Sono un frate domenicano. Docente di teologia presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ‘santa Caterina da Siena’ a Firenze. Direttore del Centro Espaces ‘Giorgio La Pira’ a Pistoia.
Socio fondatore Fondazione La Pira – Firenze.
“Il Signore disse: Io susciterò loro un profeta e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò” (Deut 18,16)
Il profeta nella Bibbia non è una sorta di ‘lettore del futuro’ che prevede e risponde alle curiosità su ciò che avverrà. E’ piuttosto l’uomo della Parola, la cui vita è stata segnata e trasformata dalla parola di Dio. Contesta i falsi volti di Dio e la religiosità che si allea con il potere e diviene funzione per sostenere e legittimare le subdole logiche del dominio. La parola del profeta richiama ad un culto che si attua nella vita, al volto di Dio protettore dello straniero, dell’orfano, della vedova (Is 1,16-17). Il profeta si contrappone spesso in polemica con il re e denuncia la tentazione continua di ridurre il rapporto con Dio ad una giustificazione dello sfrutatmento e dell’ingiustizia (cfr. Am 5,14-15).
La pagina del vangelo di Marco presenta Gesù stesso come ‘uomo della parola’. Il verbo ‘insegnare’ ritorna più volte in questo brano: “A Cafarnao, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. … insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi”. Il tempo è il giorno di sabato, memoria del riposo di Dio nella creazione e dell’alleanza nel dono della legge. Gesù insegna nella sinagoga, luogo della comunità e luogo della Parola. Molto probabilmente un insegnamento pacato, non gridato, né imposto con prepotenza, una parola che incontrava la vita di chi ascoltava e che faceva leggere le Scritture come parola viva, significativa. Un insegnamento che attira ed affascina perché espressione di un ascolto profondo e di autenticità, di chi dice una parola ‘vera’, dall’interiorità della sua esistenza. E si manifesta come testimonianza.
Marco sottolinea la contrapposizione tra questo insegnamento di Gesù – visto come esempio di ogni maestro autentico, che non s’impone, ma attrae e coinvolge – e il grido dell’uomo posseduto da uno spirito immondo – proprio lì, posto al centro del luogo religioso, della sinagoga. Nel mezzo del luogo religioso si rende presente la forza del male che indica anche gli esiti negativi di una religione che non guarda all’uomo e non è liberante. Gesù impone di tacere ad una voce che grida la sua identità in modo prepotente. Invita al silenzio: si manifesta come colui che libera l’uomo da ciò che lo porta a gridare e non gli permette di maturare una capacità di ascolto. Il suo insegnamento si fa gesto di liberazione. L’ascolto è l’attitudine fondamentale del credente. La sua è una parola che apre la possibilità di vivere.
Nel grido di quell’uomo compare il riferimento all’identità di Gesù come ‘il santo di Dio’. Eppure Gesù sgrida quell’uomo che gridava a lui e ‘lo minacciò’. Gesù si contrappone ad una fede ‘gridata’, strumento di un potere che divide (satana) e tiene schiavi.
Con la sua parola Gesù restituisce quell’uomo a se stesso. Marco delinea in Gesù il modello di un educatore che lascia spazio alla crescita di ognuno liberandolo da oppressione. Dice infatti che Gesù insegnava ‘con autorità’. Marco accenna anche alla meraviglia perché il suo insegnamento era ‘nuovo’ e si poneva come parola significativa, capace di comunicare. La parola di Gesù ha i toni della parola del profeta: non si tratta di una ‘dottrina’ ma un ‘insegnamento che tocca la vita, capace di aprire un rapporto di libertà.
E’ invito a seguire e condividere. Il dono di essere profeti nel popolo di Dio è dono di ascolto di questa parola che può coinvolgere e trasformare l’esistenza.