DOMENICA DI PENTECOSTE, A
In questa solennità di Pentecoste, la prima lettura (Atti) e l’Evangelo di Giovanni, pur narrando lo stesso evento con procedimenti letterari e prospettiva teologica diversi, presentano la nuova realtà della Chiesa, frutto della risurrezione e del dono dello Spirito. La novità della Pentecoste cristiana è proprio nell’Alleanza nuova e definitiva fondata non più su una legge scritta su tavole di pietra (cf la Pentecoste del Sinai in Es 19,3-20; 31,18), ma sull’azione dello Spirito di Dio. A Gerusalemme, gli apostoli sono «tutti insieme nel medesimo luogo» (At 2,1); nella casa in cui sono riuniti si manifestano gli stessi fenomeni del Sinai (vv. 2-3); Dio dà lo Spirito della nuova Alleanza (v. 4). Si comprende come «senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo, e l’agire morale un agire da schiavi. Ma nello Spirito Santo il cosmo è nobilitato per la generazione del Regno, il Cristo risorto si fa presente, il vangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato» (Atenagora I, arcivescovo ortodosso greco, patriarca ecumenico di Costantinopoli dal 1948 al 1972).
Come gli apostoli, i martiri e tutti i cristiani che hanno ascoltato fino in fondo la voce dello Spirito di Cristo diventano testimoni di ciò che hanno visto, di ciò che è stato trasmesso e che hanno verificato nella loro esistenza, ogni comunità è chiamata sempre a collaborare con lo Spirito per rinnovare il mondo attraverso l’annuncio e la testimonianza della salvezza, nell’attività quotidiana come nelle vocazioni straordinarie. Per questo la Chiesa si struttura e prende forma attraverso doni, compiti, servizi che hanno tutti l’unica sorgente nello Spirito dei Padre e del Figlio. Tutto poi è fatto convergere dal medesimo Spirito all’«utilità comune» (cf seconda lettura: 1 Cor 12). In tal modo la pienezza e la ricca vitalità dello Spirito si manifesta attraverso una Chiesa aperta a tutti per testimoniare nelle «opere» dei credenti la presenza di Dio nel mondo (cf Gal 5,22-23: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; 23contro queste cose non c’è Legge»).
Tutta la vita dei cristiani si svolge sotto il segno dello Spirito. Ciascuno infatti «vive sotto l’influsso dello Spirito del suo Battesimo e della sua Confermazione; è sempre lo Spirito che conferma la nostra fede e la nostra unità ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia, e l’epiclesi, nelle preghiere eucaristiche, ci ricorda l’intervento dello Spirito non soltanto nella trasformazione del pane e del vino, ma anche per la solidità della nostra fede e la nostra unità nella Chiesa. Così pure lo Spirito agisce nell’ordinazione sacerdotale per conferire a colui che è chiamato il potere di attualizzare i misteri di Cristo; lo Spirito è presente anche nella celebrazione del sacramento dei matrimonio, assicurando agli sposi la forza della fedeltà e la loro unione reciproca nella imitazione dell’unione del Cristo con la Chiesa.
Noi siamo dunque in ogni istante permeati dallo Spirito. Non vi è una riunione di preghiera, una liturgia della Parola in cui lo Spirito non agisca per permettere di pregare e di dialogare col Signore reso presente in mezzo a noi mediante la forza dello Spirito che dà vita alla parola proclamata» (Adrien Nocent[1]).
Leggiamo ora dall’eucologia di questa solennità:
Antifona d’Ingresso Sap 1,7
Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo,
egli che tutto unisce,
conosce ogni linguaggio. Alleluia.
La visuale di Sap 1,7 è grandiosa. Lo Spirito del Signore, la Sapienza divina eterna, è Presenza divina come Creatore permanente dell’universo. Lo domina, lo contiene e lo comprende tutto, e conosce alla perfezione ogni sua minima “voce” o notizia, o dato o realtà. E presente, ma senza confondersi con la creatura, alla quale dona l’esistenza (vedi qui anche Gen 1,1-3).
Oppure: Rm 5,5; 8,11
L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori
per mezzo dello Spirito,
che ha stabilito in noi la sua dimora. Alleluia.
Dai Padri la Pentecoste è stata vista come il dono della nuova legge alla Chiesa secondo gli annunci profetici (cf. Ger. 31, 33; Ez. 36,27). La legge della Chiesa infatti non è più la legge scritta, ma lo stesso Spirito santo: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato donato…» (Rm. 5,5). La Pentecoste è la festa dello Spirito santo: la sua discesa nella Chiesa è un avvenimento di salvezza, cioè uno di quegli interventi di Dio che nella realizzazione del piano della salvezza decidono in modo unico e definitivo delle sorti del mondo.
Canto all’Evangelo
Alleluia, alleluia.
Vieni, Santo Spirito,
riempi i cuori dei tuoi fedeli
e accendi in essi il fuoco del tuo amore.
Alleluia.
Nell’alleluia all’Evangelo l’epiclesi famosa «Vieni, Spirito Santo» chiede che venga nel cuore, come avviene (Rom 5,5; 8,11, sono in alternativa anche Antifona d’ ingresso), Fuoco trasformante di carità.
Il senso della Pentecoste quale avvenimento di salvezza è dato dai seguenti aspetti[2]:
- Effusione dello Spirito santo quale segno degli ultimi tempi. Pietro cita il profeta Gioele, evidenziando come la Pentecoste realizzi le promesse di Dio secondo cui negli ultimi tempi lo Spirito sarebbe stato dato a tutti (cf. Ez. 36,27). Giovanni Battista aveva annunciato che Cristo avrebbe battezzato nello Spirito santo (Mc 1,8). Gesù risorto conferma: «Tra pochi giorni sarete battezzati nello Spirito santo» (At. 1, 5).
- Coronamento della pasqua di Cristo. Il Cristo morto, risorto e glorificato alla destra del Padre porta a termine la sua opera di salvezza effondendo lo Spirito sulla comunità apostolica. La Pentecoste è pertanto la pienezza della pasqua, il mistero pasquale totale.
- Raduno della comunità messianica. I profeti avevano ripetutamente annunciato che i dispersi sarebbero stati radunati sul monte Sion: in questo modo l’assemblea di Israele sarebbe stata unita attorno al Signore.La Pentecoste realizza a Gerusalemme l’unità spirituale dei giudei e dei proseliti di tutte le nazioni: docili all’insegnamento degli apostoli, essi partecipano insieme e nella comunione fraterna alla mensa eucaristica e alla preghiera comune.
- Comunità aperta a tutti i popoli. Lo Spirito santo è donato per una testimonianza che deve essere portata fino alle estremità della terra. Il fatto che gente di diversa lingua comprenda la lingua nella quale parlano gli apostoli, dice che la prima comunità messianica si estenderà a tutti i popoli. La Pentecoste dei pagani lo dimostrerà (cf. At 10,44 ss.). La divisione operata a Babele (Gen 11,19) trova qui la sua antitesi e il suo termine positivo. Il miracolo della Pentecoste è perciò la risposta divina alla confusione e alla dispersione.
- Partenza e missione. LaPentecoste raduna la comunità messianica e segna il punto di partenza della sua missione. Il discorso di Pietro «in piedi con gli undici» è il primo atto della missione affidata da Gesù agli apostoli: «Riceverete una forza, lo Spirito santo… Allora sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At. 1,8).
Incarnazione Croce Resurrezione Ascensione Pentecoste Parusia nello Spirito del Padre e del Figlio: tale il Mistero plenario di Cristo Signore e tale l’anamnesi perenne della Chiesa. Se tutto deriva dalla Croce e dalla Resurrezione che si consuma con l’Ascensione, però allora tutto è reso possibile dalla Pentecoste dello Spirito Santo. La celebrazione della Pasqua del Signore raggiunge in questo giorno il suo culmine col ricordo della venuta dello Spirito Santo. Si sono compiuti i 50 giorni di festa e di gioia in onore dello Sposo della Chiesa che è tornato (cfr Mt 9,15). Questo Cristo risuscitato ha lasciato come caparra della sua promessa lo Spirito Santo («In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, l’Evangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria» Ef 1,13-14). Di questo Spirito, durante la messa vespertina della veglia di Pentecoste, si parla più volte in quanto promessa dell’Antico e del Nuovo Testamento. La ricchezza celebrativa della vigilia della Pentecoste, come quella della vigilia del Natale, è pari a quella del Giorno. E in un certo senso si spreca per il peso rilevante del giorno dopo.
Qui diamo uno sguardo solo alle Letture della vigilia:
- L’Antico Testamento
L’ampia scelta per la Ia lettura della vigilia dove si interrompe la lettura degli Atti:
1) torre di Babele (Gen 11);
2) l’alleanza del Sinai (Es 19);
3) la risurrezione del popolo (Ez 37);
4) la promessa di Gioele (Gl 3).
- L’Apostolo
Paolo (Rom 8,22-27) richiama i gemiti della creazione che sospira la sua redenzione. Solo lo Spirito Santo interviene allora nella preghiera dei fedeli, perché è Dio che conosce Dio e il suo Disegno, e solo Lui sa intercedere, anche Lui gemendo in modo indicibile, ma efficace.
- L’Evangelo
Il quadro si completa con l’Evangelo: l’annuncio di Gesù fatto nella festa dei tabernacoli (leggere Gv 7,37-39). Le Capanne (o i Tabernacoli, o le Tende) erano la festa principale dell’anno liturgico ebraico dopo il sabato. Essa era centrata su questi temi: l’autunno, ultima festa, sacrificio d’azione di grazie per il raccolto, rinnovamento dell’alleanza, processione sacerdotale dalla fonte del Gihon portando in un vaso d’oro l’acqua da libare sull’altare, grande luminaria la sera, implorazione per il dono dello Spirito del Signore. Festa quindi dell’acqua e della luce, e dello Spirito del Signore, festa plenaria ed escatologica, che tende al rinnovamento della creazione.
Cristo Signore vi assiste nel tempio (Gv 7,37-39). Si pone in piedi sul gradino che separava l’atrio degli Israeliti da quello delle donne, e quindi all’intera assemblea raccolta ed orante, annuncia la realizzazione di quella festa. Il testo è mirabile:
Gesù… gridò, parlando:
Chi ha sete, venga a Me,
e beva chi crede in Me.
Come parlò la Scrittura:
Fiumi dal suo [di Cristo] ventre scorreranno di Acqua vivente.
Questo parlò dello Spirito che stavano per ricevere i credenti in Lui.
Ancora infatti non esisteva lo Spirito, poiché Gesù ancora non fu glorificato.
Più volte abbiamo parlato dell’inseparabile unità della Pasqua e della Pentecoste (cf colletta della vigilia ed Evangelo anno A Gv 20,19-23)[3].
Occorre ancora tenere presente quanto detto per la Resurrezione e per l’Ascensione. E mai qui va dimenticato che la Pentecoste è proprio una Domenica. Essa è la Domenica 7a + 1 = 8 dopo la Resurrezione. Come la Domenica è il 1° Giorno eguale all’8° Giorno, così di queste 7 + 1 Domeniche che formano 50 giorni, dove 1 = 50, che indica pienezza, la Domenica 1a che è la Resurrezione è identica alla Domenica 8a che è la Pentecoste: un Giorno di (50) Giorni, l’Unico Giorno, la Domenica di Resurrezione, e quindi la Domenica di Pentecoste.
Il N. T. non gioca con i numeri, ma proclama con questo simbolismo che è sempre Resurrezione ed è sempre Pentecoste: è sempre Pentecoste perché è sempre Resurrezione. I 50 giorni sono uno spazio simbolico sacramentale che celebra il Risorto che trasmette lo Spirito Santo ricevuto dal Padre. Se si riassume attentamente, si vede come il N. T. moltiplica le narrazioni ben motivate dell’unica Pentecoste:
- In Giovanni
- Come si è visto, il Dono dello Spirito avviene dalla Croce: Gv 19,34 e 30.
- E la sera della Resurrezione: Gv 20,19-23.
- In Luca
Negli Atti, Luca narra il Dono della Pentecoste ben 5 volte, numero della “pienezza”, che significa anche “perennità”:
1] At 2,1-4: a Gerusalemme, con gli Apostoli, ad Ebrei;
2] At 4,31: nell’identica situazione;
3] At 8,14-17: a Samaria, con Pietro e Giovanni, ai Samaritani, parenti degli Ebrei;
4] At 10,44-46: a Cesarea, ancora in Palestina, con Pietro, ma ai primi pagani;
5] At 19,6-7: ad Efeso, con Paolo, ad altri pagani.
Come si vede, il raggio della Pentecoste raggiunge progressivamente le regioni lontane. La promessa del Signore è infatti portare il Dono agli estremi confini della terra, dove i discepoli Lo annunceranno e Lo testimonieranno. Il Dono comincia con la Parola, entra nel cuore dei fedeli con il battesimo e si consuma con l’imposizione delle mani e solo allora, quelli così consacrati partecipano al Convito dei Misteri divini.
Questa è la Pentecoste perenne della Chiesa.
L’Evangelo di questa solennità è stato già proclamato nella Dom. di Tommaso (II Dom. di Pasqua), per cui essendovi molte cose già note esamineremo il racconto degli Atti.
La pericope di At 2,1-11 si lascia dividere facilmente in due parti:
- Il Fuoco e la Pienezza dello Spirito Santo nei vv. 1-4
- Lo Spirito Santo e le nazioni nei vv. 5-11
Esaminiamo il brano
I parte: Il Fuoco e la Pienezza dello Spirito Santo
I discepoli obbediscono al Signore, restano insieme, in preghiera (At 1,12-14), come epiclesi per ricevere lo Spirito Santo come la Promessa del Padre (1,8). Passano 10 giorni dall’Ascensione.
1 «il giorno di Pentecoste»: Il costrutto greco è solenne come quello in Lc 9,51. Il termine pentekoste (+ hèmera = «cinquantesimo giorno») si trova due volte nella versione dei LXX ed è tradotto come «Festa delle Settimane» (Tb 2,1; 2 Mac 12,32). Di solito la versione dei LXX traduce letteralmente la frase heorte hebdomadón (cf Es 34,22). La legislazione di questa festa in Es 23,16; 34,12; Lv 23,15-21; Dt 16,9-12 rivela le origini agricole delle tribù nomadi nella tipica offerta dei primi frutti e degli agnelli. È una delle tre grandi feste giudaiche di pellegrinaggio dell’antico Israele; cf in At 20,16 l’ansia di Paolo di trovarsi a Gerusalemme proprio per quella festa.
«si trovavano tutti insieme»: Adesso avviene che il Padre «adempie il Giorno 50°» della Resurrezione che trova i discepoli sempre insieme.
2 «Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento»: Il rombo ricorda il rumore della teofania sinaitica (Es 19,16-19) e un forte vento è associato alla teofania di Elia (1 Re 19,11-12) come pure alla sua ascensione (2 Re 2,11). In questo caso il rombo è paragonato a quello prodotto dal soffiare impetuoso del vento; è il suono che riempie la casa, non il vento. Dal cielo e all’improvviso, dunque per sola iniziativa divina, avviene la Teofania, preceduta dal rombo di Vento impetuoso, lo Spirito che spira dove vuole, e «riempie l’intera casa» del raduno dei discepoli. Si ha solo 2 volte il fatto della casa riempita: qui e in Gv 12,3, quando a Betania Maria unge i piedi immacolati del Signore di aroma prezioso e soave, e questo odore riempie la casa. Qui si ha la preparazione simbolica alla sepoltura del Signore, e questa è preceduta dall’aroma soave del Sacrificio del Signore, l’Oblazione gradita al Padre (Ef 5,2).
3 «lingue come di fuoco che si dividevano»: Letteralmente «divise, singole» (diamerizó) (cf Lc 11,17-18; 12,52-53; 22,17; 23,34). Viene usata la traduzione «che si dividevano» perché le lingue di fuoco sono separate l’una dall’altra, piuttosto che separate fra di loro (o a zig-zag); la Riveduta[4] traduce «distribuite». Ancora una volta la particella hosei denota il paragone con il fuoco. Per fuoco (pyr), come normale caratteristica delle teofanie bibliche, cf Gen 15,17; Es 3,2; 13,21-22; 14,24; 19,18; 24,17; Dt 4,12.24.33.36; 5,4; 10,4; 1 Re 19,12; 2 Re 2,11; LXX Sal 17,9). Si noti in particolare la combinazione di «suono» e «fuoco» nel LXX Sal 28[291,7: «la voce del Signore spezza fiamme di fuoco». Naturalmente il collegamento più ovvio è quello con lo «Spirito Santo e il fuoco», ossia con il battesimo loro promesso (Lc 3,16).
Ora, una caratteristica dello Spirito Santo Fuoco è che è unico e tuttavia senza frazionarsi si divide su ciascuno come fiammella, tale che ciascuno riceva l’intero Spirito Santo indivisibile. Il Fuoco è il “segno” escatologico della Pienezza divina. Infatti ciascun discepolo è riempito per intero dell’intero indivisibile Spirito Santo (At 2,4a), e ciascuno comincia a parlare le lingue dell’evangelizzazione futura (v. 4b).
Il simbolo del Fuoco nella Scrittura sta in rapporto con due entità divine essenziali: la Parola divina e lo Spirito del Signore. La Parola Fuoco si manifesta ad Emmaus, come abbiamo visto, versata dal Risorto lungo la via nel cuore dei discepoli: Lc 24,32. Lo Spirito Santo come Fuoco è il segno dell’accettazione consumante del Padre verso il Sacrificio del Figlio, che avviene nel Battesimo della Croce e che il Figlio annuncia che ormai deve essere versato sulla terra: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» Lc 12,49-50.
Già nell’A. T. si anticipa la tipologia di questo Fuoco divino dell’accettazione consumante del sacrificio dei capi del popolo santo:
- per Abramo: Gen 15,17;
- per Mosè e Aronne quando inaugurano il culto sacrificale: Lv 9,23-24; 2 Macc 2,10-11;
- per Gedeone: Gdc 7,19-24;
- per i genitori di Sansone: Gdc 13,19-23;
- per David sull’aia dove sarà costruito il santuario: 1 Cron 21,26-27;
- per Salomone quando inaugura il tempio: 2 Cron 7,1-2; 2 Macc 2,10.12.
Nel N. T. questo simbolismo ricorre in Gv 21,1-14, nella terza manifestazione del Signore Risorto, sul lago, quando Egli convita i discepoli, e questi vedono il Pesce sul Fuoco e il Pane (vv. 9.13-14). Come avviene ai pesci pescati, il Pesce divino lascia il suo ambiente per entrare nell’ambiente umano, dove deve morire, ma volendo essere Cibo buono deve essere cotto con il Fuoco: e questa è l’accettazione paterna del suo sacrificio, consumato dal Fuoco dello Spirito Santo. Resta in tutti i Riti orientali la forte teologia che i Divini Misteri sono il Fuoco che comunica lo Spirito Santo. I Riti della tradizione sira chiamano l’eucarestia gmurtâ’, la brace. Il Rito bizantino fa il gesto liturgico dello Zéon, il versare un poco di acqua bollente nella Coppa consacrata. Così il Rito copto e il Rito etiopico.
La Pentecoste segna dunque l’Iniziazione dei discepoli al Mistero del loro Signore. Essi sono abilitati:
- alla divina Leitourgía, l’«opera per il popolo» che il Padre adempì nel Figlio con lo Spirito santo, e che adesso deve essere adempita dalla Chiesa degli Apostoli, nelle 3 operazioni concomitanti:
- l’Evangelo (Rom 15,16);
- le opere della carità del Regno (2 Cor 8,1 – 9,12);
- il culto immacolato (Gv 4,23-24);
- alla vita di perfezione, di assimilazione a Cristo Crocifisso, che traini ad essa i fratelli, facendo sviluppare in essi i talenti divini;
- alla divina comunione consumante.
In questo, di certo Paolo resta nella Chiesa il grande maestro, non solo delle nazioni.
4 «pieni di Spirito Santo»: Luca usa qui il passivo aoristo di pimplemi («riempire») così come fa nel suo Evangelo in riferimento allo Spirito Santo nel racconto dell’infanzia di Gesù (Lc 1,15.41.67), nonché nel libro degli Atti (4,8; 9,17; 13,9). Qui si verifica il compimento della promessa fatta da Gesù (Lc 24,49; At 1,4-5.8 cf Dom. scorsa festa dell’Ascensione).
«in altre lingue»: Nel contesto questa è la traduzione appropriata di heterais glossais, poiché Luca preferisce porre in maggior risalto l’aspetto comunicativo piuttosto che quello estatico del discorso; quel discorso che accompagna il dono dello Spirito Santo anche in At 10,45 e 19,6. Altrove, nel Nuovo Testamento, lo troviamo solo in Mc 16,17 («nuove lingue» tra i segni che accompagneranno i discepoli del Signore Risorto) e nell’ampia discussione di Paolo sui doni dello Spirito Santo (1 Cor 12).
Valutare le testimonianze neotestamentarie rispetto all’ambiente dei fenomeni religiosi ellenistici porta alla conclusione che una tale glossolalia si riferiva in origine a una forma di borbottio estatico ampiamente connesso con la profezia divinatoria [cf Cicerone, Sulla divinazione 1,32,70-71; Plutarco, Sulla grave decadenza degli oracoli 14 (Mor. 417c); 40 (Mor.. 432c-f) e Apuleio, L’asino d’oro 8,27]. Questa forma di profezia era molto stimata perché si credeva provenisse dal possesso diretto della divinità [enthusiasmos; cf Platone, Fedro 244a-b; Timeo 71e-72b; Plutarco, Sul significato dell’E incisa sul tempio di Delfi 6-24 (Mor. 387b-406f)]. Un esempio del genere si trova anche nel Testamento di Giobbe 48-52, quando si dice che le figlie di Giobbe parlano il linguaggio «degli angeli».
«come lo Spirito dava loro il potere d’esprimersi»: Luca pone in risalto il fatto che lo Spirito stesso ordinava (edidou = «dava») il discorrere di ciascuno. La traduzione «esprimersi» si propone il carattere sentenzioso dell’annuncio dato da apophthengomai (si confrontino i vv. 2,14 e 2,25).
II parte: Lo Spirito Santo e le nazioni
I vv. 5-11 descrivono le nazioni. Secondo l’antichissima prescrizione delle «tre volte», gli Israeliti dovevano “salire” al santuario per la pasqua, per la Pentecoste e per le capanne (calendario arcaico di Es 23,14-17, nel contesto del «codice dell’alleanza», Es 20,22 – 23,19, di accertata redazione di Mosè).
5 «Giudei osservanti»: Il termine eulabḗs (tradotto con «osservanti») è usato da Luca altrove nella sua specifica connotazione religiosa (Lc 2,35; At 8,2; 22,12). Alcuni manoscritti hanno incontrato una certa difficoltà a inserire il termine Giudei, apparentemente inutile – d’altra parte, pensavano loro, quali altre persone potevano esserci a Gerusalemme? – ma qui la descrizione specifica come si trova al v. 11 spiega il significato letterario e religioso dell’autore.
«si trovavano allora in Gerusalemme»: Sebbene Giuseppe parli della folla che affluiva a Gerusalemme per questa festa (Antichità giudaiche 14,337; 17,254; La guerra giudaica 1,253; 2,42-43), Luca non intende i pellegrini che venivano da fuori. Con il termine katoikountes (cf vv. 1,19; 4,16; 7,2.4; 9,22, ecc.) Luca si riferisce ai Giudei che erano affluiti da tutte le parti del mondo per stabilirsi in quella città. L’esistenza di una popolazione così mista è attestata non solo in At 6,9, ma anche da riferimenti frammentari riportati da Giuseppe (ad esempio, in La guerra giudaica 1,397.437.672).
6 «la folla si radunò»: Letteralmente è proprio «la» folla (plethos). Luca si serve di questo termine per indicare raduni di gente formali o informali (Lc 1,10; 2,13; 5,6; 6,17; 8,37; 19,37; 23,1.27; At 4,32; 5,14.16; 6,2.5; 14,1.4; 15,12.30; 17,4; 19,9; 21,22.36; 23,7; 25,24; 28,3). Nella fattispecie la funzione della folla è simile a quella definita «moltitudine del popolo» nell’episodio di Zaccaria, Lc 1,10.
7 «stupefatti e fuori di sé»: Luca si serve della folla o moltitudine per dare all’evento una prospettiva drammatica e il lettore si renderà conto delle dimensioni dell’evento proprio dall’effetto suscitato negli osservatori. Luca impiega una vasta gamma di intense reazioni psicologiche. La folla è definita in crescendo: «sbigottita» (syncheó, in 2,6), poi «stupefatta/ stupita» (existemi, in Lc 2,47; 8,56; 24,22; At 2,12; 8,9.11.13; 9,21; 10,45) e «meravigliata» (thaumazó, cf Lc 1,21.63; 2,18.33; 4,22; 7,9; 8,25; 9,43; 11,14.38; 20,26; 24,12.41; At 3,12; 4,13; 7,31; 13,41).
8 «la nostra lingua nativa»: Il testo greco dice letteralmente «ciascuno nella sua propria lingua natia in cui siamo nati». Anche in questo caso il contrasto richiama l’attenzione sulla comunità residua formata da Galilei. Al momento della venuta dello Spirito Santo sui discepoli sta a Gerusalemme una folla di pii pellegrini ebrei provenienti dalla diaspora e con essi i proseliti da ogni nazione. Tutti questi si stupiscono che i discepoli, identificati come Galilei, parlino le lingue, in modo tale che ciascuna nazione comprenda la sua (vv. 5-8). Non si tratta di glossolalia, questa confusione mentale che sfocia in parole senza senso, le quali poi debbono essere interpretate (cf. 1 Cor 14, il capitolo classico in questo). Ma ciascun discepolo che ha ricevuto lo Spirito Santo parla la lingua comprensibile di ciascuna nazione.
9 «Parti, Medi, Elamiti»: Un simile elenco di «nazioni» già si trova nel libro in Gen 10,2-31, nonché negli scritti apocrifi giudaici come gli Oracoli sibillini 3,160-172.205-209, e in Antichità bibliche dello Pseudo-Filone 4,3-17. Sono elenchi che mettono in risalto la presenza di Giudei in vari paesi (cf cartina allegata. I presenti si recensiscono, e si contano, si tratta di 15 nazioni, più 2 volte la Giudea. Sulla carta geografica si ha un semiarco che nel territorio dell’impero romano va dalla Cirenaica fino all’Asia minore e di qui a Roma, e di un raggio che si prolunga verso la Mesopotamia, l’Elam, la Persia e la Media, in pratica i principali territori della diaspora degli Ebrei. Essi furono precisamente le principali direzioni della missione degli Apostoli, il cui centro di smistamento fu Antiochia).
L’elenco di Luca presenta, comunque, numerosi problemi. Alcuni sono problemi testuali. Si prenda il nome Giudea: dovrebbe essere veramente incluso nell’elenco (la sua presenza risulta davvero strana in un elenco di «forestieri»), oppure si tratta di una tarda interpolazione degli scribi? Parimenti, i «Cretesi e gli Arabi», riportati alla fine dell’elenco, sono anch’essi una tarda aggiunta che sciupa l’espressione culminante di «Ebrei e proseliti»? Ci sono altre questioni che riguardano l’interpretazione, come: su quale principio si basa la selezione, e quale aspetto del mondo si ricava da una simile mappa? Quei nomi sono riportati solo in funzione di una densa popolazione giudaica o perché sono importanti ai fini della missione dei cristiani? Le ipotesi sono molte, ma nessuna di esse può essere dimostrata.
Tra i primi tre nomi ci sono i Parti, quelli che rappresentano l’impero che minaccia Roma a oriente. Ma i Medi (2 Re 17,6; Dn 5,31) e gli Elamiti (Is 11,11; 22,6) sono antichi regni non più attivi politicamente già al tempo della redazione di Luca: «Parti e Medi» appaiono insieme come nemici di Israele in 1 Enoc 56,5.
9-10 «della Cappadòcia …e della Panfilia»: Questi sono distretti dell’Asia Minore che nell’insieme avevano una considerevole popolazione giudaica. Il Ponto era il luogo di origine di Aquila e Priscilla (At 18,2). La sequenza geografica rende ancor più problematica la collocazione della Giudea.
«Egitto … Cirene»: Si tratta di territori costieri del Nord Africa vicinissimi alla Palestina. Alessandria d’Egitto è la patria di Apollo (At 18,24). Cirene è la città natia di Simone il Cireneo, colui che aiutò Gesù a portare la croce (Lc 23,26), nonché la patria di alcuni missionari che predicheranno ai Greci in Antiochia (At 11,20) e anche di un anziano della comunità di Antiochia, chiamato Lucio (At 13,1).
«stranieri di Roma»: La speciale designazione usata per questi «stranieri di passaggio» (epidémountes) rafforza il v. 5 («si trovavano» = katoikountes). Il termine in questione indica coloro che dimorano in un posto come stranieri (cf At 17,21; 18,27).
11 «Ebrei e proseliti»: Questa è una forma riassuntiva piuttosto che l’inserimento di un’etnia separata. Basandosi sull’idea di coloro «che soggiornano» (ger; cf Es 23,4; Lv 16,29; Nm 9,14; Dt 1,16), che la versione dei LXX traduce con proselytos («uno che si è avvicinato»), il termine «proselito» si è trasformato in colui che si è convertito dal paganesimo al giudaismo. Nel giudaismo sono state studiate attentamente certe figure come quella di Rut, che furono poi prese a modello di simili conversioni e del proselitismo in linea generale. L’enorme abbondanza di questi brani come si trova in tutta la letteratura rabbinica, unitamente alle testimonianze neotestamentarie come Mt 23,15; At 6,5; 13,43; 15,21, per non citare poi la produzione di scritti come Giuseppe e Asenat, attesta la storicità del fatto che il giudaismo era una religione missionaria piuttosto attiva nel I secolo (cf anche Giuseppe, Antichità giudaiche 20,38-48).
«Cretesi e Arabi»: Questi nomi non sono particolarmente importanti e possono essere dovuti a interpolazione, anche se nessun manoscritto può fornire una prova a sostegno di questa tesi. Troviamo Creta nel viaggio di Paolo a Roma (At 27,7-21) e come luogo del ministero di Tito (Tt 1,5). Paolo parla anche dell’Arabia come sede del suo primo lavoro missionario (Gal 1,17).
«le grandi opere di Dio»: Il termine megaleîa è utilizzato da Luca solo qui, ma ricorda un frequente adagio biblico (LXX Dt 11,2; Sal 70,19; 105,21; Sir 17,8; 18,4; 42,21; 43,15; 2 Mac 3,34; 7,17). «Il raduno festivo di queste nazioni è dunque raggiunto dall’improvvisa effusione dello Spirito Santo, che in un certo senso richiama all’unità. Il parallelo è la «tavola dei popoli» di Gen 10 e la Torre di Babele di Gen 11,1-9: «moltitudine e peccato» che sono dispersione mortale, sono superati dall’Unico Spirito che rispetta la moltitudine ma riporta all’armonia del Disegno divino. Si fonda qui la “cattolicità” della Chiesa nelle Chiese, ossia la diversità nello scambio illimitato dei dono spirituali, delle persone e anche delle risorse materiali. Gli Atti poi ne saranno la mirabile narrazione primordiale. La Chiesa dei sec. 3° e 4° ne saranno la dimostrazione. Le eresie come bestemmie variate contro la verità “cattolica” e gli scismi come automutilazioni causate dall’odio e dall’arroganza di potere, ne saranno la dimostrazione e contrario. Questo fino alla gravissima situazione di oggi» (Tommaso Federici).
Noi tuttavia preghiamo sempre affinché il Dono di oggi nei suoi effetti vivificanti discenda ancora nei nostri cuori e in essi si prolunghi; nella Divina Liturgia usciamo uomini dello Spirito fecondati nell’intimo per diffondere nel mondo il fuoco di Pentecoste, testimoniando che «lo Spirito del Signore ha riempito l’universo»:
Colletta
O Padre, che nel mistero della Pentecoste
santifichi la tua Chiesa in ogni popolo e nazione,
diffondi sino ai confini della terra
i doni dello Spirito Santo,
e continua oggi,
nella comunità dei credenti,
i prodigi che hai operato
agli inizi della predicazione dell’Evangelo.
Per il nostro Signore…
[1] Adrien Nocent, OSB monaco belga e teologo liturgico (2 febbraio 1913 – 9 dicembre 1996).
[2] Cf. Dizionario di Teologia Biblica, a cura di X. L. Dufour, Ed. Marietti, voce «Pentecoste».
[3] Colletta: Dio onnipotente ed eterno, che hai racchiuso la celebrazione della Pasqua nel tempo sacro dei cinquanta giorni, rinnova il prodigio della Pentecoste: fa’ che i popoli dispersi si raccolgono insieme e le diverse lingue si uniscano a proclamare la gloria del tuo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio …
[4] La Nuova Riveduta è una traduzione della Bibbia in Italiano curata dalla Società Biblica di Ginevra e pubblicata per la prima volta nel 1994. Successivamente è stata ulteriormente rivista. Prende il nome Nuova Riveduta dalla versione Riveduta curata da Giovanni Luzzi negli anni Venti che a sua volta è una revisione della traduzione di Giovanni Diodati del XVII secolo. È la Bibbia più usata nel mondo protestante ed evangelico.
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano