo o morto, essere “con” o essere “separato”. Tempo di figli. Il Padre vuol essere con l’uno e con l’altro, con i farisei e i peccatori. Questa meravigliosa parabola è per i peccatori e per i giusti, Dice davvero la storia della salvezza perché apre un avvenire per ciascuno.
Offre la grazia di una possibile conversione. Siamo chiamati a calmarci perché siamo passati dalla morte alla vita.Usciti da una relazione con Dio e con gli altri segnata dal marchio del male: il potere, il servizio, il salario, il calcolo, la gelosia, la retribuzione e la paura per entrare in una relazione di figli di famiglia, liberi, in una comunione feconda con il padre e con i fratelli, responsabili di questi legami di comunione col padre e con gli stessi fratelli. Se ci ritroviamo nella storia della salvezza dei due figli, pubblicani e peccatori è più facile restare in quella situazione che passare a quella di figli e fratelli. E’ il passaggio da operare è la scommessa di questa quaresima con la grazia di Dio.
Fonte – il sito di mons. Giuseppe Mani